Il Natale in Casa Cupiello secondo Castellitto

gli attori di Natale in casa Cupiello – foto Fanpage

Quant’è che un lavoro è un classico

Natale in casa Cupiello è un classico. Questo è ovvio e siamo tutti d’accordo, poi ci accorgiamo subito che ci sono due tipi di classicità, una riferita all’opera in sè, il quadro, il testo, l’opera lirica, l’altra è quella riferita alla sua rappresentazione.
Sul primo aspetto questi capolavori non hanno età, sono sempreverdi, come quando videro la luce, rimanendo nella memoria non solo individuale del singolo fruitore, ma in quella collettiva di interi gruppi fino a raggiungere una dimensione globale che coinvolge tutta l’umanità. Si pensi a Don Chisciotte, Amleto eccetera.

Ogni volta che si affronta un classico è sempre la prima volta, si scoprono dettagli nuovi gustando aspetti che prima di erano trascurati
Sulla seconda questione relativa alla rappresentazione: quella teatrale, un film, un’opera lirica. Anche qui ci sono dei classici, delle “messe in scena” indimenticabili che di per sé non sarebbero replicabili. Prendiamo il film con Totò “Miseria e nobiltà” , ebbene tutto il movie non sarebbe replicabile, ma soprattutto la scena del cappotto che da portare al Monte dei Pegni per mettere assieme il pranzo e che si chiude con la celebre battuta di Enzo Turco: “ma fosse il paltò di Napoleone?”
Pochi sono gli attori che si cimenterebbero in una replica.

La replica di un classico è sempre un pericolo ed una sfida.
Quando una persona si approccia ad un’opera conosciuta già la pregusta mentalmente perché si avvicina a qualcosa di consacrato universalmente e vorrebbe rivederla esattamente come è archiviata nei suoi ricordi.

Diverso è il discorso per chi non ha mai visto quel dato lavoro. Qualsiasi cosa ben fatta è gradevole. Non fa nessun confronto con la sua memoria passata
Perché il massimo pericolo che incombe oggi è la cosiddetta “rivisitazione” o “riadattamento” con i quali ogni regista vuole dare la sua particolare se non addirittura indelebile impronta. Così assistiamo al Barbiere di Siviglia che atterra con una mongolfiera, i tre moschettieri che sembrano esperti di arti marziali cino giapponesi, riedizioni dei Promessi Sposi che fanno rimpiangere quella con Gino Cervi, ecc eccetera.

Eduardo De Angelis vince la sfida
Fortunatamente il regista Eduardo De Angelis omonimo del grande Eduardo ha apportato degli aggiornamenti veniali, mantenendo quasi al 90% la solida impalcatura edoardiana. Il fatto che il suo lavoro si presentasse come “liberamente tratto dall’opera di De Filippo”, aveva un po’ spaventato per i possibili stravolgimenti. Con trepidazione molti si sono messi davanti al televisore aspettando la nuova versione di Natale in Casa Cupiello. Abbiamo visto una inedita Napoli innevata che nella migliore delle ipotesi poteva essere Benevento o Avellino da dove scendevano giusto gli zampognari nel 1800, la trasposizione temporale dagli anni 40 agli anni 50 giusto per metterci l’inquadratura del soldato con la “segnorina”.
Poi l’esagerazione del marito di Ninuccia, Nicola…. esageratamente più anziano, un po’ come nel medioevo San Giuseppe era sempre rappresentato come un vecchio canuto, anche nella Cantata dei Pastori.
Lo staff
La piece di Eduardo De Angelis è diventata di Sergio Castellitto, anche se la più brava in assoluto è stata Marina Confalone, la mitica Concetta, che è poi la vera protagonista della tragicommedia. Poi Adriano Pantaleo, Pina Turco, Alessio Lapice e Tony Laudadio. Nennillo, al secolo Adriano Pantaleo è più indisponente che mai, peggio ancora di Luca de Filippo. Allora era indolente, quì è strafottente, mentre Ninuccia ha fatto un’entrata in scena degna di una duchessa inglese o principessa russa. Castellitto mite e buono, ma un po’ sopra le righe ogni tanto.

Lo share dell’attesa
La commedia è andata in onda verso le 22 mentre da indicazione sulle varie guide l’orario previsto era le 21.15.
Il che ha costretto una parte consistente del pubblico che a teatro, dal vivo avrebbe rumoreggiato non poco, a contribuire alla crescita della percentuale dello share e magari abbandonando la trasmissione appena ha visto una Napoli imbiancata.
Gli spettatori comunque sono stati circa 5 milioni e mezzo con uno share ( in italiano condivisione) del 23.9%.


la prima rappresentazione è stata fatta a Napoli il 25 dicembre 1931 con i fratelli De Filippo

Se San Gennaro non fa il miracolo

San Gennaro, santo protettore di Napoli, quest’anno non ha fatto il miracolo di dicembre. Tutti ne traggono cattivi presagi.

San Gennaro non volta le spalle

 

I miracoli di San Gennaro

San Gennaro fa 3 miracoli all’anno, ovvero lo scioglimento del suo sangue racchiuso in due ampolle: a maggio, il primo sabato del mese quando le sue spoglie furono trasferite da Pozzuoli a Napoli, a settembre, il giorno 19 quando si festeggia (e fu martirizzato) e a dicembre, precisamente il 16 dicembre perché in quel giorno, nel 1631, fermò una spaventosa eruzione del Vesuvio.
Questo vulcano non fece danni solo nel 79 dopo Cristo, ma molte altre volte ancora e l’ultima volta il 6 gennaio del 1944, nel giorno della befana a mò di regalo.
Sul miracolo è inutile soffermarci, se ne è parlato e discusso molto e spesso liquidato frettolosamente come un residuo del medioevo. Forse sarà anche così, ma ne dubito in quanto è inciso nel DNA di tutti coloro che sono nati nell’area del monte Vesuvio ma non solo, siano essi fedeli, infedeli, atei o miscredenti. Da parte del Santo è un modo per manifestare il suo pensiero.

 Le “parenti” di san Gennaro

 Il pensiero di San Gennaro  però non è sempre chiaro e lineare e spesso  ha bisogno di interpretazioni, come succedeva per i vaticini della Sibilla cumana. A questo in prima battuta ci pensano le “parenti di San Gennaro“ , le fedelissime del santo, in genere persone anziane la cui funzione principale è di fargli compiere il miracolo con esortazioni, preghiere, ma anche con invettive ed ingiurie. Poi intervengono gli altri, il popolo, i dotti ed i politici sotto elezione. Sono dette parenti perché le prime seguaci si dichiaravano discendenti del martire.

La “riabilitazione” del Santo
Voltaire, il filosofo illuminista dissacratore della chiesa, ma non della religione, autore fra l’altro del Dizionario Filosofico era indignato da questa superstizione che trovava accoglienza, per i motivi accennati sopra anche fra gli intellettuali non solo napoletani, mentre Alessandro Dumas, quello dei Tre moschettieri, perché il quarto, D’Artagnan faceva parte di un altro corpo militare, definiva San Gennaro il vero Dio di Napoli.
La Chiesa ufficiale, dopo aver fatto fare degli studi a scienziati laici, definì “prodigio” lo scioglimento del sangue ed ha cercato varie volte di contenere il fenomeno, con scarso risultato. Finchè , a seguito del Concilio Vaticano II, si mise addirittura in dubbio l’ esistenza del Santo, nonostante le numerose testimonianze storiche. Con la riforma liturgica del 1969 la Chiesa prese coraggio in nome della modernizzazione cancellando la sua festività dal calendario dei Santi.
I napoletani presero la cosa come un affronto personale e dopo aver tranquillizzato il Santo con il famoso “San Gennà futtetenne!” ( San Gennaro, fregatene), assieme alla Curia si dettero da fare per ripristinare l’ordine violato. Fra Napoli ed il Santo c’è un legame simbiotico viscerale ed infinito, rotto solo una volta, quando San Gennaro fece il miracolo, invece che astenersi, in favore della Repubblica Napoletana di Eleonora Fonseca. Tant’è vero che in quell’occasione lo sostituirono con Sant’Antonio. Ma superata quest’incomprensione le cose tornarono al loro posto.
Sulla spinta dei risentimenti della popolazione, la Santa Sede stabilì che il culto poteva farsi, ma solo a livello locale. I napoletano si adirarono ancora di più finché nel 1980 Papa Giovanni Paolo II accortosi della reale e sentita venerazione per il vescovo martire, proclamò San Gennaro ufficialmente Patrono di Napoli e della Campania.
Ora anche ai non esperti di presagi, il mancato miracolo dello scioglimento del sangue un po’ di preoccupazione la desta, perché il mancato prodigio è coinciso sempre con eventi funesti: fra i più recenti ricordiamo il 1940 quando scoppiò la seconda guerra mondiale, il 1973 quando ci fu l’epidemia di colera, niente a che vedere con l’attuale pandemia, fu una, pazziella, pinzillacchera, cosa di poco conto insomma e il 1980 l’anno del terremoto.

San Gennaro non ci volta mai le spalle
Ma San Gennaro è un Santo troppo buono e voler trarre conclusioni negativissime è tremendamente sbagliato. Non volta mai le spalle, anche quando così sembra. E’ un segnale comunque. Dobbiamo soffrire un altro poco, questo sicuramente si.

Ma passerà questa nottata?

• Chi non ricorda la celebre frase di Eduardo De FilippoAddà passà ‘a nuttata”, con la quale chiude l’altrettanto celebre commedia Napoli Milionaria. E’ un messaggio di speranza e di ottimismo.
• Il background della pièce teatrale è una Napoli, e per estensione l’intera umanità, distrutta dalla guerra, immiserita fisicamente e semidistrutta moralmente come ebbe a scrivere quasi in parallelo Curzio Malaparte nel suo romanzo “La pelle”, romanzo che fu addirittura proibito e messo all’Indice dal Vaticano (Index librorum prohitorum).
• Tutto sembra perduto, tutti sconfitti ed invece Eduardo ci dice che non è vero, che dopo la nottata ci sarà una bella giornata.
• Così siamo noi in questo momento sotto Natale, niente tavolate della vigilia, niente capitone e niente veglione con i tric trac a capodanno. Ma non è questo il punto. Ormai è un anno che stiamo sotto schiaffo del virus, ad onta di tutti i progressi tecnologici: Come nel medioevo, l’unico rimedio è stare isolati.
• Il capitale sociale, quella somma di relazione, fratellanza e solidarietà, che possediamo ( già non al massimo grado, diciamocelo), si sta consumando sempre di più. All’uomo sociale si sostituisce l’uomo solitario, aiutato in questo dalla possibilità di sbrigare molte faccende , specie quelle delle cibarie, on line grazie ad internet e ai suoi sacerdoti, siano essi Google, Facebook , Amazon e gli altri confratelli digitali.
• Il 2020 è iniziato con la riapparizione di un mostro che pareva impossibile che ci fosse, nonostante molti film di fantascienza ogni tanto l’avesse fatto: la peste. Allora tutti ci siamo ricordati di Boccaccio che scrisse il Decamerone, ma soprattutto dei Promessi Sposi, capitoli 30 eseguenti e, rileggendoli, siamo rimasti colpiti dalla attualità di quelle pagine.
• Ma eravamo fiduciosi che grazie ai progressi della tecnica, in quattro e quattrocchi il nuovo invisibile nemico sarebbe stato presto debellato.
• Ahimé così non è stato e stiamo ancora a combattere con un numero impressionante di vittime che hanno superato quelle del 1944 durante il quale l’Italia era in guerra sotto i massicci ed indiscriminati bombardamenti degli alleati.
• Ora siamo aggrappati al vaccino, anzi ai vaccini. Al momento sono in sperimentazione più di 200 vaccini, di cui una decina sono sulla dirittura d’arrivo e almeno tre stanno già per essere somministrati a milioni di persone.
• Noi che passiamo le giornate ad aspettare il bollettino di guerra serale, le notizie che ci arrivano non sono quelle che speriamo.
• Lo so, la notte polare è lunga e prima che la nottata passi ci vorrà tempo.
• MA PASSERA’

Borbonico Progressista

Slums londinesi nell’epoca di Charles Dickens

Il titolo del blog “Borbonico Progressista”, può sembrare un insensato abbinamento di termini contraddittori, un ossimoro per dirla con un termine più intellettualeggiante, perché si dà per scontato che borbonico è equivalente a retrogrado, reazionario, conservatore, pertanto non può essere progressista. Potrebbe essere anche così, ma non totalmente e non completamente e soprattutto portatore di una mentalità non molto diversa da quella del rimanente contesto italiano complessivo fra il XVIII e XIX secolo, fra il sette e ottocento, per essere più chiari. Per i secoli XX e XXI il discorso, se possibile è ancora più complicato e, dato il numero elevato delle variabili che interagiscono, ancora più difficile da semplificare sia per una narrazione, sia dal punto di vista economico-sociale.
Dal rifiorire degli etnicismi e dal rinvigorimento della ricerca delle proprie radici culturali e tradizionali, si sono venuti a creare filoni di pensiero, riscoperte storiche, nuovi studi filosofici e sociologici, in sostanza una specie di nuovo umanesimo, fatte le dovute e debite proporzioni. Poi queste inevitabilmente hanno avuto un risvolto sia sociale che politico. In realtà l’Italia dei Campanili, dei quartieri, delle città e delle province non è mai completamente scomparso. Come un fiume carsico, cioè quei fiumi che affiorano e si inabissano più volte, questa riscoperta ha attraversato, riaffiorando ogni tanto, tutta la storia unitaria dal 1861, cioè dall’Unità d’Italia in poi.
Innanzitutto mettiamo dei punti fermi a scanso di ogni equivoco. Il blog intende esclusivamente rivalutare un periodo storico che è stato bistrattato dalla storiografia ufficiale, senza altri fini, pur non ignorando che i Borboni un po’ borbonici lo sono stati, anche se non ptoprio quella negazione di Dio elevata a governo come ebbe a dire un illustre inglese che evidentemente ignorava che nel Regno Unito il popolo era trattato infinitamente peggio dei lazzari napoletani, con l’aggravante (per gli inglesi) di non poter godere neppure del tepore delle latitudini mediterranee. Basta leggere un pò Carlo Dickens, quello di David Copperfield ed Oliver Twist, per rendersi conto dell’ordinario livello di vita londinese e delle città industriali in genere.

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