14 febbraio 1861: Francesco II si arrende ai piemontesi. Finisce la dinastia Borbone di Napoli

La partenza di Francesco II e Maria Sofia

Il 14 febbraio è il giorno di San Valentino, festa degli innamorati, ma 160 anni fa, dalle parti di Gaeta c’era poco da festeggiare, a parte il fatto che non si festeggiava ancora niente.

Quel giorno Francesco II di Borbone, il famoso Franceschiello che la Curia napoletana e moltissimi partenopei lo vogliono Santo, sicuramente aveva altri e più gravi pensieri. Il giorno prima, il 13 febbraio 1861 aveva firmato la resa con l’esercito sabaudo e il 14 lasciava Gaeta per non tornare più a Napoli. Oltre che sconfitto, se ne andava anche povero, perché il i Piemontesi avevano congelato i suoi beni al Banco di Napoli e li avrebbero restituiti solo se Francesco avesse rinunciato ai suoi diritti al trono. Al che il re di Napoli, ormai ex, aveva risposto sprezzante che i suoi diritti non erano in vendita.

Contemporaneamente un altro sconfitto della partita, messo da parte dopo aver regalato chiavi in mano un regno florido e con i bilanci in ordine, Garibaldi approdava a Caprera dopo aver rifiutato il titolo di Duca. Garibaldi Duca, ve lo immaginate?

La resistenza di Gaeta

L’epopea dell’assedio di Gaeta è generalmente omessa dalla storiografia oppure appena accennata. Invece fu un episodio fondamentale almeno per il riscatto morale della dinastia, dell’ultimo re napoletano e dei soldati meridionali. Cialdini, capo dell’esercito assediante, aveva fatto costruire in brevissimo tempo 18 chilometri di strade compresi 15 fra ponti e viadotti, così da poter far arrivare velocemente armi, munizioni e viveri che viceversa scarseggiavano nella piazzaforte napoletana.
Cialdini e Cavour erano convinti di annientare il nemico senza pietà e senza fare prigionieri in poco tempo, al massimo una decina di giorni. Invece dovettero penare 3 mesi.
Dal 12 novembre 1860 fino al 13 febbraio 1861, il Re con i resti dell’esercito, tentarono l’ultima resistenza. Francesco II aveva 20mila soldati, a fronteggiarli 18mila piemontesi.

L’eroismo della Regina Maria Sofia

Maria Sofia di Baviera

Durante l’assedio grande aiuto gli venne dalla moglie Maria Sofia , sorella della più famosa imperatrice Sissi. Maria Sofia fu la vera ed infaticabile eroina delle 102 giornate. Essa aveva appena 19 anni. Libera dall’atmosfera chiusa della corte, da ogni etichetta e formalismo, partecipò attivamente alla difesa di Gaeta. Incurante del fuoco nemico, si aggirava a tutte le ore fra gli spalti, andava a soccorrere i feriti, incitando gli altri alla lotta.
Mentre da una parte di soffriva la fame, la sete, il freddo e le malattie, dall’altra gli ufficiali sabaudi, molti dei quali neppure parlavano l’italiano, ben alloggiati nelle requisite ville circostanti facevano la bella vita con sontuosi banchetti allietati da “vivandiere” venute al seguito delle salmerie e godendo perfino concerti e battute di caccia.

Tuttavia i napoletani resistevano!
Questa inattesa resistenza scompaginava il facile finale immaginato da Cavour, cioè la presa della fortezza da parte dei bersaglieri che irrompevano nella fortezza con la fanfara in testa. La cosa lo preoccupava non poco. Il fronte diplomatico era magmatico e gli altri Stati europei potevano sempre cambiare idea di fronte a questa resistenza e alla mancata ribellione dei napoletani contro il sovrano borbonico. I plebisciti non impressionavano nessuno, si sapeva che erano artefatti.
I tre mesi d’assedio impressionarono l’opinione pubblica europea per i comportamenti eroici e valorosi dei soldati , del re e della regina Maria Sofia. Ma quello che non riuscirono ad avere le armi, il Piemonte l’ottenne da un’epidemia di tifo scoppiata nella fortezza. Allora dopo tre mesi di lotta, il re dovette capitolare.

La resa
La resa fu firmata il 13 febbraio 1861, il giorno dopo, il 14 febbraio, Francesco II con accanto la regina Sofia riunì nello spazio antistante la fortezza i resti del suo esercito per prendere congedo. Calmo e rassegnato aveva preso atto del suo destino. Ancora una volta non gli era stato concesso la fortuna di morire sul campo nonostante si fosse esposto coscientemente sugli spalti dove più forte era il pericolo.
Dopo un breve discorso si recò al porto per imbarcarsi su una nave messa a disposizione dalla Francia


Mentre lasciavano Gaeta ed il Regno con la nave francese Mouette, furono sparati 21 colpi di cannone a salve e quando la nave fu lontana sull’orizzonte, sulla torre d’Orlando fu ammainato il tricolore con lo stemma borbonico e issato quello con lo stemma sabaudo.

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