Nell’impresa dei mille non vi fu nessun abbaglio. La narrazione agiografica narra di un espediente di Garibaldi per confondere i nemici sulla sua reale direzione di marcia. I borbonici invece erano consapevoli di inseguire il disertore Orsini. l’unico abbaglio lo presero i siciliani che pensavano di andare a star meglio, ma in pochi anni la loro situazione era irrimediabilmente peggiorata.
Il protagonista dell’abbaglio fu Vincenzo Giordano Orsini (Palermo, 1817 – Napoli, 1889) un ex ufficiale borbonico che divenne un protagonista della rivoluzione siciliana del 1848 e della spedizione dei Mille di Garibaldi. Figlio a sua volta di un ufficiale borbonico, studiò alla prestigiosa Nunziatella di Napoli e si specializzò in artiglieria, distinguendosi per le sue capacità tecniche. Nonostante la sua iniziale fedeltà ai Borbone, si avvicinò agli ambienti antiborbonici e mazziniani, prendendo parte attiva alla rivoluzione scoppiata in Sicilia nel 1848, durante la quale organizzò le difese e divenne comandante dell’artiglieria siciliana.
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Dopo la riconquista dell’isola da parte delle truppe borboniche guidate da Carlo Filangieri, Orsini fu costretto all’esilio e si rifugiò a Istanbul, dove si arruolò nell’esercito ottomano con il grado di colonnello di artiglieria, assumendo il nome di Osman Bey. Partecipò alla Guerra di Crimea come ufficiale di collegamento con le forze franco-inglesi, prima di rientrare in Italia nel 1859 e rifugiarsi in Piemonte.
Nel 1860 si unì alla spedizione dei Mille e ottenne il comando dell’artiglieria garibaldina. Fu protagonista della battaglia di Calatafimi, che segnò l’inizio della rapida caduta del Regno delle Due Sicilie.
La battaglia di Calatafimi vinta contro ogni pronostico da Garibaldi, fu il primo plateale esempio dell’incapacità politico- militare che inizialmente si pensò riguardasse solo la Sicilia, ma invece riguardava tutto il regno che da apparente solida costruzione, collassò in cinque mesi, quanti ce ne vollero a Garibaldi dallo sbarco a Marsala all’inizio maggio 1860 a prendere Napoli senza colpo ferire all’inizio di settembre 1860.
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Dopo Calatafimi il grosso della truppa napoletana veniva disorientata dagli ordini e contrordini che Ferdinando Lanza (Nocera 1788 – Napoli, 1865), tenente generale nell’Esercito e poi luogotenente generale del Regno delle Due Sicilie per l’Isola, emanava da Palermo. Malgrado ciò,
Malgrado ciò, il 24 maggio il comandante napoletano Mechel giunto ad Altofonte da ovest, passò all’attacco. A nord, dalla strada di Palermo, giungeva un’altra brigata borbonica, al comando del gen. Filippo Colonna. Prima di essere chiuso a tenaglia Garibaldi si svincolò, dirigendosi a sud verso Piana dei Greci, mentre la retroguardia, formata da una banda di picciotti, si scontrava a nord di Parco con le truppe di Colonna. Con i garibaldini in fuga le due brigate borboniche vennero fermate da un ordine di Lanza che bloccò l’inseguimento.
Ormai i soldati napoletani erano convinti che Lanza si fosse venduto agli inglesi.
A fianco di generali inetti ed incompetenti se non corrotti, ci furono anche dei valorosi soldati che avrebbero potuto cambiare il corso della storia di Napoli, ma non assursero mai a posti di comando di primo piano. I più valorosi e capaci furono Von Mechel e Beneventano del Bosco.
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Garibaldi la stessa sera del 24 si fermò a Piana dei Greci, riunì i suoi luogotenenti per decidere il da farsi. Le alternative erano due: dirigersi verso l’entroterra e scatenare la guerriglia o puntare su Palermo e tentare il colpo grosso per conquistarla. Si decise per la seconda opzione e inviò verso Corleone Vincenzo Giordano Orsini) con i cinque cannoni, i carri, 40 garibaldini e 150 picciotti; egli, col resto delle forze, deviò verso nord-est.
Mechel contrariamente alla storiografia apologetica ufficiale, avendo individuato la colonna del disertore Orsini, decise di inseguirlo per sconfiggerlo e catturarne l’artiglieria, ritenendo sufficiente la brigata Colonna per fermare Garibaldi. Nel suo rapporto Orsini però così la racconta:
“Il Dittatore concepì una ardita manovra che aveva per iscopo d’ ingannare l’inimico ed allontanarlo dalla capitale, nel mentre che il nostro Esercito vi si sarebbe precipitato” . Da qui il presunto “abbaglio” dei borbonici che pensavano di inseguire Garibaldi. Mechel era ben consapevole di inseguire il disertore Orsini che vistosi alle strette si ritirò verso le 3 del pomeriggio.
Durante l’avanzata garibaldina, Orsini giocò un ruolo strategico nella conquista di Palermo, organizzando un’azione diversiva che contribuì a disorientare le forze borboniche. Diresse l’artiglieria nella battaglia di Milazzo, nella campagna calabrese e nella decisiva battaglia del Volturno, fino all’assedio di Capua.
Dopo l’Unità d’Italia, fu nominato generale e continuò a operare in ambito militare, ma come molti altri patrioti meridionali, vide svanire le speranze di rinnovamento per il Sud Italia. Trascorse gli ultimi anni di vita impegnato in associazioni di reduci e di assistenza sociale.
Morì a Napoli nel 1889, ormai dimenticato dalla politica e dalla storiografia ufficiale.