I Savoia rivogliono la bigiotteria
Gli ex monarchi dell’ex Regno d’Italia, dopo circa 75 anni, in piena pandemia e mentre sono in corso le votazioni per eleggere il nuovo presidente della Repubblica, si sono ricordati ora di aver diritto alla restituzione dei “gioielli di dotazione della Corona del Regno” che Umberto II in partenza per l’esilio consegnò in custodia alla Banca d’Italia il 5 giugno 1946 e da allora sono rimasti chiusi nelle chiuse nelle cassette di sicurezza della banca. Non si può dire con altrettanta sicurezza dove siano i gioielli dei Borbone lasciati a Napoli nel 1860. La presunta corona dei Borbone Napoli, che appare sovente nei quadri e foto di epoca, è evaporata nel nulla. Probabilmente è stata sottratta assieme ad altri gioielli di Francesco II e inviati a Torino e da lì si sono perse le tracce. Sempre nel 1860, appena approdati a Napoli, i piemontesi stavano per rubare nuovamente le magnifiche porte di bronzo del Maschio Angioino, ma la rivolta dei napoletani accorsi sul luogo ne impedirono il furto. La prima volta che tentarono di portare via queste porte fu dopo la discesa del re di Francia Carlo VIII nel 1494. Il monarca le fece smontare e caricare sulle sue navi, ma mentre tornava in Francia nel 1495, fu assalito dalla flotta genovese che recuperò e restituì il bottino. Una delle porte, messe sulle fiancate delle navi fu colpita da una palla di cannone.
Una richiesta irricevibile
Come ricorda Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera del 22 gennaio 2022, “questo rigurgito rivendicativo dei Gioielli della corona da parte dei Savoia, corresponsabili di una guerra catastrofica, arriva mentre nuovi studi, nuove ricerche, nuovi libri riportano alla luce come migliaia e migliaia di ebrei vennero rapinati di tutto ciò che avevano, dalle case ai macinini da caffè, nel silenzio assoluto della casa allora regnante. Che non disse una parola sulle persecuzioni neppure dopo essersi messa in salvo e oggi batte cassa”. Mentre gli ebrei depredati non furono mai risarciti.
Tutti gli italiani si sono giustamente irritati di fronte alle richieste degli eredi del “Re Porco” come fu chiamato Vittorio Emanuele II dalla contessa di Castiglione, che fu la sua amante, oltre che amante di Napoleone III. Questo re, altrimenti conosciuto come “Re Galantuomo” dalla storiografia agiografica ufficiale, fu il principale responsabile dell’annessione di tutti gli Stati italiani preesistenti, sfruttando l’anelito all’unificazione dell’Italia delle classi intellettuali. Che si annessione si trattò lo dimostra il fatto che si guardò bene di far eleggere un’Assemblea Costituente e scrivere una nuova Costituzione e in conseguenza della quale, i nuovi cittadini persero molti diritti e benessere economico di cui godevano in precedenza.
Per non parlare di Vittorio Emanuele III, il “re sciaboletta” che ha responsabilità forse ben maggiori.
Emanuele Filiberto il colpo finale sulla dinastia
Fortunatamente la personalità e l’indole dell’ultimo discendente per via diretta della dinastia, tal Emanuele Filiberto (ballerino, presentatore, spalla di Pupo a Sanremo, fondatore del micro-partito Realtà Italia e del camion-pizzeria californiano «Prince of Venice Food Truck»), ha sgombrato il campo di ogni possibile revanche e mentre c’è un corposo movimento neoborbonico, che tuttavia non mira alla ricostituzione del Regno delle Due Sicilie, ma a migliorare le cose del Sud, non c’è, fortunatamente un corrispondente movimento “neosabaudo”. Il sunnominato è rimasto sorpreso del mancato accoglimento della richiesta di restituzione ed ha dichiarato che “non si aspettava questo immotivato rifiuto essendo i beni di proprietà privata e non dello Stato Italiano e per questo adiranno legalmente per i riconoscimenti dei loro diritti, fino alla Corte Europea, se sarà necessario”.
Vedremo come andrà a finire ma c’è ampia materia per alimentare il trash e il kitsch dei media e dei social. Ma intanto non possiamo non tracciare un parallelismo sul diverso comportamento della dinastia dei Borbone Napoli che fu scacciata dal trono proprio dai Sabaudi e segnalatamente quello di Francesco II, detto di spregiativamente Franceschiello dai piemontesi e viceversa affettuosamente dai napoletani.
Francesco II abbandona il regno senza un ducato
Quando Francesco II il 7 settembre 1860 lasciò Napoli per andare a Gaeta e tentare l’ultima resistenza, lasciò nel caveau del Banco di Napoli il tesoro dello Stato, ma “convinto di tornare presto nella capitale: «dalle banche non ritirò i suoi depositi, dalla Reggia, più che opere d’arte e di valore venale, portò con sé oggetti di devozione e ricordi famigliari”( Gli ultimi Asburgo e gli ultimi Borbone in Italia – A. Archi Cappelli editore – Bologna 1965).
Successivamente i Sabaudi offrirono più volte all’ex re napoletano che versava in condizioni economiche disagiate, perché oltretutto non aveva costituito nessun deposito presso banche estere, la restituzione dei suoi averi personali, a condizione che rinunciasse ai suoi diritti sul trono di Napoli, richiesta che il sovrano respinse sempre sdegnosamente affermando che il suo onore “non era in vendita”.
Che fine hanno fatto quei ducati indebitamente sottratti dal Banco di Napoli? Nessuno lo sa, mentre gli arredi del palazzo reale di Napoli finirono nelle case dei conquistatores, a cominciare dal Generale Cialdini che si impossessò di numerosi candelabri d’argento e beni inestimabili.
Se restituzione vi deve essere, i Savoia restituiscano per prima e con i dovuti interessi i capitali indebitamente sottratti al popolo meridionale che ne è erede legittimo, in modo da poter contribuire, sia pure in maniera simbolica e mettere un tassello nella ricostruzione del Sud che per colpa dell’annessione del 1861 fu risprofondato nell’indigenza peggio che nel periodo del vicereame spagnolo!