Astio borbonico antirisorgimentale: Come ti bollo il meridionale che protesta

da Repubblica 29/4/2021

Dopo che molti accreditano a tutti i meridionali un dna borbonico, adesso si scopre che sono anche astiosi antirisorgimentalisti e in sostanza razzisti come alcuni settentrionali. La afferma Francesco Merlo sulle pagine della sua rubrica che cura sul quotidiano La Repubblica edita dalla casa editrice Gedi della Fiat (una specie di “La Stampa” più illuminata) in una risposta ad un lettore il 29/04/2021.

Francesco Merlo per quei pochi che non lo conoscessero è un giornalista dalla prosa fluente ed affascinante, anche se appartiene alla categoria di chi si sente elitario ed illuminato e discetta con sarcasmo moraleggiante. Comunque si legge sempre con piacere ma non sempre ci azzecca. Anche lui non rifugge dall’uso di un linguaggio stereotipato di facile effetto basato sulla ripetizione di vecchi cliché. Cosa verificabile nella risposta di un lettore che paventava il cattivo uso delle somme recentemente stanziate nel cosiddetto PNRR per colpa alcuni attuali uomini politici (cosa possibilissima e tendenzialmente vicino alla realtà),ma non uomini politici in generale, ma quelli meridionali, citandone per nome alcuni. In effetti quelli tirati in ballo un po’ da pensare lo danno, in quanto ampiamente discutibili ma che comunque occupano posti istituzionali non a seguito di usurpazione ma di libere e finora democratiche elezioni.
La risposta di Merlo è da manuale

Lettera: Caro Merlo, il piano di Draghi prevede che il 4O per cento delle risorse vadano al sud. Ma una foIla di sindaci, con intesta MastelIa e De Magistris dicono che il Sud è stato “ fottuto”…. E qui comincia l’aritmetica taroccata: “ dei piazzisti: Non ve lo do per cento, non ve lo do per mille: Se Draghi sommando arriva a 82 miliardi, Mastella sottraendo, arriva a 22 e dice “ne mancano 60”. E De Luca accusa Draghi di furbizia… Da meridionale a meridionale: “ a schifio finisce?”
Risposta: 82 miliardi: alta velocità, porti, scuole, ospedali, banda digitale ultraveloce, protezione del mare e sul Ponte sullo Stretto c’è una relazione e sarà inviata al Parlamento”. Da meridionale a meridionale: è un’occasione unica, ma con un nemico peggiore dell mafia: il rancore plebeo sul quale continuano a lucrare questi masanielli, la vecchia sottocultura dell’astio borbonico e antirisorgimentale, un delirio opposto ma solidale al razzismo del Nord. Ha ragione: “a schifio finisce”.

Andiamo invece un po’ nel merito della questione: il 14 febbraio 2020 più un anno fa, l’allora ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano presentò il piano di rinascita per il Sud con relative e allora immancabili slide chiamato Piano Sud 2030. In quell’occasione l’ex ministro ebbe a scrivere:
“Manca il lavoro buono, certo. E servizi di qualità: scuola, salute, mobilità. Ed i giovani se ne vanno. Ma la prima causa della fuga, o della fatica di quelli che restano, è l’incertezza e la sfiducia sulle prospettive di futuro del Sud, da qui a dieci, vent’anni.
L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà. La sfida del Sud è la più difficile di tutta la nostra storia unitaria.
La politica ha il compito di creare e diffondere condizioni di benessere, accelerare e supportare i processi virtuosi. La premessa è dare risposte alle emergenze e ai bisogni, dove necessario riconquistare territori e cittadini alla legalità.
Nel suo discorso programmatico d’insediamento lo scorso febbraio Draghi ha detto le cose ovvie che immaginavamo con misurata ma immancabile retorica.
In merito al Mezzogiorno anche qui un trionfo dell’ovvio senza nessun riferimento al Piano Sud 2030.

La quota Sud nelle 6 missioni
Scomparso il Piano sud dal proscenio, è stato varato con squilli di tromba e rullare dei tamburi il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza . Resilienza è un termine originariamente utilizzato in psicologia e sta a significare  la capacità di far fronte in maniera positiva a qualcosa e nella fattispecie penso alla pandemia.
Questa resilienza e ripresa prevede per il Sud in totale 82 miliardi di euro, pari al 40% del totale delle risorse del piano stesso. Nello specifico per la missione “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura” sono previsti 14,58 miliardi (pari al 36,1% dell’intera dotazione della missione), per “Rivoluzione verde e transizione ecologica” 23 miliardi (il 34,3%), per “Infrastrutture per la mobilità sostenibile” 14,53 miliardi (53,2%), per “Istruzione e ricerca” 14,63 miliardi (45,7%), “Inclusione e Coesione” 8,81 miliardi (39,4%) e per “Salute” 6 miliardi (35-37%).
Non si sa se queste cifre si aggiungono o assorbono quelle già previste per il piano Sud, perché se non si aggiungono le esternazioni di alcuni sindaci sovente più noti per il loro folclore lessicale che per interventi amministrativi incisivi in qualsiasi direzione, francamente non mi sembrano cosi immotivate e per dimostrare che non si è astiosi di matrice borbonica e solidali del razzismo del nord, si tralascerà di sottolineare che la maggior parte dei ministri dell’attuale compagine sono settentrionali. Come i padri della Patria d’altronde,( in ordine alfabetico ) Cavour, Garibaldi, Mazzini e Vittorio Emanuele II, tutti settentrionali.

Ma il recovery plan e il PNRR daranno la svolta all’Italia? Tutti lo sperano ma pochi ci credono.

Il 26 aprile 2021, il giorno dopo quello di commemorazione della liberazione dalla dittatura, il capo del governo nominato si è presentato alla Camera dei Deputati per illustrare il Piano nazionale di ricostruzione e resilienza(?), forse perché il termine Resistenza era già utilizzato per il 25 aprile, esordendo in questo modo: “Sbaglieremmo tutti a pensare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pur nella sua storica importanza, sia solo un insieme di progetti tanto necessari quanto ambiziosi, di numeri, obiettivi, scadenze. Vi proporrei di leggerlo anche in un altro modo. Metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle dei giovani, delle donne, dei cittadini che verranno. Le attese di chi più ha sofferto gli effetti devastanti della pandemia. Le aspirazioni delle famiglie preoccupate per l’educazione e il futuro dei propri figli. Le giuste rivendicazioni di chi un lavoro non ce l’ha o lo ha perso. Le preoccupazioni di chi ha dovuto chiudere la propria attività per permettere a noi tutti di frenare il contagio L’ansia dei territori svantaggiati di affrancarsi da disagi e povertà. La consapevolezza di ogni comunità che l’ambiente va tutelato e rispettato. Ma, nell’insieme dei programmi che oggi presento alla vostra attenzione, c’è anche e soprattutto il destino del Paese. La misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale.”
Come si diceva nel periodo borbonico, quello regressista,” la bocca è nu bello strumento, beato a chi la sa usare” ovvero “chiacchiere e tabacchere di legn il Banco di Napoli non l’impegn”.
I progetti principali sono: la riforma della pubblica amministrazione, la riforma della giustizia, la riforma di qualche altra cosa che so la scuola, la ricerca la sanità e le infrastrutture.
Praticamente le stesse parole d’ordine dei Comitati di liberazione nazionale del 1945 e del successivo piano Marshall dal nome del politico statunitense che lo illustrò il 5 giugno 1947 e che ufficialmente si chiamava “ European Recovery Program
Così esordì: Non ho bisogno di ricordare a voi signori che la situazione del mondo è molto seria. Ciò dev’essere evidente a tutte le persone intelligenti. Ma i cittadini di questo nostro paese vivono lontani dalle aree instabili e turbolente della terra ed è difficile per loro comprendere i guai e le reazioni di popoli che soffrono da troppo tempo, e gli effetti che queste reazioni hanno sui loro governi in rapporto ai nostri sforzi di promuovere la pace nel mondo.
Nel considerare i requisiti necessari alla ricostruzione dell’Europa sono state stimate correttamente le perdite di vite umane, la distruzione visibile di città, fabbriche, miniere e ferrovie, ma nei mesi recenti è diventato ovvio che questa distruzione visibile è stata probabilmente meno grave dello sconvolgimento dell’intero tessuto dell’economia europea. Nei dieci anni passati le condizioni sono state assai anormali. ………
La verità è che, per i prossimi tre o quattro anni, i bisogni dell’Europa in materia di derrate alimentari e altri prodotti essenziali provenienti dall’estero – soprattutto dall’America – sono così superiori alla sua attuale capacità di pagamento che dovrà avere ulteriori e sostanziali aiuti, pena l’aggravamento della sua situazione economica, sociale e politica.

A parte l’effetto demoralizzante sul mondo intero e i disordini che possano derivare dalla disperazione delle popolazioni interessate, le conseguenze di tutto ciò sull’economia degli Stati Uniti dovrebbero essere evidenti a tutti. È logico che gli Stati Uniti debbano fare quanto è in loro potere per favorire il ritorno di normali condizioni economiche nel mondo, senza le quali non può esserci né stabilità politica né pace sicura.”
Naturalmente si trattò di un investimento per gli Usa in quanto con i dollari prestati ( solo una piccola parte erano a fondo perduti) si dovevano comprare merci statunitensi. Infatti furono inviati migliaia di consiglieri economici statunitensi in Europa che attraverso l’ Economic Cooperation Administration (ECA), l’ufficio preposto alla collocazione degli aiuti controllavano e indirizzavano. Come si vede è un deja vu. Su molte merci, specie quelle alimentari, era stampigliata la scritta : “ Dono degli Stati Uniti “ Ma comunque la cosa funzionò e l’Europa occidentale, Italia compresa si risollevò dal baratro in cui era precipitata e si fanno tutti gli scongiuri per una riuscita di questo secondo piano Marshall, come viene nominato il Recovery Plan anche se fra il dire ed il fare c’è in mezzo il mare e lo dimostra il fatto che dopo 76 anni dalla liberazione stiamo a discutere sempre delle stesse riforme.

Anche Napoli aspetta Godot : Una città poliedrica e dolente alla ricerca di uno sbocco che non arriva mai

Napoli, una città poliedrica, dolente ma vivace perennemente alla ricerca di uno sbocco finale positivo che non arriva mai.
Togliendo le pizze, il sole e le canzoni, parlare di questa città è sempre complicato.
La vita sociale e quindi politica economica e civile a Napoli non è nata ieri, perché ha circa 3000 anni, tutto sommato portati abbastanza bene. La fondazione ufficiale di Neapolis, ubicata in quello specchio di mare ai piedi del Vesuvio, dove si lasciò morire la sirena Partenope per non essere riuscita ad ammaliare Ulisse con il suo canto, risalirebbe al 21 dicembre 475 a.C., giorno del solstizio d’inverno, perché la fondazione di una nuova città avveniva quasi sempre in concomitanza di fenomeni astronomici, come il solstizio o l’equinozio.

La fondazione non avveniva in un deserto, in quanto quel pezzo di territorio campano era abitato anche precedentemente. Del periodo romano, sia repubblicano che imperiale non abbiamo molte notizie della vita di Napoli, se non ciò che possiamo desumere da quella che si svolgeva a Pompei ed Ercolano.
L’irruzione di Napoli nella storia come protagonista avviene dopo la caduta dell’impero romano. I normanni, Federico II di Svevia, gli angioini, gli aragonesi, gli spagnoli, i Borbone, i Savoia e infine la Repubblica Italiana.
Il filo rosso che unisce questi passaggi storici è costituito da un modello culturale quasi antropologico, che si è sommariamente tratteggiato nell’articolo “ i meridionali sono tutti borbonici?
Esso coinvolge il modus vivendi e operandi, cioè il modo di vivere e di operare dei napoletani. Le descrizioni di questi modi comportamentali sono molteplici e ne hanno riferito autori non di secondo piano come Goethe, Dumas eccetera, e ne hanno cantato infiniti artisti napoletani ( per artista intendo scrittori letterati, pittori, attori, storici, cantanti, artigiani specialisti presepiali). Due scrittori per tutti agli antipodi: Curzio Malaparte e Giuseppe Marotta.
Insomma attraverso il tempo si sono dipanati avvenimenti storici, spesso cruenti e disastrosi, guerre, epidemie, terremoti, eruzioni , le istituzioni, civili e religiose che hanno plasmato il carattere dei napoletani che pur ignorando hanno dovuto applicare la teoria dell’evoluzionismo di Darwin per continuare a campare, teoria che a Napoli si sarebbe tipizzata nell’arte di arrangiarsi.
Naturalmente le cronache attraverso i secoli hanno evidenziato come anche ai giorni nostri, ma con maggior affidabilità, in quanto le fake news erano di minor portata e frequenza, le situazioni da “prima pagina” rispetto alle situazioni di normalità espressi quotidianamente per vivere, che come sappiamo non è attività pacifica e tranquilla, tanto è vero che si parla di lotta per la vita ( A Napoli come in tutto il resto del pianeta).
Questo ha fatto emergere il cliscé (cliché) dei napoletani infingardi, lazzaroni, pressappochisti, approfittatori, cui basta il sole, la pizza, una bella guagliona e tirramm’annanz.
La questione sul modo di vivere dei napoletani e del loro carattere ancestrale, è riesplosa con la trasmissione su Napoli curata da Corrado Augias per la Rai per il ciclo “Città Segrete”.

I social si sono ribellati al modello di rappresentazione ritenuto molto stereotipato con innesti storici che rafforzano gli antichi convincimenti radicati su Napoli anche se Augias non ha mandato in onda i mandolini, la pizza ed i presepi di San Gregorio Armeno. Ma focalizzato la sua attenzione sulla camorra e sul lato nascosto di Maradona.
Molti hanno rilevato sono stati molto più obiettivi gli Angela, padre e figlio con le loro trasmissioni tipo Quark o Ulisse, anche se sono sempre impregnati di filosabaudismo, specie quando si affrontano situazioni attinenti al Risorgimento.
Augias ha risposto risentito su Repubblica: “Credo che la rumorosa suscettibilità di alcuni napoletani davanti ad una visione critica della loro splendida città afflitta da molti mali sia un ostacolo serio al suo miglioramento”. Aggiungendo ( plurale maiestatico) “Noi non facciamo cartoline illustrate.” Le spiegazioni sono in parte accettabili ma non completamente, perché quello che lui descriveva o denunciava, in effetti di segreto non aveva proprio niente.
Io invito a vedere su Youtube la recente storia del Regno sulle due Sicilie che in parte spiega un po’ meglio le cose, ma non ci assolve completamente.


Napoli sostanzialmente è in perenne attesa di Godot, ma non se ne sta tranquilla e fiduciosa come i personaggi della commedia dell’assurdo.
Aspettando Godot” è una piece di Samuel Beckett del 1952 che fa parte del cosiddetto teatro dell’assurdo. Due personaggi Vladimiro ed Estragone seduti sulla scena vuota, tranne la presenza di un albero, da cui cadono le foglie ( a significare il tempo che passa), aspettano che arrivi Godot. Egli risolverà tutti i loro problemi. Godot non arriva, ma manda sempre messaggi tramite un ragazzo in cui avvisa che arriverà domani. Un domani che non arriverà mai!
Anche Napoli aspetta Godot e probabilmente lo aspetta dal 22 dicembre 475 a.C., cioè il giorno successivo alla sua fondazione.

I meridionali sono borbonici? Resistono i luoghi comuni su un inventato behaviorismo antropologico

In una delle rare trasmissioni di Rai StoriaPotere e bellezza – I Borboni”, la tivù di Stato tratta diffusamente delle realizzazioni fatte a Napoli dai Borboni, concentrandosi in maniera particolare sul sovrano che regnò più a lungo e segnò in maniera determinante se possiamo dire così, il carattere e l’anima il regno, Ferdinando I.

Fu un re popolarissimo diversamente da come si pensa, non fu un conservatore, bensì un illuminista, basti pensare l’esperimento marcatamente socialista di San Leucio di cui pochi sanno cos’è. Diciamo che fu un borbonico progressista. La trasmissione è da vedere prima di tutto perché vengono presentate le magnifiche realizzazioni fatte da quel sovrano come la Reggia di Caserta e la Chiesta di San Francesco di Paola a Piazza Reale, ora piazza Plebiscito e poi perché quando si tratta del Regno delle Due Sicilie gli autori di muovono con i piedi di piombo, perché appena vengono accennati gli aspetti politici, si ritorna alla vecchia vulgata. Come dire: “ Si hanno realizzato queste cose meravigliose, ma sempre borbonici erano!”

Infatti se andiamo a leggere il Dizionario di Italiano Sabatini Coletti, alla voce “borbonico” siamo informati che l’ aggettivo “borbonico” è relativo alla famiglia francese dei Borboni che regnò sull’Italia meridionale dal 1735 al 1860, mentre figurativamente sta a significare reazionario e conservatore.
Per mentalità borbonica si intende persona inefficiente, lenta, mentre con riferimento all’amministrazione del Regno di Napoli sotto i Borboni si intende una burocrazia inefficiente e corrotta.
Celebre è l’aneddoto, falso, attribuito al Re in merito alla richiesta di aumento di una guardia doganiera.

Ordunque una guardia addetta alla dogana, con numerosa prole da sfamare, spinta dalla moglie, chiese un appuntamento al re per ottenere un aumento del suo stipendio. Quando il re lo ricevette, perché Ferdinando riceveva tutti, rispose figlio mio le casse dello Stato sono vuote e non c’è un centesimo e poi se aumento a te devo aumentare a tutti i doganieri. Tu fa na cosa, nun firmà.
La guardia uscì perplessa ma deciso ad obbedire, quindi il giorno dopo con mille pretesti non firmò le bollette delle merci in entrata a Napoli ed i mercanti non potettero vendere. Ma il giorno dopo le richieste di vidimazione furono accompagnate da fiaschi di vino e sacchi di farina e la guardia firmò.

Borbonico sta anche a significare seguace dei Borboni, se è un seguace contemporaneo si dice che è un “neoborbonico”.
Questo dizionario in effetti stabilisce una sorta di behaviorismo antropologico anche qui suffragato dalle solite rappresentazioni del divario esistente in tutti i campi fra il nord ed il sud del paese ed in ultimo l’andamento delle vaccinazioni che puntualmente vede agli ultimi posti le regioni meridionali, anche se con percentuali che superano il 70%. Il behaviorismo è teoria socio psicologica che viene dall’inglese behaviour «comportamento» cioè il modo di porsi dell’individuo in determinate situazioni, una sorta di sommatoria di riflessi condizionati come quelli del famoso cane di I.P. Pavlov.
In questo caso il conservatorismo mentale viene imputato come fattore genetico immodificabile, già diagnosticato dal principe del Gattopardo, pur non negando che esistano delle eccellenze e come individui e come zone, intese come eccezioni se riferite a persone e come oasi se riferite ad una zona in particolare.

Ora il problema è stabilire se questo behaviorismo antropologico sia sorto prima dell’Unità d’Italia oppure è una sua conseguenza. Cioè se l’atteggiamento lassista, disfattista, pressappochista, di rassegnazione e povertà accettata esistevano prima dell’impresa dei mille oppure si è creata dopo. E’ indubbio che il Regno delle Due Sicilie si trovava in un travaglio politico perché non aveva saputo costruire solide alleanze internazionali ed eccessivamente prudente nel concedere formali libertà costituzionali, come aveva fatto il Piemonte che di fatto era una monarchia assoluta e aveva solide alleanze con l’Inghilterra e la Francia, ma il Regno economicamente stava bene ed il bilancio statale non era in rosso, anzi gli attivi di bilancio meridionali servirono a ripagare le spese sostenute dai piemontesi per la conquista del Sud, mentre Francesco II, unico sovrano della storia lasciò tutti i suoi beni al Banco di Napoli che furono incamerati da Vittorio Emanuele II.
Dopo l’unificazione tutte le industrie appena sorte nel sud furono desertificate mentre la nascente classe operaria fu presa a fucilate dai bersaglieri, vedi il massacro di Pietrarsa, per non parlare dei cosiddetti “briganti” in realtà patrioti fedeli alla dinastia borbonica, impiccati assieme a mogli e figli.
La conseguenza di questa politica antimeridionale fu che le migliori menti del sud andarono a formare i quadri delle nascenti industrie settentrionali, mentre gli ex contadini fornivano manovalanza a poco prezzo. Inoltre gli acculturati meridionali che erano molto più numerosi di quelli delle altre regioni, in poco tempo sostituirono nei ministeri tutta la forza lavoro sabauda. Gli altri emigrarono in America. Il sud fu desertificato ed i rimanenti lasciati in balia del baroname che aveva cambiato tutto ma non lasciando tutto come, se già sarebbe sta una cosa buona, perché dopo l’Unità ci fu un notevole arretramento rispetto alle posizioni economico sociali esistenti prima dell’impresa dei mille.

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