Il 22 giugno 1799 finisce nel sangue l’ingenua e infelice Repubblica Napoletana

Il 22 giugno 1799 dopo una strenua resistenza i repubblicani napoletani, asserragliati nel Castello di Sant’Elmo si arresero all’esercito dei Sanfedisti guidati dal cardinale Ruffo, con la promessa di un salvacondotto. Terminò così la gloriosa pagina di un pugno di eroi che non seppe coinvolgere il popolo nel primo grande e forse unico tentativo di emancipazione del Sud.

Lo stemma della Repubblica Napoletana

Un regno moderno
Contrariamente a quanto si pensa, il Regno dei Borbone a Napoli, fin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1734, era fortemente innovatore specie in campo economico e sociale oltre a quello culturale: la testimonianza più concreta è fornita dall’ardito esperimento illuminista di San Leucio, in provincia di Caserta, nel 1789, lo stesso anno dello scoppio della rivoluzione francese. Si trattava di un esperimento socialista in piena regola perché prevedeva pari diritti per tutti, uomini e donne e l’istruzione obbligatoria a partire dai sei anni in poi.

La guerra contro i francesi
Lo scoppio della Rivoluzione francese e l’uccisione di Maria Antonietta, sorella della regina di Napoli, Maria Carolina, sulla ghigliottina, mutarono radicalmente la politica del regno in favore delle forze conservatrici. Dopo la vittoria di Nelson ad Aboukir (1 agosto 1798), il re di Napoli mosse su Roma occupata dai francesi e facilmente liberata, ma quando arrivarono i rinforzi del generale Championnet, i napoletani furono sconfitti. Ferdinando, sconfitto fuggì a Palermo

il miracolo di San Gennaro

Championnet proclama la Repubblica e San Gennaro fa il miracolo
Championnet, occupata Napoli difesa dai lazzari, cioè dal popolo napoletano, dopo tre giorni di accaniti combattimenti, il 22 gennaio 1799 proclamò la Repubblica Napoletana nominando anche il governo provvisorio. Inatteso ci fu il miracolo di San Gennaro che però non convinse il popolo e pertanto lo sostituì come Santo patrono con Sant’Antonio.
Fra i primi atti del nuovo governo ci furono provvedimenti per l’abolizione dei fedecommessi, le feudalità, la salvaguardia delle proprietà allodiali, tutte cose di cui neppure sapevano il significato. Mentre le tasse che gravavano sui beni di prima necessità, non furono ridotte neppure di un carlino. Non solo non enne gli sgravi sperati, gli fu chiesto di contribuire alle spese per il sostentamento dell’esercito francese!
Nella cerchia dei dirigenti della neo repubblica si affermò subito la figura di Eleonora Pimentel Fonseca (Roma, 13 gennaio 1752 – Napoli, 20 agosto 1799) anche se non ebbe nessun incarico ufficiale ma che attraverso il “Monitore Napoletano”, faceva sentire la sua voce.
Ma la Francia, avendo bisogno sempre di nuovi fondi per finanziare la sua politica espansionistica, non esitò a dichiarare patrimonio francese tutto l’ex patrimonio dei Borbone, le città sepolte di Pompei ed Ercolano, le doti degli ordini cavallereschi di Malta e Costantino, e di tutti i beni religiosi. Il popolo angariato sobillato dai reazionari e dal clero, mugugnava e aspettava l’innesco adatto per esplodere e tumultuare.

L’esercito della Santa Fede guidato da Sant’Antonio

Il contrattacco del Cardinale Ruffo
Il re, da Palermo, forte dell’appoggio popolare, nominò suo vicario il cardinale Fabrizio Ruffo, una specie di Richelieu o Mazzarino in sedicesimo, incaricandolo di liberare Napoli. Il prelato “con pochi uomini costituenti l’armata cristianissima” che annoverava fra le sue fila oltre ai fedeli della dinastia, anche briganti e galeotti, come Fra Diavolo e Gaetano Mammone, obbedì riportando i Borbone a Napoli. I rivoltosi rinserrati nel Castel di Sant’Elmo si arresero il 22 giugno 1799 con la promessa di aver salva la vita. Ma Nelson non ne volle sapere.

I martiri della Rivoluzione
La vittima più illustre fu Francesco Caracciolo, impiccato all’albero della nave Minerva il 29.6.1799. Le condanne furono 1251, di cui 120 a morte. Fra i giustiziati il fior fiore degli intellettuali napoletani fra cui il generale Gabriele Manthoné, il medico Domenico Cirillo, il filosofo Mario Pagano ed Eleonora Pimental Fonseca, oltre al già citato Caracciolo.

Luisa Sanfelice

La dolorosa fine di Luisa Sanfelice
Infine non possiamo dimenticare l’orrenda fine di Luisa Sanfelice. Sposata giovanissima al cugino Andrea Sanfelice visse un’ intensa vita mondana. All’istituzione della Repubblica la Sanfelice era al centro dell’attenzione di Gerardo Baccher, un fedelissimo del re di Napoli, di Ferdinando Ferri e Vincenzo Cuoco, dirigenti della Repubblica napoletana. I filo borbonici stavano organizzando un golpe. Fra i cospiratori c’era il Baccher, che preoccupato per la salvezza della Sanfelice, la mise al corrente della cospirazione. La Sanfelice corse ad avvertire Ferri che era quello le cui attenzioni gradiva di più. Scoperta, la rivolta fallì, Baccher arrestato e fucilato. Luisa Sanfelice che all’inizio era rimasta sconvolta dalla tragica fine del suo giovane spasimante, si galvanizzò quando scoprì di essere diventata l’eroina salvatrice della patria. Tornati i Borbone, nel settembre del 1799 fu condannata a morte. Per salvarla, la Sanfelice fu “dichiarata” incinta di tre mesi. Si sperava che lasciato sbollire quel momento, il re poi avrebbe cambiato idea, perché nel frattempo il suo impeto vendicativo si era calmato e gli ultimi condannati a morte graziati. Ma quando dopo 10 mesi l’inganno fu evidente, il re non volle sapere di graziarla e confermò la condanna a morte. Poiché era nobile aveva diritto alla decapitazione, ma il boia sbagliò il colpo e la finì con un coltello (11 settembre 1800).

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