A Natale tutti festeggiano la nascita di Gesù, ma ognuno in modo diverso seguendo antiche tradizioni locali: questa è la magia del Natale nel mondo.
Natale probabilmente si sovrappone a festività preesistenti, legate al solstizio d’inverno, il giorno più corto dell’anno durante il quale i popoli antichi, dai Romani ai Celti, festeggiavano la (ri)nascita del sole dopo le tenebre invernali.
Verso il 350, cioè tre secoli e mezzo dopo, il Papa Giulio I stabilì che la nascita di Gesù era il 25 dicembre.
Da quel momento in poi tutta la cristianità festeggiò in quella data la nascita del Redentore con delle cerimonie religiose.
L’Italia è il paese dei campanili per cui si può tranquillamente affermare che ogni quartiere ha la sua particolare tradizione che tende a conservare. E questo è un fatto positivo. Comunque, anche da noi una certa tendenza all’omogeneizzazione è molto forte.
Specie per quanto riguarda il pesce alla vigilia e la carne a Natale. Ma come detto non sempre è così. In Italia si mangia(va) così: In Veneto il piatto centrale è la polenta con il baccalà, in Lombardia l’anguilla al cartoccio, in Piemonte gli agnolotti e il bollito condito, in Valle d’Aosta la carne di manzo cotta col vino (carbonade), in Trentino canederli e capriolo, in Emilia Romagna tortellini e passatelli, in Molise il brodetto alla termolese, in Toscana il cappone ripieno, in Campania gli spaghetti con le vongole, il capitone e l’insalata di rinforzo, in Sardegna i malloreddus, in Sicilia la pasta con le sarde.
Insalata di rinforzo napoletana
E’ stato pubblicato un agile volumetto su Amazon “Le principali tradizioni di Natale nel mondo” che illustra le principali cerimonie religiose ed i cibi caratteristici delle feste.
Mentre il nord del pianeta festeggia il Natale al freddo e al gelo, nel Sud dell’emisfero si festeggia sovente a mare perchè è estate.
Vale la pena leggerlo, perchè si legge tutto di un fiato.
L’illuminismo fu una corrente di pensiero che nacque nel 1700, volta ad “illuminare” la mente delle persone oscurata da precetti religiosi, dalla superstizione e dal potere assoluto delle monarchie. A fianco dell’illuminismo inglese e francese si sviluppò il cosiddetto illuminismo napoletane che ebbe caratteristiche proprie di grande rilievo. I suoi esponenti furono Antonio Genovesi, Gaetano Filangeri, Ferdinando Galiani, Mario Pagano, Domenico Cirillo. Tutti mossero i loro passi dalle intuizioni di Giovan Battista Vico (1668 – 1744), il filosofo dei corsi e ricorsi storici.
Gaetano Filangieri terzogenito del principe di Arianiello, nacque a San Sebastiano al Vesuvio Napoli nel 1752 e morì a Vico Equense nel 1788 ma da adolescente dimostrò subito di preferire i giochi allo studio.
All’età di 17 anni cominciò a studiare letteratura e filosofia. Si interessò specialmente a quella parte delle scienze umane che più erano inerenti alla felicità dell’uomo e cioè la morale, la politica, la legislazione e la scienza del diritto. Nominato gentiluomo di camera dal re Ferdinando IV di Borbone entrò nel foro napoletano come avvocato trovando una magistratura in fase di sfacelo. Essa si rifaceva ancora alla giurisprudenza romana, sulla quale poi si erano sedimentati tutti i provvedimenti successivi, fino a quelli dell’ex vicereame spagnolo. In questa grande coacervo di norme, spesso contraddittorie potevano e si facevano impunemente strada l’arbitrio e la corruzione. Filangieri allora fece si fece promotore della cosiddetta “legge del ragionamento delle sentenze”, affermando che sentenze dovevano essere motivate e in base a quale disposizione veniva adottata. Una rivoluzione: oltre a contenere nei suoi giusti limiti i poteri dei magistrati, restituiva nel suo pieno vigore l’imperio delle leggi e l’imparzialità delle decisioni per porre riparo ad uno dei più gravi disordini che accompagnavano l’amministrazione della giustizia.
G. Washington B. Franklin
Ma non fu facile farla approvare, le resistenze furono enormi, ma alla fine con l’appoggio della Corte, essa passò e ciò costituì l’occasione per il filosofo di porsi in primo piano non solo a Napoli ma in tutte le capitali europee dove soffiava il vento dell’illuminismo. Filangieri si sposò e si trasferì a Cava dei Tirreni per dedicarsi interamente allo studio. Allora maturò il disegno di un’opera omnia in sette sezioni contenute in altrettanti volumi intitolata “La scienza della legislazione” Nel 1787 fu nominato consigliere del Consiglio delle Finanze del Regno e preso dagli impegni politici non poté portare a termine la tua opera fermandosi al libro quinto il quale uscì oltretutto postumo incompiuto nel 1791. Dei 7 volumi progettati ne pubblico solamente cinque.
La scienza della legislazione propone delle importanti riforme sulla procedura penale contro il persistente arbitrio feudale ,l’istituzione di una educazione pubblica di ispirazione laica e una riforma dell’economia e della tassazione. Sotto l’influsso del Genovesi e dei fisiocrati, che ritenevano i prodotti dell’agricoltura come unica fonte di ricchezza, si fece promotore della rimozione degli ostacoli di natura giuridico fiscale per lo sviluppo e la libertà del commercio dei prodotti agricoli. A tal proposito sostenne la creazione di un’imposta unica su tutti i prodotti della terra.
Tutti questi ragionamenti e proposte, sotto certi aspetti erano più avanzate di quelle dell’Illuminismo francese e ciò spiega perché il Filangieri ebbe un immediato successo e qualcuno ha anche affermato che le sue idee abbiano addirittura ispirato la rivoluzione francese. Ma è indubbio che ebbe delle ripercussioni anche al di là dell’Atlantico presso la nuova confederazione degli Stati Uniti d’America. La Chiesa non poteva accettare l’idea del “diritto alla felicità” mentre si era ancora vivi, perché smontava uno dei suoi pilastri fondamentali sulla felicità ultraterrena, cioè quella del Paradiso e si mise di traverso. Il diritto alla felicità su questo mondo, avrebbe comportato la fine della sottomissione dei popoli al potere costituito, la fine della rassegnazione e la sopportazione delle ingiustizie perché poi sarebbero stati successivamente ripagati. Ma il seme era gettato e germogliò rapidamente come rapidamente, colpito dalla tubercolosi Filangieri si ritirò definitivamente a Vico Equense dove morì nel 1788 a soli 35 anni.
Ferdinando Antonio Palasciano nacque a Capua in provincia di Caserta il 13 giugno 1815. All’età di 25 anni aveva già conseguito tre lauree: la prima in Belle Lettere e Filosofia, la seconda in Veterinaria e la terza in Medicina e Chirurgia conferitagli il 27 giugno 1840. Da giovane medico servì militarmente i Borboni rimanendo nell’esercito borbonico fino al 1849. L’esperienza vissuta quale Ufficiale medico contribuì a formarne il carattere.
Si interessò a problemi apparentemente insignificanti come l’ igiene dei soldati, pubblicando nel 1846 la “ Guida medica del soldato “ eppure fondamentali, considerando l’alta percentuale di morbilità dei soldati per dissenteria, malattie infettive ecc che riducevano costantemente gli organici mentre bastavano poche norme per salvaguardarsi. I quegli anni l’Italia era attraversata da rivolte insurrezionali e Palasciano invece di starsene tranquillamente a Napoli o Palermo in qualche clinica ospedaliera, seguiva i reparti che andavano a combattere. Operando sui campi di battaglia acquisì una forte esperienza sulle ferite in battaglie, sia quelle traumatiche, sia quelle da armi da fuoco, divenendo, come si direbbe oggi, un “chirurgo specialista in ferite di guerra “. Fu così che il nostro eroe fu illuminato dall’idea che avrebbe cambiato il modo di considerare i feriti nei campi di battaglia. Nel 1848 in Sicilia scoppiarono dei moti rivoluzionari. Gli scontri che si ebbero tra i borbonici ed i rivoltosi, lasciarono numerosi feriti sul campo di battaglia, allora si ordinò che fossero curati solo i soldati borbonici e lasciati al proprio destino i feriti nemici. Il Palasciano, però, tenendo fede al giuramento d’Ippocrate non tenne conto della disposizione e curò con la stessa scienza e coscienza sia i feriti borbonici che i rivoltosi ed anche i numerosi civili coinvolti nei combattimenti.
Di fronte a questa plateale insubordinazione, il generale Carlo Filangieri, figlio del più famoso illuminista napoletano Gaetano, lo fece arrestare per farlo giudicare dal Tribunale di Guerra. Il Palasciano si difese affermando che la sua missione di medico era più sacra del dovere del soldato perché la vita dei feriti di guerra era sacra. Era nata l’idea della neutralità e dell’intoccabilità dei feriti, che costituisce ancora oggi il nucleo centrale l’idea della Croce Rossa. Per questo Ferdinando Palasciano fu condannato alla fucilazione cambiata ad un anno di reclusione. Dopo la scarcerazione si interessò ancora ai problemi di sanità militare lottando con energia affinché venisse riconosciuta la neutralità dei feriti di guerra. Caduta la monarchia borbonica, passato nelle file piemontesi, in occasione del Congresso Internazionale dell’Accademia Pontaniana svoltasi a Napoli nell’aprile del 1861, affermò: “ Bisognerebbe che tutte le potenze belligeranti, nella Dichiarazione di Guerra, riconoscessero reciprocamente il principio di neutralità dei combattenti feriti per tutto il tempo della loro cura e che adottassero rispettivamente quello dell’aumento illimitato del personale sanitario durante tutto il tempo della guerra “. Con questo discorso che ebbe una vasta eco in tutto l’Europa e che, tre anni più tardi, sarà alla base delle Convenzione di Ginevra, Palasciano proclamò per la prima volta, uno dei più importanti principi fondamentali della Croce Rossa di cui è giustamente ritenuto il precursore. Ma Palasciano non fu solo un teorico, un medico intellettuale, fu anche un medico operativo divenendo un chirurgo famoso in Italia ed in Europa. Eseguì migliaia di interventi e di questi molti con tecnica personale altamente innovativa.
Fu chiamato a consulto poi da Garibaldi per curare la sua ferita da arma da fuoco al malleolo mediale del piede destro subita durante un combattimento sull’Aspromonte. Fu poi Deputato, Senatore del Regno, Consigliere ed Assessore al Comune di Napoli. Collezionò molti onori, ma non a quello cui ambiva più di tutto: partecipare alla creazione della costituenda organizzazione che avrebbe curato i feriti di guerra. Infatti il governo italiano, invitato da quello svizzero a nominare un delegato che lo rappresentasse in occasione dell’assemblea costitutiva della Croce Rossa, fece il nome del Dott. Baroffio e del Capitano Cottrau anziché quello del Palasciano che tanto aveva dato perché quell’idea fosse realizzata. Con la Convenzione di Ginevra (8-22 agosto 1864) fu sancita la neutralità delle strutture e del personale sanitario. Il primo delegato della Croce Rossa Italiana fu nominato il medico milanese Cesare Castiglioni ed il primo Comitato italiano è quello di Milano istituito il 15 giugno 1864 ebbe sede a Milano. Dopo questo smacco Palasciano impazzì letteralmente e manifestò sovente sintomi di follia intervallati da lucidità. Morì a Napoli il 28 novembre del 1891 praticamente dimenticato da tutti.
Raffaele Liberatore (Lanciano, 22 ottobre 1787 – Napoli, 11 giugno 1843) è stato uno storico e filologo italiano.
Il colpo di fortuna della sua vita lo ebbe nel 1806 quando, nel corso di una visita a Chieti da parte del Marchese del Gallo, ministro degli esteri del Regno di Napoli, illustrò un lavoro redatto da suo padre. Il ministro fu colpito dalla maturità del giovane e lo prese come collaboratore. Al ministero fece rapidamente carriera e nel 1811 fu nominato addirittura capo di gabinetto. I moti del 20/21 Alla caduta di Napoleone, il Congresso di Vienna, dove primeggiò il principe austriaco Metternich ridisegnarono un’Europa con uno sguardo rivolto al passato attuando una cieca politica di restaurazione. Si giunse perfino a ripristinare le parrucche bianche! Le élites europee specie quelle di origine borghesi, non volevano rinunciare alle conquiste civili e politiche che le idee della Rivoluzione francese avevano propalato in tutta Europa. Così intellettuali, aristocratici e soldati ex napoleonici si organizzarono dappertutto in sette segrete mirando ognuna di esse ad interessi specifici del proprio paese. Bisogna ricordare che in quel periodo molti Stati erano multietnici, con lingue, culture e popolazioni diverse, come per esempio era costituito l’impero austroungarico. I fermenti nazionalistici erano forti anche in Italia divisa ancora in una moltitudine di staterelli. La Carboneria napoletana, composta principalmente da ex murattiani con a capo il generale Guglielmo Pepe, incoraggiati dal successo spagnolo, organizzò anch’essa una rivolta. Il 2 luglio due sottotenenti di cavalleria, Morelli e Silvati, si sollevarono con il loro squadrone e occuparono Avellino fra l’indifferenza degli abitanti. Il 7 luglio Ferdinando I concesse la Costituzione spagnola.
Francesco I Vocabolario della Crusca
Metternich, consapevole che in Spagna e a Napoli si giocava il sistema istituito a Vienna nel 1815, decise di intervenire con la forza. Nel gennaio 1821 il re Ferdinando I fu convocato a Lubiana e costretto a ritirare Costituzione. Durante e dopo i moti liberali del 1820/21, Raffaele Liberatore, pur aspirando ad una maggiore libertà intellettuale fu molto cauto evitando di prendere una posizione decisa. Questo non gli evitò guai ed amarezze in quanto la rivista politica “La Minerva napolitana”, non nascondeva pienamente il suo pensiero politico, anzi, auspicava la nascita di una confederazione fra gli Stati italiani, anticipando in qualche modo gli ideali di Vincenzo Gioberti. Costui nel 1843 aveva pubblicato “Del primato morale e civile degli italiani”, nel quale come soluzione ad una improbabile, per allora, unificazione politica della Penisola, stante l’esistenza dello Stato della Chiesa, prospettava la creazione di una federazione fra gli stati italiani guidata del papa. L’opera ebbe un successo enorme, perchè dava una soluzione semplicistica a un problema molto complicato e la successiva elezione di un papa ritenuto “liberale”, Pio IX nel 1846, ne amplificò gli echi possibilisti. A causa di questi ideali il Liberatore perse il favore dei borbonici. Nel 1825 fu condannato all’esilio. Rifugiandosi con moglie e figlia a Roma rimase fino al 1828, quando graziato da Francesco I delle Due Sicilie poté tornare a Napoli.
In quel periodo maturò l’idea del lavoro che lo avrebbe reso famoso, “Il Vocabolario universale italiano”, noto come “Tramater” dal nome della tipografia che lo pubblicò nel 1829. Il primo vocabolario della lingua italiana risale al 1612 a cura dell’Accademia della Crusca, un’istituzione culturale fondata a Firenze nel 1583.
L’originalità ed il valore del Tramater stanno nel metodo utilizzato sia per esporre ciascun vocabolo nella lingua letteraria che in quella comune. L’opera di Liberatore presenta un’importante innovazione rispetto alla tradizione lessicografica italiana, con la divisione in sillabe dei lemmi e le indicazioni relative alla loro pronunzia. Di ciascuna voce, inoltre, si indicarono la categoria grammaticale e le irregolarità morfosintattiche.
Ma non si limita alle parole, è anche un’enciclopedia e proprio come un’enciclopedia, il lemmario del Tramater include anche i nomi propri (geografici, astronomici, mitologici ecc.) e accoglie con larghezza termini delle più diverse discipline tecnico-scientifiche, in particolare della botanica, zoologia, chimica e medicina, includendo tutti quei neologismi tecnico-scientifici e giuridici, entrati a far parte della lingua italiana a partire dal Settecento. il Tramater, dedicato ai diversi aspetti dell’italiano antico e moderno, è un’opera lessicografica più vasta, originale e ricca della lingua italiana che fece da apripista al successivo Dizionario della lingua italiana di N. Tommaseo (1861-79).
Colpito da ictus il 10 giugno 1843 a Napoli davanti al teatro San Carlo, Liberatore morì all’alba del giorno dopo; Lanciano gli ha dedicato la Biblioteca civica.
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