La vaccinofrenia e il caso De Luca

Molte polemiche sulla vaccinazione del presidente della Regione Campana V. De Luca. Invece è un esempio che i leader dovrebbero imitare

Vincenzo de Luca mentre si vaccina

La paura del vaccino
Quando il vaccino era lontano tutto lo invocavano, ora che è arrivato, l’Italia si scopre no vax. In questo caso non si tratta di un rifiuto generalizzato per tutti i vaccini, ma un rifiuto circoscritto a quello contro il Covid perché la fretta con la quale è stato approntato e la mancanza di un vasto periodo temporale per verificarne gli effetti indesiderati, comprensibilmente fanno nascere perplessità e timori ampiamente giustificati. L’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco proprio per diradare le perplessità ha pubblicato una serie di Faq (Le Frequently Asked Questions, letteralmente domande poste frequentemente) ma finora con scarsi risultati, tanto è vero che si parla di obbligatorietà della vaccinazione se i vaccinati dovessero essere poco numerosi. Certamente questa non può essere la soluzione, ma chi cerca di dare l’esempio come ha fatto il presidente della Regione Campana, Vincenzo De Luca, per altri versi molto opinabile nei suoi comportamenti ed esternazioni, è stato subito impallinato da un vasto e variegato schieramento.

Per Biden applausi, per De Luca fischi
Quando si è vaccinato Biden il neo presidente degli Usa , non è stato accusato di nessuna prevaricazione, anzi mi sembra addirittura sia stato apprezzato. Né la cosa della vaccinazione pubblica è una novità. Antesignano ( precursore, lett. soldato che combatte in prima linea) fu il già celebre cantante Elvis Presley che nel 1956 si fece vaccinare contro la poliomelite in diretta televisiva. Invece De Luca è stato subito additato al pubblico ludibrio principalmente dal sindaco di Napoli e a ruota da altri esponenti del centro destra . Il Giornale di Sallusti Alessandro gli ha dedicato un infuocato editoriale il 28 dicembre 2020 :“Senza decenza, salta la fila”. Anche un giornale radical chic si è unito al coro. Perfino alcuni esponenti della a Chiesa hanno assunto, sia pure informalmente, analoghi atteggiamenti di biasimo.
Di parere diverso il Presidente della Commissione Sanità del Consiglio regionale campano Enzo Alaia che ha affermato: “Chi oggi condanna la decisione del Presidente De Luca di vaccinarsi, insinuando che abbia abusato della sua posizione per “saltare la fila”, ignora quanto sia necessario trasmettere ai cittadini messaggi che li inducano a farsi vaccinare. I movimenti ‘No Vax’ negli anni scorsi hanno creato e creano tuttora danni enormi, insinuando dubbi sulla validità dei vaccini e sulla necessità di farseli inoculare. Bene ha fatto, dunque, il Presidente De Luca a vaccinarsi pubblicamente e a dare il buon esempio ai tanti cittadini purtroppo disorientati da campagne mediatiche alimentate in larga parte da coloro che oggi ipocritamente lo condannano.”

Pare che anche il presidente della Repubblica e via via le altre cariche abbiano fatto sapere che aspetteranno col numeretto in mano il loro turno.

Il Corriere invita tutti i leader a vaccinarsi pubblicamente
Il Corriere della sera, consapevole dell’importanza del superamento delle resistenze che si stanno palesando in maniera sempre più hard, ha preso la palla al balzo, riprendendo un’idea formulata venti giorni fa dal Foglio ha invitato tutti i leaders a vaccinarsi pubblicamente iniziativa che al momento ha incassato già l’adesione di numerosi politici di primo piano.

L’obbligo istituzionale di non lasciare il proprio posto
E fin qui siamo alla solita divisione fra guelfi e ghibellini, ma volendo approfondire il discorso ed affacciarsi dal balcone della responsabilità istituzionale, l’azione delucana è meno sconsiderata o arrogante di quanto sembra o potrebbe sembrare.
Sappiamo tutti che quando la nave affonda l’ultimo a dover lasciare il suo posto è il comandante, è una regola universale, poi se sia sempre rispettata o meno è un’altra cosa basta ricordare cosa avvenne nell’occasione del naufragio di una nave di crociera il 13 gennaio 2012 all’isola del Giglio.
Per analogia i responsabili apicali delle istituzioni pubbliche non possono abbandonare il loro posto e dovrebbero assumere tutte le cautele e precauzioni per rimanere saldamente sani e efficienti al loro posto. Di conseguenza non sarebbe illogico che dovrebbero essere i primi a vaccinarsi non per arrogante narcisismo o privilegio di casta , ma per la responsabilità, connessa all’incarico ricoperto, assunta verso la collettività. Non è pensabile ( quanto meno non è auspicabile) per esempio che un responsabile governativo nazionale, regionale e comunale, nel clou delle zone rosse gialle e a pallini debba abbandonare la plancia di comando.

La Cantata dei Pastori

Adesso non so, ma fino agli anni 70 in tutto la zona napoletana e nelle colonie costituite all’estero degli emigranti campani o partenopei, in ogni città, paese, borgo e villaggio, si recitava La Cantata dei Pastori. Recitarvi o assistervi era considerato l’adempimento ad un precetto religioso.
Al Teatro Trianon di Napoli è stata rappresentata ininterrottamente per una trentina di anni dalla compagnia di Peppe Barra.
L’opera, in versi, è stata scritta nel 1698 dal gesuita Andrea Perucci con un intento edificatorio e riservato originariamente ad un pubblico acculturato. Ma noi siamo nel paese dell’opera buffa e della commedia dell’arte: attorno ad un canovaccio, gli attori si sbizzarrivano con le improvvisazioni.
La Cantata dei Pastori rappresenta la nascita di Gesù Bambino. Maria e Giuseppe per adempiere al censimento romano fanno ritorno a casa inseguiti dai diavoli che vogliono impedire la nascita del Bimbo. I loro sforzi è inutile dirlo saranno inutili.
C’è un prologo dei demoni con Pluto e Belfagor che dichiarano la guerra al nascituro, poi Benino che fa un sogno dell’evento ed Armenzio che dice il suo che è identico. La coppia subisce ripetutamente gli attacchi demoniaci ma, protetti dall’Arcangelo Gabriele, Gesù Bambino nella scena finale nasce nella grotta.
Poi c’è Cidonio cacciatore e c’è Ruscellio pescatore, ma soprattutto grazie alla Commedia dell’arte, ci sono i personaggi aggiunti successivamente e che diventano gli attori principali, perché rappresentano il popolo: Razzullo e Sarchiapone. Anche Benino, Armenzio egli altri rappresentano il popolo. Ma Razzullo e Sarchiapone in particolare rappresentano quello partenopeo.
Razzullo è uno squattrinato scrivano alto magro allampanato, un naso adunco, con una zimarra nera fra il vestito del notaio e del prete settecentesco, alla ricerca sempre di qualcosa da mangiare. Sarchiapone è invece più popolare, è scappato da Napoli perché addirittura accusato di omicidio. Quando i due si incontrano è uno scoppiettare di frizzi e di lazzi e la platea piange dalle risate.
In tutte le parrocchie si formavano delle compagnie dilettantesche che dopo il lavoro andavano a provare la recita che sarebbe andata in scena fra Natale e la Befana. Gli spettatori erano per la maggior parte parenti ed amici degli improvvisati attori e si andava per vedere specialmente i diavoli, famose erano le loro “cadute”, veri e propri esercizi acrobatici con salti mortali. Voglio ricordare Pier Luigi Ortiero ed Elio Polimeno, celebri Belfagor, dalla recitazione stentorea ed accattivante e da un’agilità scenica senza pari.
Ma soprattutto per Razzullo e Sarchiapone, ce n’erano alcuni veramente bravi che nei siparietti si cimentavano anche nell’attualità di allora mettendo in ridicolo personaggi famosi contemporanei o semplicemente personaggi del quartiere, facendo scompisciare dalle risa i presenti.

Raffaele Viviani ( 1888-1950 il celebre drammaturgo oltre che attore lui stesso ci ha lasciato una bellissima poesia intitolata appunto “La Cantata dei Pastori” che narra con indicibile nostalgia quest’indimenticabile epopea.

Il Natale in Casa Cupiello secondo Castellitto

gli attori di Natale in casa Cupiello – foto Fanpage

Quant’è che un lavoro è un classico

Natale in casa Cupiello è un classico. Questo è ovvio e siamo tutti d’accordo, poi ci accorgiamo subito che ci sono due tipi di classicità, una riferita all’opera in sè, il quadro, il testo, l’opera lirica, l’altra è quella riferita alla sua rappresentazione.
Sul primo aspetto questi capolavori non hanno età, sono sempreverdi, come quando videro la luce, rimanendo nella memoria non solo individuale del singolo fruitore, ma in quella collettiva di interi gruppi fino a raggiungere una dimensione globale che coinvolge tutta l’umanità. Si pensi a Don Chisciotte, Amleto eccetera.

Ogni volta che si affronta un classico è sempre la prima volta, si scoprono dettagli nuovi gustando aspetti che prima di erano trascurati
Sulla seconda questione relativa alla rappresentazione: quella teatrale, un film, un’opera lirica. Anche qui ci sono dei classici, delle “messe in scena” indimenticabili che di per sé non sarebbero replicabili. Prendiamo il film con Totò “Miseria e nobiltà” , ebbene tutto il movie non sarebbe replicabile, ma soprattutto la scena del cappotto che da portare al Monte dei Pegni per mettere assieme il pranzo e che si chiude con la celebre battuta di Enzo Turco: “ma fosse il paltò di Napoleone?”
Pochi sono gli attori che si cimenterebbero in una replica.

La replica di un classico è sempre un pericolo ed una sfida.
Quando una persona si approccia ad un’opera conosciuta già la pregusta mentalmente perché si avvicina a qualcosa di consacrato universalmente e vorrebbe rivederla esattamente come è archiviata nei suoi ricordi.

Diverso è il discorso per chi non ha mai visto quel dato lavoro. Qualsiasi cosa ben fatta è gradevole. Non fa nessun confronto con la sua memoria passata
Perché il massimo pericolo che incombe oggi è la cosiddetta “rivisitazione” o “riadattamento” con i quali ogni regista vuole dare la sua particolare se non addirittura indelebile impronta. Così assistiamo al Barbiere di Siviglia che atterra con una mongolfiera, i tre moschettieri che sembrano esperti di arti marziali cino giapponesi, riedizioni dei Promessi Sposi che fanno rimpiangere quella con Gino Cervi, ecc eccetera.

Eduardo De Angelis vince la sfida
Fortunatamente il regista Eduardo De Angelis omonimo del grande Eduardo ha apportato degli aggiornamenti veniali, mantenendo quasi al 90% la solida impalcatura edoardiana. Il fatto che il suo lavoro si presentasse come “liberamente tratto dall’opera di De Filippo”, aveva un po’ spaventato per i possibili stravolgimenti. Con trepidazione molti si sono messi davanti al televisore aspettando la nuova versione di Natale in Casa Cupiello. Abbiamo visto una inedita Napoli innevata che nella migliore delle ipotesi poteva essere Benevento o Avellino da dove scendevano giusto gli zampognari nel 1800, la trasposizione temporale dagli anni 40 agli anni 50 giusto per metterci l’inquadratura del soldato con la “segnorina”.
Poi l’esagerazione del marito di Ninuccia, Nicola…. esageratamente più anziano, un po’ come nel medioevo San Giuseppe era sempre rappresentato come un vecchio canuto, anche nella Cantata dei Pastori.
Lo staff
La piece di Eduardo De Angelis è diventata di Sergio Castellitto, anche se la più brava in assoluto è stata Marina Confalone, la mitica Concetta, che è poi la vera protagonista della tragicommedia. Poi Adriano Pantaleo, Pina Turco, Alessio Lapice e Tony Laudadio. Nennillo, al secolo Adriano Pantaleo è più indisponente che mai, peggio ancora di Luca de Filippo. Allora era indolente, quì è strafottente, mentre Ninuccia ha fatto un’entrata in scena degna di una duchessa inglese o principessa russa. Castellitto mite e buono, ma un po’ sopra le righe ogni tanto.

Lo share dell’attesa
La commedia è andata in onda verso le 22 mentre da indicazione sulle varie guide l’orario previsto era le 21.15.
Il che ha costretto una parte consistente del pubblico che a teatro, dal vivo avrebbe rumoreggiato non poco, a contribuire alla crescita della percentuale dello share e magari abbandonando la trasmissione appena ha visto una Napoli imbiancata.
Gli spettatori comunque sono stati circa 5 milioni e mezzo con uno share ( in italiano condivisione) del 23.9%.


la prima rappresentazione è stata fatta a Napoli il 25 dicembre 1931 con i fratelli De Filippo

Se San Gennaro non fa il miracolo

San Gennaro, santo protettore di Napoli, quest’anno non ha fatto il miracolo di dicembre. Tutti ne traggono cattivi presagi.

San Gennaro non volta le spalle

 

I miracoli di San Gennaro

San Gennaro fa 3 miracoli all’anno, ovvero lo scioglimento del suo sangue racchiuso in due ampolle: a maggio, il primo sabato del mese quando le sue spoglie furono trasferite da Pozzuoli a Napoli, a settembre, il giorno 19 quando si festeggia (e fu martirizzato) e a dicembre, precisamente il 16 dicembre perché in quel giorno, nel 1631, fermò una spaventosa eruzione del Vesuvio.
Questo vulcano non fece danni solo nel 79 dopo Cristo, ma molte altre volte ancora e l’ultima volta il 6 gennaio del 1944, nel giorno della befana a mò di regalo.
Sul miracolo è inutile soffermarci, se ne è parlato e discusso molto e spesso liquidato frettolosamente come un residuo del medioevo. Forse sarà anche così, ma ne dubito in quanto è inciso nel DNA di tutti coloro che sono nati nell’area del monte Vesuvio ma non solo, siano essi fedeli, infedeli, atei o miscredenti. Da parte del Santo è un modo per manifestare il suo pensiero.

 Le “parenti” di san Gennaro

 Il pensiero di San Gennaro  però non è sempre chiaro e lineare e spesso  ha bisogno di interpretazioni, come succedeva per i vaticini della Sibilla cumana. A questo in prima battuta ci pensano le “parenti di San Gennaro“ , le fedelissime del santo, in genere persone anziane la cui funzione principale è di fargli compiere il miracolo con esortazioni, preghiere, ma anche con invettive ed ingiurie. Poi intervengono gli altri, il popolo, i dotti ed i politici sotto elezione. Sono dette parenti perché le prime seguaci si dichiaravano discendenti del martire.

La “riabilitazione” del Santo
Voltaire, il filosofo illuminista dissacratore della chiesa, ma non della religione, autore fra l’altro del Dizionario Filosofico era indignato da questa superstizione che trovava accoglienza, per i motivi accennati sopra anche fra gli intellettuali non solo napoletani, mentre Alessandro Dumas, quello dei Tre moschettieri, perché il quarto, D’Artagnan faceva parte di un altro corpo militare, definiva San Gennaro il vero Dio di Napoli.
La Chiesa ufficiale, dopo aver fatto fare degli studi a scienziati laici, definì “prodigio” lo scioglimento del sangue ed ha cercato varie volte di contenere il fenomeno, con scarso risultato. Finchè , a seguito del Concilio Vaticano II, si mise addirittura in dubbio l’ esistenza del Santo, nonostante le numerose testimonianze storiche. Con la riforma liturgica del 1969 la Chiesa prese coraggio in nome della modernizzazione cancellando la sua festività dal calendario dei Santi.
I napoletani presero la cosa come un affronto personale e dopo aver tranquillizzato il Santo con il famoso “San Gennà futtetenne!” ( San Gennaro, fregatene), assieme alla Curia si dettero da fare per ripristinare l’ordine violato. Fra Napoli ed il Santo c’è un legame simbiotico viscerale ed infinito, rotto solo una volta, quando San Gennaro fece il miracolo, invece che astenersi, in favore della Repubblica Napoletana di Eleonora Fonseca. Tant’è vero che in quell’occasione lo sostituirono con Sant’Antonio. Ma superata quest’incomprensione le cose tornarono al loro posto.
Sulla spinta dei risentimenti della popolazione, la Santa Sede stabilì che il culto poteva farsi, ma solo a livello locale. I napoletano si adirarono ancora di più finché nel 1980 Papa Giovanni Paolo II accortosi della reale e sentita venerazione per il vescovo martire, proclamò San Gennaro ufficialmente Patrono di Napoli e della Campania.
Ora anche ai non esperti di presagi, il mancato miracolo dello scioglimento del sangue un po’ di preoccupazione la desta, perché il mancato prodigio è coinciso sempre con eventi funesti: fra i più recenti ricordiamo il 1940 quando scoppiò la seconda guerra mondiale, il 1973 quando ci fu l’epidemia di colera, niente a che vedere con l’attuale pandemia, fu una, pazziella, pinzillacchera, cosa di poco conto insomma e il 1980 l’anno del terremoto.

San Gennaro non ci volta mai le spalle
Ma San Gennaro è un Santo troppo buono e voler trarre conclusioni negativissime è tremendamente sbagliato. Non volta mai le spalle, anche quando così sembra. E’ un segnale comunque. Dobbiamo soffrire un altro poco, questo sicuramente si.

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