Gaetano Filangieri, filosofo e illuminista napoletano, uomo politico e giurista

Gaetano Filangieri terzogenito del principe di Arianiello, nacque a San Sebastiano al Vesuvio Napoli nel 1752 e morì a Vico Equense nel 1788 ma da adolescente dimostrò subito di preferire i giochi allo studio.

All’età di 17 anni cominciò a studiare letteratura e filosofia. Si interessò specialmente a quella parte delle scienze umane che più erano inerenti alla felicità dell’uomo e cioè la morale, la politica, la legislazione e la scienza del diritto.
Nominato gentiluomo di camera dal re Ferdinando IV di Borbone entrò nel foro napoletano come avvocato trovando una magistratura in fase di sfacelo. Essa si rifaceva ancora alla giurisprudenza romana, sulla quale poi si erano sedimentati tutti i provvedimenti successivi, fino a quelli dell’ex vicereame spagnolo. In questa grande coacervo di norme, spesso contraddittorie potevano e si facevano impunemente strada l’arbitrio e la corruzione. Filangieri allora fece si fece promotore della cosiddetta “legge del ragionamento delle sentenze”, affermando che sentenze dovevano essere motivate e in base a quale disposizione veniva adottata. Una rivoluzione: oltre a contenere nei suoi giusti limiti i poteri dei magistrati, restituiva nel suo pieno vigore l’imperio delle leggi e l’imparzialità delle decisioni per porre riparo ad uno dei più gravi disordini che accompagnavano l’amministrazione della giustizia.

G. Washington B. Franklin

Ma non fu facile farla approvare, le resistenze furono enormi, ma alla fine con l’appoggio della Corte, essa passò e ciò costituì l’occasione per il filosofo di porsi in primo piano non solo a Napoli ma in tutte le capitali europee dove soffiava il vento dell’illuminismo.
Filangieri si sposò e si trasferì a Cava dei Tirreni per dedicarsi interamente allo studio.
Allora maturò il disegno di un’opera omnia in sette sezioni contenute in altrettanti volumi intitolata “La scienza della legislazione”
Nel 1787 fu nominato consigliere del Consiglio delle Finanze del Regno e preso dagli impegni politici non poté portare a termine la tua opera fermandosi al libro quinto il quale uscì oltretutto postumo incompiuto nel 1791. Dei 7 volumi progettati ne pubblico solamente cinque.

La scienza della legislazione propone delle importanti riforme sulla procedura penale contro il persistente arbitrio feudale ,l’istituzione di una educazione pubblica di ispirazione laica e una riforma dell’economia e della tassazione.
Sotto l’influsso del Genovesi e dei fisiocrati, che ritenevano i prodotti dell’agricoltura come unica fonte di ricchezza, si fece promotore della rimozione degli ostacoli di natura giuridico fiscale per lo sviluppo e la libertà del commercio dei prodotti agricoli. A tal proposito sostenne la creazione di un’imposta unica su tutti i prodotti della terra.

Tutti questi ragionamenti e proposte, sotto certi aspetti erano più avanzate di quelle dell’Illuminismo francese e ciò spiega perché il Filangieri ebbe un immediato successo e qualcuno ha anche affermato che le sue idee abbiano addirittura ispirato la rivoluzione francese. Ma è indubbio che ebbe delle ripercussioni anche al di là dell’Atlantico presso la nuova confederazione degli Stati Uniti d’America.
La Chiesa non poteva accettare l’idea del “diritto alla felicità” mentre si era ancora vivi, perché smontava uno dei suoi pilastri fondamentali sulla felicità ultraterrena, cioè quella del Paradiso e si mise di traverso. Il diritto alla felicità su questo mondo, avrebbe comportato la fine della sottomissione dei popoli al potere costituito, la fine della rassegnazione e la sopportazione delle ingiustizie perché poi sarebbero stati successivamente ripagati.
Ma il seme era gettato e germogliò rapidamente come rapidamente,
colpito dalla tubercolosi Filangieri si ritirò definitivamente a Vico Equense dove morì nel 1788 a soli 35 anni.

Ferdinando Palasciano il medico borbonico che ideò la Croce Rossa

Si interessò a problemi apparentemente insignificanti come l’ igiene dei soldati, pubblicando nel 1846 la “ Guida medica del soldato “ eppure fondamentali, considerando l’alta percentuale di morbilità dei soldati per dissenteria, malattie infettive ecc che riducevano costantemente gli organici mentre bastavano poche norme per salvaguardarsi.
I quegli anni l’Italia era attraversata da rivolte insurrezionali e Palasciano invece di starsene tranquillamente a Napoli o Palermo in qualche clinica ospedaliera, seguiva i reparti che andavano a combattere.
Operando sui campi di battaglia acquisì una forte esperienza sulle ferite in battaglie, sia quelle traumatiche, sia quelle da armi da fuoco, divenendo, come si direbbe oggi, un “chirurgo specialista in ferite di guerra “.
Fu così che il nostro eroe fu illuminato dall’idea che avrebbe cambiato il modo di considerare i feriti nei campi di battaglia. Nel 1848 in Sicilia scoppiarono dei moti rivoluzionari. Gli scontri che si ebbero tra i borbonici ed i rivoltosi, lasciarono numerosi feriti sul campo di battaglia, allora si ordinò che fossero curati solo i soldati borbonici e lasciati al proprio destino i feriti nemici.
Il Palasciano, però, tenendo fede al giuramento d’Ippocrate non tenne conto della disposizione e curò con la stessa scienza e coscienza sia i feriti borbonici che i rivoltosi ed anche i numerosi civili coinvolti nei combattimenti.

Di fronte a questa plateale insubordinazione, il generale Carlo Filangieri, figlio del più famoso illuminista napoletano Gaetano, lo fece arrestare per farlo giudicare dal Tribunale di Guerra.
Il Palasciano si difese affermando che la sua missione di medico era più sacra del dovere del soldato perché la vita dei feriti di guerra era sacra. Era nata l’idea della neutralità e dell’intoccabilità dei feriti, che costituisce ancora oggi il nucleo centrale l’idea della Croce Rossa.
Per questo Ferdinando Palasciano fu condannato alla fucilazione cambiata ad un anno di reclusione.
Dopo la scarcerazione si interessò ancora ai problemi di sanità militare lottando con energia affinché venisse riconosciuta la neutralità dei feriti di guerra. Caduta la monarchia borbonica, passato nelle file piemontesi, in occasione del Congresso Internazionale dell’Accademia Pontaniana svoltasi a Napoli nell’aprile del 1861, affermò: “ Bisognerebbe che tutte le potenze belligeranti, nella Dichiarazione di Guerra, riconoscessero reciprocamente il principio di neutralità dei combattenti feriti per tutto il tempo della loro cura e che adottassero rispettivamente quello dell’aumento illimitato del personale sanitario durante tutto il tempo della guerra “.
Con questo discorso che ebbe una vasta eco in tutto l’Europa e che, tre anni più tardi, sarà alla base delle Convenzione di Ginevra, Palasciano proclamò per la prima volta, uno dei più importanti principi fondamentali della Croce Rossa di cui è giustamente ritenuto il precursore.
Ma Palasciano non fu solo un teorico, un medico intellettuale, fu anche un medico operativo divenendo un chirurgo famoso in Italia ed in Europa. Eseguì migliaia di interventi e di questi molti con tecnica personale altamente innovativa.

Fu chiamato a consulto poi da Garibaldi per curare la sua ferita da arma da fuoco al malleolo mediale del piede destro subita durante un combattimento sull’Aspromonte.
Fu poi Deputato, Senatore del Regno, Consigliere ed Assessore al Comune di Napoli. Collezionò molti onori, ma non a quello cui ambiva più di tutto: partecipare alla creazione della costituenda organizzazione che avrebbe curato i feriti di guerra. Infatti il governo italiano, invitato da quello svizzero a nominare un delegato che lo rappresentasse in occasione dell’assemblea costitutiva della Croce Rossa, fece il nome del Dott. Baroffio e del Capitano Cottrau anziché quello del Palasciano che tanto aveva dato perché quell’idea fosse realizzata. Con la Convenzione di Ginevra (8-22 agosto 1864) fu sancita la neutralità delle strutture e del personale sanitario.
Il primo delegato della Croce Rossa Italiana fu nominato il medico milanese Cesare Castiglioni ed il primo Comitato italiano è quello di Milano istituito il 15 giugno 1864 ebbe sede a Milano.
Dopo questo smacco Palasciano impazzì letteralmente e manifestò sovente sintomi di follia intervallati da lucidità. Morì a Napoli il 28 novembre del 1891 praticamente dimenticato da tutti.

Raffaele Liberatore, il redattore del primo vocabolario della lingua italiana

Raffaele Liberatore (Lanciano, 22 ottobre 1787 – Napoli, 11 giugno 1843) è stato uno storico e filologo italiano.

Il colpo di fortuna della sua vita lo ebbe nel 1806 quando, nel corso di una visita a Chieti da parte del Marchese del Gallo, ministro degli esteri del Regno di Napoli, illustrò un lavoro redatto da suo padre. Il ministro fu colpito dalla maturità del giovane e lo prese come collaboratore. Al ministero fece rapidamente carriera e nel 1811 fu nominato addirittura capo di gabinetto.
I moti del 20/21
Alla caduta di Napoleone, il Congresso di Vienna, dove primeggiò il principe austriaco Metternich ridisegnarono un’Europa con uno sguardo rivolto al passato attuando una cieca politica di restaurazione. Si giunse perfino a ripristinare le parrucche bianche!
Le élites europee specie quelle di origine borghesi, non volevano rinunciare alle conquiste civili e politiche che le idee della Rivoluzione francese avevano propalato in tutta Europa. Così intellettuali, aristocratici e soldati ex napoleonici si organizzarono dappertutto in sette segrete mirando ognuna di esse ad interessi specifici del proprio paese. Bisogna ricordare che in quel periodo molti Stati erano multietnici, con lingue, culture e popolazioni diverse, come per esempio era costituito l’impero austroungarico.
I fermenti nazionalistici erano forti anche in Italia divisa ancora in una moltitudine di staterelli.
La Carboneria napoletana, composta principalmente da ex murattiani con a capo il generale Guglielmo Pepe, incoraggiati dal successo spagnolo, organizzò anch’essa una rivolta. Il 2 luglio due sottotenenti di cavalleria, Morelli e Silvati, si sollevarono con il loro squadrone e occuparono Avellino fra l’indifferenza degli abitanti. Il 7 luglio Ferdinando I concesse la Costituzione spagnola.

Francesco I Vocabolario della Crusca

Metternich, consapevole che in Spagna e a Napoli si giocava il sistema istituito a Vienna nel 1815, decise di intervenire con la forza.
Nel gennaio 1821 il re Ferdinando I fu convocato a Lubiana e costretto a ritirare Costituzione.
Durante e dopo i moti liberali del 1820/21, Raffaele Liberatore, pur aspirando ad una maggiore libertà intellettuale fu molto cauto evitando di prendere una posizione decisa. Questo non gli evitò guai ed amarezze in quanto la rivista politica “La Minerva napolitana”, non nascondeva pienamente il suo pensiero politico, anzi, auspicava la nascita di una confederazione fra gli Stati italiani, anticipando in qualche modo gli ideali di Vincenzo Gioberti. Costui nel 1843 aveva pubblicato “Del primato morale e civile degli italiani”, nel quale come soluzione ad una improbabile, per allora, unificazione politica della Penisola, stante l’esistenza dello Stato della Chiesa, prospettava la creazione di una federazione fra gli stati italiani guidata del papa. L’opera ebbe un successo enorme, perchè dava una soluzione semplicistica a un problema molto complicato e la successiva elezione di un papa ritenuto “liberale”, Pio IX nel 1846, ne amplificò gli echi possibilisti.
A causa di questi ideali il Liberatore perse il favore dei borbonici. Nel 1825 fu condannato all’esilio. Rifugiandosi con moglie e figlia a Roma rimase fino al 1828, quando graziato da Francesco I delle Due Sicilie poté tornare a Napoli.

In quel periodo maturò l’idea del lavoro che lo avrebbe reso famoso, “Il Vocabolario universale italiano”, noto come “Tramater” dal nome della tipografia che lo pubblicò nel 1829.
Il primo vocabolario della lingua italiana risale al 1612 a cura dell’Accademia della Crusca, un’istituzione culturale fondata a Firenze nel 1583.

L’originalità ed il valore del Tramater stanno nel metodo utilizzato sia per esporre ciascun vocabolo nella lingua letteraria che in quella comune.
L’opera di Liberatore presenta un’importante innovazione rispetto alla tradizione lessicografica italiana, con la divisione in sillabe dei lemmi e le indicazioni relative alla loro pronunzia. Di ciascuna voce, inoltre, si indicarono la categoria grammaticale e le irregolarità morfosintattiche.

Ma non si limita alle parole, è anche un’enciclopedia e proprio come un’enciclopedia, il lemmario del Tramater include anche i nomi propri (geografici, astronomici, mitologici ecc.) e accoglie con larghezza termini delle più diverse discipline tecnico-scientifiche, in particolare della botanica, zoologia, chimica e medicina, includendo tutti quei neologismi tecnico-scientifici e giuridici, entrati a far parte della lingua italiana a partire dal Settecento.
il Tramater, dedicato ai diversi aspetti dell’italiano antico e moderno, è un’opera lessicografica più vasta, originale e ricca della lingua italiana che fece da apripista al successivo Dizionario della lingua italiana di N. Tommaseo (1861-79).

Colpito da ictus il 10 giugno 1843 a Napoli davanti al teatro San Carlo, Liberatore morì all’alba del giorno dopo;
Lanciano gli ha dedicato la Biblioteca civica.

Giovanni Paisiello

Giovanni Paisiello (Taranto 1740 – Napoli 1816), musicista ecclettico in ogni genere musicale, è famoso soprattutto per la composizione di opere liriche, ne scrisse 94. Paisiello ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo dell’opera buffa. Scrisse la prima versione del “Barbiere di Siviglia” poi musicata nuovamente da Rossini!

L’opera buffa è un genere dell’opera italiana sviluppatasi a Napoli nel 1700 come opera comica. Essa rendeva l’opera musicale accessibile anche alla gente comune che si riconosceva nei personaggi che spesso erano delle macchiette,

il servo imbroglione, il vecchio avaro, il giovane di buona famiglia che si innamora della contadina, o di una donna scaltra, tutti personaggi presi dalla commedia dell’arte.

Inoltre l’allestimento delle opere buffe era più economica perchè richiedeva un organico strumentale ristretto, costumi e scenografie semplici a differenza dell’opera seria dove i costumi erano molto costosi e ricercati, infine si faceva uno scarso utilizzo dei cantanti castrati che oltretutto avevano molte pretese e costavano anche molto.

Per questo a partire da Napoli si diffuse non solo in Italia ma in tutta Europa.

Da Taranto Paisiello si trasferì a Napoli ma presto cominciò ad esibirsi in Italia ed all’estero. Visse per circa 9 anni a San Pietroburgo (1775-84) al servizio di Caterina II di Russia e due anni a Parigi (1802-04) su esplicita richiesta di Napoleone.
A Napoli nel 1767 ebbe subito un grande successo con L’idolo cinese, per la mescolanza degli stili e la suggestiva ambientazione esotica; la corte stessa ne chiese una replica nel proprio teatro, poi in quello di Caserta nel 1768 e di nuovo a Palazzo Reale il 6 aprile 1769.
Nel 1767 il buon rapporto con la corte napoletana si interruppe quando, a fine agosto, Paisiello indirizzò una supplica al sovrano per evitare il matrimonio con Cecilia Pallini, una sua allieva che si sarebbe finta vedova e sprovvista della dote promessa. Paisiello perse la causa, fu arrestato ed il 14 settembre chiuso nel carcere di San Giacomo degli Spagnoli, dove rimase per alcuni giorni per via del mancato impegno matrimoniale.
Ma nonostante questo inizio burrascoso, poi il matrimonio fu saldo e felice e oltretutto queste vicende non incisero sulla sua attività musicali. Risale a quest’anno l’amicizia del musicista con l’abate Ferdinando Galiani, consigliere del Tribunale di commercio, intellettuale brillante e poliedrico, già ambasciatore a Parigi e dotato d’una fitta serie di contatti internazionali.

n questo periodo compose molte opere anche per i teatri dell’Italia settentrionale, tra cui Il Socrate immaginario (1775). Il Socrate immaginario era un esilarante capolavoro che metteva alla berlina tutti i pseudo appassionati della cultura greca osservata in tanti intellettuali, specie quelli partenopei.
Quando il Socrate da Firenze fu rappresentato a Napoli, dopo cinque acclamatissime repliche nel Teatro Nuovo, Ferdinando IV, fattosi recitare il Socrate a Palazzo Reale (23 ottobre), ne vietò poi le rappresentazioni. Si è ritenuto che il re abbia inteso tutelare dalla maldicenza il dotto Saverio Mattei, profondo conoscitore della filosofia greca e, come Socrate, afflitto da un non sereno rapporto coniugale.
Dal 1776 al 1784 fu a Pietroburgo, chiamato da Caterina II. La scelta della zarina era caduta su Paisiello non solo per la segnalazione del barone Friedrich von Grimm, ma anche per la stima manifestata a favore dell’operista pugliese dall’imperatore d’Austria Giuseppe II, la cui politica teatrale esercitò un chiaro influsso su quella pietroburghese.
Tra le opere scritte in questo periodo spiccano” La serva padrona “(1781), “Il barbiere di Siviglia” (1782) e ” Il mondo della luna” (1782).
A partire dal gennaio 1781 Paisiello stanco della Russia voleva tornare a Napoli e scrisse più volte a Galiani per avere possibilità un impiego stabile alla corte dei Borbone.

Di nuovo a Napoli, fu maestro di cappella e compositore di corte. Nel 1788 compose La bella molinara, e nel 1789 Nina o la pazza per amore, che ottenne un grande successo. Dopo il 1790 coltivò soprattutto l’opera seria (Elfrida, 1792, Proserpina, 1803, composta a Parigi per Napoleone).
Scoppiata la rivoluzione del 1799, che portò alla fondazione della breve Repubblica Partenopea, il musicista, da borbonico divenne repubblicano. Tornati i Borbone fu perdonato dal re Ferdinando IV. Nel 1802 andò a Parigi su invito di Napoleone e nel 1803 presentò Proserpina in suo onore.

Paisiello scrisse e musicò L’Inno al Re su commissione di Ferdinando I delle Due Sicilie nel 1787, che venne adottato come inno ufficiale del Regno nel 1816.

Paolo Petronio, musicologo triestino, sostiene che esso sia il quarto inno ufficiale composto al mondo, dopo quello della Gran Bretagna, della Spagna e della Danimarca.

Testo

Iddio conservi il Re
per lunga e lunga età
come nel cor ci sta
viva Fernando il Re

Iddio lo serbi al duplice
trono dei Padri suoi
Iddio lo serbi a noi!
viva Fernando il Re.

Successivamente Riccardo Pazzaglia compose un testo aggiornato (1993)

Dio ti salvi, cara patria
che ti distendi in questo antico mare d’eroi,
millenaria culla del pensiero
che nacque in Grecia
e in questa terra rifiorì.
Cancellata dalla Storia,
le tue bandiere vengono rialzate da noi.
Sulle sacre torri di Gaeta
scriviamo ancora
la parola: “Dignità”.
Soldato del Volturno
che cadesti qui,
nessuno per cent’anni
il nome tuo scolpì.
Dai figli che visti non hai
l’onore tu riavrai.
Ritornati dal passato,
chi in noi crederà stavolta vincerà.
Va avanti, tamburino,
suona come allor:
assente la fortuna
non mancò il valor.
Il Fato che un dì ci tradì
adesso ci riunì.
Ritornati dal passato,
chi in noi crederà
stavolta vincerà.
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Intanto i Borbone persero nuovamente il Regno di Napoli che ripassò sotto la dominazione dei francesi.
Durante i Regno di Murat, Paisiello non seguì Ferdinando IV che si era rifugiato in Sicilia, e, al ritorno del Borbone, nel 1815, questa volta non ebbe nessun perdono e fu messo definitivamente da parte.

Paisiello a fianco alla lirica, egli coltivò anche la musica sacra e quella strumentale, componendo cantate, oratori, messe, sinfonie, concerti per clavicembalo e orchestra.
Prima di morire il 5 giugno del 1816, all’età di settantasei anni a Napoli, Giovanni Paisiello aveva avuto la notizia che pochi mesi prima (il 20 febbraio di quello stesso anno), che al Teatro Argentina di Roma, era stata presentata una nuova versione de “il Barbiere di Siviglia” di Gioachino Rossini, che lui aveva scritto ben 34 anni alla corte di Russia ed i cui echi di successo erano ancora vivi nel 1816, al punto tale che la prima di Rossini fu un semifallimento anche se poi «Barbiere» di Giacchino Rossini si impose su quello di Paisiello e infatti tutti ne conoscono solo questa versione.
Questa vicenda lo addolorò molto e dopo poco ne morì.

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