Il referendum della Russia ed il plebiscito del Regno delle Due Sicilie: Un parallelo storico

il 21 ottobre 1860 mentre a Gaeta ancora si combatteva e le sorti del Regno dei Borboni non ancora decise, il Piemonte indisse in Plebiscito di annessione dove votò il 2% circa della popolazione.

La Storia seppure in maniera diversa, ci presenta a volte degli avvenimenti che pur possedendo enormi analogie, causano reazioni differenti.

Piazza Plebiscito a Napoli

Ciò è dovuto essenzialmente ai contesti in cui si svolgono e che variano continuamente per il mutare delle situazioni geopolitiche.

Ora la Storia offre un altro esempio oltremodo calzante: l’invasione della Russia in Ucraina, rivendicando suoi presunti diritti e l’invasione del regno Sabaudo al Regno delle Due Sicilie, variamente giustificato in questo caso dagli “aedi” risorgimentali. E’ stato il primo esempio di “esportazione” della democrazia con le armi in un paese “autocratico ed incivile che opprimeva i suoi sudditi” che poi sarebbero i Borbone.

Quello che sta succedendo in Ucraina, trattandosi di avvenimenti contemporanei, lo conosciamo bene ed è lampante la violazione dei diritti di uno Stato Sovrano. Oltre ad essere vicini agli assaliti ed esserne coinvolti emotivamente, siamo anche sconvolti per gli effetti collaterali dovuti all’aumento iperbolico del gas ed elettricità che poi si riverberano su tutti gli altri prezzi del nostro vivere quotidiano.

Le cancellerie hanno reagito compatte a quest’invasione, come compatte stanno reagendo di fronte al referendum farsa di fine settembre 2022, convocato per legittimare una brutale annessione. Infatti USA & UE hanno preparato una nuova tranche di sanzioni, la 8^, a uomini e cose della Federazione Russa.

Anche in Italia, 162 anni fa, il 21 ottobre 1860, si è perpetrato qualcosa di simile: L’effettuazione del plebiscito di annessione del Regno delle Due Sicilie alla monarchia sabauda.

 Uno Stato, facendosi scudo dietro ideologie di una élite culturale, prevalentemente formata da appartenenti della media ed alta borghesia, decise di “liberare dall’oppressione” un popolo tiranneggiato dal “malgoverno” di un altro Stato che era nientepopolimeno la “negazione di Dio elevata a governo”, come ebbe a dichiarare un politico inglese, come se in quel periodo negli slums di Londra si vivesse meglio che a Napoli, invadendolo.

L’affermazione di lord Gladstone, applaudita da tutti i “benpensanti” a scatola chiusa, veniva dal rappresentante di un paese che si era arricchito con la tratta degli schiavi abolita ufficialmente solo nel 1807, la pirateria sui mari e la Compagnia delle Indie e dal 1800, con l’avvento della rivoluzione industriale, con lo sfruttamento di operai uomini, donne e bambini nelle fabbriche.

Scopo di allora di Albione all’inizio era limitato unicamente ad assecondare la voglia di autonomia della Sicilia che le avrebbe assicurata il monopolio sullo zolfo e il controllo del Canale di Suez i cui lavori erano cominciati nel 1859, alla vigilia della operazione para militare dei “wagner” di allora, conosciuta come l’impresa dei mille.

Il Regno di Sardegna,  per portare a termine l’invasione del Sud, attraversò illegalmente i territori dello Stato della Chiesa, come fece Hitler quando per invadere la Francia, attraversò il territorio del neutrale Belgio.

In verde l’itinerario dell’esercito sabaudo

Napoli, un paese che credeva di essere al sicuro, situato com’era fra l’acqua santa ( lo Stato della Chiesa) e l’acqua salata (il Mar Mediterraneo), fu invasa da una potenza straniera  senza nessuna dichiarazione di ostilità.

Nessuno Stato pensò di applicare sanzioni contro il Piemonte che ricevette invece solo applausi, ed i massacri che compì dopo l’annessione contro i cittadini contrari 60.000 persone, comprese donne, vecchi e bambini, fu da tutti benvista se non addirittura incoraggiata.

Qualche anima buona poteva pensare che il regno sabaudo intervenisse in questo modo per dare man forte ai borbonici che erano stati invasi da un gruppo di “patrioti” desiderosi di portare progresso e libertà al sud, cosa che stanno ancora aspettando, ma non fu così.

E mentre il Regno delle Due Sicilie era nella piena pienezza dei suoi poteri in forza del diritto internazionale e a Gaeta ancora si combatteva, il 21 ottobre del 1860 Vittorio Emanuele II organizzò un plebiscito di annessione del Regno di Napoli. Vincendolo perchè in pratica utilizzò gli stessi sistemi intimidatori usati in Ucraina.

Con la differenza che allora i governi non si sdegnarono, né fecero alcunchè, ma si affrettarono a riconoscere immediatamente l’annessione.

Il 3 ottobre 1860, Vittorio Emanuele II, con una tempistica eccezionale perché avveniva immediatamente il giorno dopo l’epica battaglia del Volturno ( 2 ottobre 1860), entrò ad Ancona per mettersi alla testa delle sue truppe, circa 39.000 uomini, per poter prendere militarmente possesso del Regno delle Due Sicilie e mettere da parte Garibaldi. In quell’occasione ebbe a proclamare solennemente:

Le mie truppe s’avanzano fra voi per affermare l’ordine: io non vengo ad imporre la mia volontà, ma a rispettare la vostra…”  e avendo deciso l’annessione a prescindere se i napoletani la volessero o no, si dette subito da fare per legalizzare in qualche modo l’illegittima ed illegale invasione di un regno con il quale il Piemonte non aveva mai avuto ufficialmente dissidi né aveva mai dichiarata nessuna ostilità.

Anche questa volta lo strumento utilizzato fu l’indizione dell’ennesimo plebiscito.

La novità, che rendeva ancora di più illegittimo l’utilizzo delle strumento plebiscitario, è che il Regno delle Due Sicilie era quello di un regno legittimo, riconosciuto da tutte le diplomazie mondiali, non c’era stata rivolta di popolo contro il re e quest’ultimo non si era né dimesso né era fuggito col suo patrimonio all’estero ( infatti lo aveva lasciato nel caveau del Banco di Napoli che lo crediate o meno).

Infatti il plebiscito fu indetto mentre si combatteva ancora e inoltre l’esercito napoletano si preparava a vivere alcune delle sue pagine più gloriose nell’Assedio di Gaeta.  Assedio che durò tre mesi mentre i piemontesi pensavano di sgominare i resti dell’esercito duosiciliano alla vigilia del plebiscito del 21 ottobre 1860.

Il Plebiscito era un istituto del Diritto Romano inteso ad interrogare il popolo per conoscerne la volontà su determinate questioni di interesse generale. Infatti la parola deriva dal latino plebiscitum (plebis scitum) cioè “quello che ha stabilito il popolo”. Esso fu riesumato in Francia da Napoleone III nel 1851 per far convalidare il suo colpo di stato.

Poi il Piemonte se ne servì abbondantemente.

Stupisce la velocità dei tempi e delle procedure previste, se si tiene conto che fu indetto in un momento non solo storicamente in preda alle convulsioni della guerra, ma in un paese con poche strade, pochi telegrafi e scarsa rete ferroviaria. Per tempi così ravvicinati, sarebbe occorso un odierno sistema informatico di quelli utilizzati dai moderni ministeri degli interni. In 2/3 giorni si organizzò tutto.

Il Regno delle Due Sicilie contava circa 10 milioni di abitanti, votarono appena un milione e mezzo circa, ma valse a decretare la sua fine.

Questi i risultati:

Napoli: 1.302.064 si, 10.302 no;

Sicilia: 432.053 si, 667 no!

Da allora il Sud aspetta di tornare ai livelli di vita pre union e la Sicilia che aveva lottato e si era illusa  per l’autonomia, si trovò ad essere ancora più periferica, ora che il nuovo stato comprendeva moltissimi altri territori.

Chi vuole istituire una giornata per la proclamazione del regno dei Savoia, si ricordasse anche del plebiscito

Un nuovo Carlo III irrompe nella storia

La Storia annovera già altri re che si sono chiamati così, il più famoso dei quali fu Carlo III, re di Spagna meglio conosciuto come re di Napoli e di Sicilia, il fondatore della dinastia borbonica italiana.

Carlo III Windsor

Carlo 3 Windsor è finalmente re del Regno unito e ha subito dichiarato che vi rimarrà finché vivrà, quasi a fugare i desiderata di quanti lo avrebbero voluto già dimissionario in favore del figlio Guglielmo, solo perché forse costui è più giovane, fotogenico e simpatico.
Mentre sono in corso le incredibili scene da Edimburgo a Londra di vicinanza alla defunta sovrana (a Londra si parla di una coda di ben 16 chilometri di persone che vogliono renderle l’ultimo omaggio con un tempo d’attesa di ben 24 ore se non di più), al nuovo re spetta l’ingrato compito di dimostrare la validità dell’istituto monarchico.
Prima di tutto mantenere un istituto non rappresentativo ma ereditario. Si diventa re solo per nascita. E non è vero che non esercita potere, lo esercita e come, naturalmente a seconda della personalità del soggetto in carica. Lo abbiamo visto come, perfino nelle democrazie parlamentari, nelle quali generalmente il Capo dello Stato è (dovrebbe essere) solo un simbolo, in realtà produce degli effetti politici.
Dovrà dimostrare di non essere uno scroccone sulle spalle dei sudditi, ma il rappresentante di un’istituzione che per quanto obsoleta è utile al Regno Unito (e la sua prima scommessa sarà quella di continuare a tenerlo unito) e di tenere uniti anche tutti i paesi ad esso collegato con il Commonwealth. Come si sta il termine sta ad indicare il “benessere comune”.
Poiché sui giornali e sui tabloid popolari, che sono quelli che fanno opinione di massa, insieme ai socials, girano articoli sul patrimonio dei Windsor, mischiando artatamente i beni pubblici con quelli personali, si capisce che per Carlo non spira proprio una buona aria, che si aggiunge ai già gravi problemi separazionisti della Scozia e dell’Irlanda del Nord oltre a quelle delle isole caraibiche.
Vedremo come si comporterà ora perché da principe oltre ad interessarsi di ambiente, è noto per essere stato sposato con Diana e poi per aver impalmato Camilla, ora regina consorte. Ma i primi passi sembrano appropriati.

  • Carlo III (nato Charles Philip Arthur George; Londra, 14 novembre 1948) è il re del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e degli altri quattordici reami del Commonwealth fra cui l’Australia, il Canada e la Nuova Zelanda.
  • Mentre Carlo II di Napoli divenne re a 18 anni, Carlo d’Inghilterra è salito al trono a 73 anni ma negli ultimi anni ha svolto spesso un ruolo di supplenza della madre ormai ultra novantenne. Quindi una certa esperienza ce l’ha. Ma una cosa è fare il sostituto, un’altra il titolare.

E’ un altro Carlo III che irrompe nella storia.

Essa annovera già altri re che si sono chiamati così, il più famoso dei quali fu Carlo III, re di Spagna meglio conosciuto come re di Napoli e di Sicilia, il fondatore della dinastia borbonica italiana.

Carlo III il Grosso imperatore del Sacro Romano Impero

Carlo il Grosso

Il primo re Carlo III, detto il Grosso era figlio di Ludovico il Germanico, re di Germania, nacque a Neidingen, il 13 giugno 839 e vi morì il 13 gennaio 888. Fu re di Germania (876-887), poi re d’Italia (879-887). Incoronato Imperatore dei Romani a Roma(881-887), fu poi re dei Franchi orientali e dei Franchi occidentali, nonchè re d’Aquitania).
Riuscì a ristabilire per un breve periodo l’unità dell’Impero di Carlo Magno, ma non riuscì a sconfiggere i Normanni nel nord della Francia e fu deposto nell’887, morendo l’anno dopo.

Carlo III d’Angiò-Durazzo re di Napoli

Carlo III Angiò-Durazzo


Il secondo Carlo III che incontriamo nella storia fu Carlo d’Angiò-Durazzo (Schiavonea, 1345 – Visegrád, 24 febbraio 1386), figlio di Luigi, III duca di Durazzo, e di Margherita Sanseverino.
Carlo III d’Angiò fu re di Napoli, dal 1382, e re d’Ungheria con il nome di Carlo II detto il Breve, dal 1385.
Carlo III d’ Angiò-Durazzo prese possesso del trono di Napoli, scacciando la cugina Giovanna I nel 1381 che face assassinare l’anno successivo. Ma fu poi assassinato a sua volta nel 1386 in una congiura organizzata dalla regina Elisabetta di Bosnia.
Dopo la sua morte gli succedettero sul trono di Napoli i due figli, prima Ladislao e poi Giovanna, che morirono entrambi senza lasciare figli legittimi, causando la fine della dinastia angioina sul Regno di Napoli.

Carlo III di Monaco

Carlo III di Monaco


Il terzo Carlo III lo troviamo a Montecarlo ed è famoso per aver dato vita al Casinò di Montecarlo.
Carlo III di Monaco (Parigi, 8 dicembre 1818 – Marchais, 10 settembre 1889) fu Principe di Monaco dal 20 giugno 1856 alla sua morte. Fondò il Casinò per riassestare le finanze del piccolo principato dopo gli sprechi fatti dal padre Florestano.
Il principato fu possedimento dei Grimaldi, una potente famiglia genovese, fin dal 1297. La rocca fu conquistata da Francesco Grimaldi, un nobile genovese che si introdusse nel castello travestito da monaco, da cui il nome del principato.
Durante la Rivoluzione francese, il piccolo stato fu annesso alla Francia, finché nel 1815 il congresso di Vienna lo restituì ai Grimaldi.

Carlo III di Borbone re di Napoli e di Sicilia e poi re di Spagna

Carlo III re di Napoli e poi di Spagna


Il monarca più conosciuto fino a questo momento, almeno per i borbonici progressisti o meno, è stato indubbiamente Carlo III di Borbone fondatore della dinastia del Regno delle Due Sicilie e poi re di Spagna.
Carlo (Madrid 20 gennaio 1716 – Madrid, 14 dicembre 1788) era figlio di Filippo V di Borbone e di Elisabetta Farnese e quando arrivò a Napoli, quel “pezzo di cielo caduto sulla terra”, trovò una capitale distrutta economicamente e moralmente da 27 anni di dominazione austriaca e da 200 di vicereame spagnolo.
Era stato prima Duca di Parma e Piacenza (1731-1734), poi Re di Napoli e di Sicilia (1734-1759) e infine Re di Spagna (1759-1788).
Il 10 maggio 1734, diciottenne, Carlo entrò in Napoli acclamato dai nobili e dal popolo perché era il primo Re residente a Napoli. Iniziava a Napoli la dinastia dei Borbone.
Carlo, nel luglio del 1735, fu incoronato, a Palermo, Re di Sicilia.
Rilanciò il regno sotto tutti i punti di vista, principalmente quello economico e culturale. Face costruire la reggia di Caserta, il Teatro San Carlo, il famoso Albergo dei Poveri ed iniziò gli scavi di Pompei ed Ercolano.
Quando partì per Madrid tutti lo rimpiansero sinceramente.
In Spagna le cose non gli andarono altrettanto bene come a Napoli. Fra l’altro appoggiò la guerra di indipendenza degli Stati Uniti contro l’Inghilterra, cosa che poi si ritorse contro la Spagna perché dette l’esempio a tutte le sue colonie dell’America latina.
I numerosi insuccessi in politica estera spinsero il sovrano a concentrarsi principalmente sulla politica interna.
Modernizzò la società e la struttura dello stato sul modello illuministico grazie all’aiuto di pochi e ben selezionati funzionari scelti tra la piccola nobiltà.

Dopo aver scacciato i Gesuiti incamerandone le ricchezze, nel 1783, con un decreto riconobbe la possibilità anche all’aristocrazia di dedicarsi al lavoro manuale, mentre la concessione di numerosi titoli ne garantì il primato sociale, a compenso dell’abolizione di alcuni privilegi fiscali.
Memore di come aveva abbellito Napoli, si dedicò anche a fare Madrid una degna capitale di un regno che era immensamente più grande di quello delle Due Sicilie e i madrileni furono talmente soddisfatti da insignirlo del titolo di sindaco di Madrid.
Inoltre Carlo istituì la bandiera della Spagna con le bande rosso ed oro e nel 1770 Carlo III dichiarò la Marcha Granadera marcia d’onore, di fatto l’inno nazionale spagnolo che è in vigore ancora oggi. Quando fu indetto un concorso per l’inno ufficiale spagnolo, non si presentò nessun candidato e perciò è rimasto quello di Carlo III.
L’inno nazionale del Regno delle Due Sicilie invece fu scritto e musicato da Giovanni Paisiello, nel 1787, per volontà di Ferdinando IV di Napoli.

Per la Sanità, la Casa della Comunità è assente dalla campagna elettorale

Dopo la pandemia c’è l’urgenza di ricostruire la sanità sul territorio. Con i fondi del PNRR si vuole aprire gli ambulatori 24 ore e fare assistenza domiciliare

Facciata dell'Ospedale Ascalesi di Napoli.
L’ospedale Ascalesi di Napoli è uno dei più antichi . Prima ospitava un convento

La Casa della Comunità è una nuova opportunità per il welfare sanitario del Sud. Le regioni del Sud sapranno vincere la sfida? O accamperanno le solite lacrimose giustificazioni

Le Regioni italiane non sono omogenee. Sono diverse per storia, lingua , tradizioni e comportamenti sociali ma i 160 anni di storia comune e mass media le hanno grosso modo abbastanza omogeneizzate.

Le Regioni non funzionano allo stesso modo

Nel 1861, con la scomparsa di un regno millenario che datava dai normanni per finire ai Borbone, avrebbe cambiato ( in peggio) il DNA comportamentale per cui non possiamo vantare un comportamento uguali da nord a sud ed isole. Che le regioni marciano a diverse velocità è un fatto acquisito. Poi ci sono fiumi di spiegazione, convegni, seminari, simposi, che cercano di spiegare la cosa, rivendicare maggiori soldi da parte di chi si ritiene più produttivo, oppure che si possono mettere in atto processi virtuosi per diminuire le differenze, ma intanto così è. Prendiamo la Calabria ad esempio, si dice che abbia un sistema sanitario disastroso., al punto tale che per mettervi una “pezza” il presidente di quella Regione ha firmato un accordo con Cuba per l’invio in Calabria di 497 medici cubani. Arriveranno «temporaneamente».

Una notizia incredibile che non ha suscitato nessuna particolare reazione né dai cittadini, né dai politici impegnati in una campagna elettorale piene di promesse di ogni tipo.

Il turismo sanitario
In campo sanitario per esempio solo per effetto del Covid è terminato ( al momento) il turismo sanitario dei meridionali verso strutture ospedaliere settentrionali. Per il semplice fatto che nel triennio 2020/22 tutta la sanità italiana è andata in black out concentrata necessariamente sulla lotta di un solo nemico comune, il Covid che comunque dopo tre anni, sta sempre là anche se noi facciamo finta di niente. Scrive Rebecca Pecori su un rivista nata da poco, Domino «ogni anno due miliardi di euro vengono trasferiti dalle regioni del Centro-Sud a quelle del Nord per fornire ai meridionali le cure che non trovano nei loro ospedali. Se si calcolano anche le spese dei parenti che li seguono si arriva a 4,6 miliardi. La sanità campana versa ogni anno nelle casse della Lombardia 320 milioni di euro».
La pandemia ha avuto un merito, quello di smascherare la presunta super efficienza del sistema sanitario lombardo e mettere a nudo le gravissime carenze sanitarie a livello capillare sul territorio.
Così si è cercato di rimediare e sulla Gazzetta Ufficiale n. 144 del 22 giugno 2022 è stato pubblicato un decreto ministeriale (DM 77/2022 del Ministero della Salute) che contiene il Regolamento sulla definizione di modelli standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale socio-sanitaria.

Basterebbe che i politici impegnati conquistare un posto in Parlamento in nostra rappresentanza, per la prossima legislatura, si impegnassero a realizzare la metà di quanto prevede il decreto.

Potenziare la sanità sul territorio

Il nuovo provvedimento dovrebbe alleggerire la pressione sui Pronto soccorsi dirottando le non urgenze sulle Case della Comunità


E’ un regolamento attuativo che vuole alleggerire la pressione sugli ospedali, sui Pronto Soccorsi e ovviare alla carenza dei medici di base, i cosiddetti medici di famiglia. Insomma si vuole una Sanità a portata di mano , in gergo, “prossimità territoriale”, cioè immediatamente raggiungibile.
Il progetto è ambizioso perché punta a fornire assistenza 24 ore senza spostarsi troppo dalla propria abitazione. Le Regioni hanno tempo fino al 31 gennaio del 2023 per mettersi in regola e a quella data vedremo qual è, a livello nazionale, lo stato dell’arte e quali le Regioni, ed in che percentuali, hanno provveduto alla loro realizzazione. Così si potrà capire subito quali sono le Regioni che fanno solo chiacchiere e quali operano nel concreto. Senza dimenticare però che non si parte sullo stesso nastro di partenza. Il regolamento non tiene conto di questi differenti punti di partenza che conteranno molto sul risultato finale.
Svimez nella presentazione Anticipazioni Rapporto 2022 ha già messo le mani in avanti. Quindi siamo sempre al lacrimatorio pregistificativo.

Anche il” Forum delle società scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani» spara ad alzo zero contro questa riforma come si evince da il Corriere del 10/9/22 che oltre a denunciare l’assenza della Sanità dalla campagna elettorale, se la prende proprio su questo provvedimento affermando che “la risposta delle istituzioni è stata del tutto insufficiente, con una confusa riforma del territorio inadeguata a risolvere i problemi dell’ospedale e tra l’altro di difficilissima attuazione.”

La Casa della Comunità

Un’importanza fondamentale viene attribuita all’Assistenza Primaria.
Tutto ruoterà attorno allo sviluppo di nuove strutture territoriali, come le Case della Comunità, con il potenziamento delle cure domiciliari utilizzando modelli di servizi digitalizzati, necessari per l’assistenza a domicilio, utilizzando strumenti di telemedicina e tele monitoraggio.
Le Case di Comunità riprendono in sostanza un tentativo fatto nel 2007 dall’allora ministra della Sanità Livia Turco con le “Case della Salute” tentativo miseramente fallito anche per carenza di soldi.
Oggi però i soldi ci sono. La missione 6 del PRNN ha stanziato 8043 miliardi per la medicina territoriale, ma la difficoltà italiana molte volte non dipende dall’assenza delle risorse economiche, ma da come spenderle velocemente e correttamente, annullando la burocrazia ed infiltrazioni varie. Missioni impossibili!

Il ruolo delle Farmacie
Il decreto prevede inoltre la valorizzazione della partecipazione dei diversi attori locali (Aziende Sanitarie Locali, Comuni e loro Unioni, professionisti, pazienti e loro caregiver, associazioni/organizzazioni del Terzo Settore, ecc..).
In particolare esse assicurano quotidianamente prestazioni sanitarie come le vaccinazioni e la somministrazione di test diagnostici.
Se funzionerà la Casa della Comunità diventa lo snodo della assistenza medica per il futuro, sperando che non diventi un ambua seguito dell’esperienza Covid.

Ma mica è finito qui. Queste Case comuni, dovrebbero anche predisporre i servizi di assistenza domiciliare poter fare una visita immediata per chi non trova il suo medico di base o ne è semplicemente sprovvisto perché i medici di base non si trovano più falcidiati dai pensionamenti e scarsamente sostituiti. La Casa svolgerà quindi anche il ruolo di una specie di guardia medica in tutti i quartieri.

L’intenzione è nobile ma i problemi sono tanti e si può già fare la facile previsione che per gennaio dell’anno prossimo ci saranno solo alcune sperimentazioni in atto. Vedremo allora la capacità organizzativa delle singole regioni e questo sarà la cartina di tornasole sull’efficienza di alcune aree geografiche rispetto alle altre.

Nel museo del Risorgimento i Borbone ci sono appena

Nel museo del Risorgimento Italiano ubicato a Roma nell’Altare della Patria, la presenza dei Borbone vi è appena accennata ma solo in quanto sconfitti. Per il resto nessuno spazio all’impresa dei Mille, poco a Mazzini, molto a Garibaldi e a Vittorio Emanuele II. C’è anche Cavour naturalmente, ma di sfuggita.

Altare della Patria

Al centro di Roma, a piazza Venezia, si erge solenne il monumento di celebrazione del monarca che aveva fatta l’unità d’Italia e perciò detto il Vittoriano: neppure fu terminato che fu subito fatto oggetto di critiche varie da quelle degli esperti d’arte e quelli più sarcastici della gente qualunque. Si disquisì su tutto, a cominciare dal colore bianco che strideva con i gialli cromatici delle Chiese e dei ruderi romani che stanno lì intorno. Per questo fu dispregiativamente chiamato “ la dentiera” cui si affiancò con l’avanzare del progresso tecnologico, quello de “la macchina da scrivere”, perché richiamava le prime monumentali Lexicon, Continental o Remington.


Fu solo a partire dal 1921 quando il corpo di un soldato, un Milite Ignoto, privo di qualsiasi elemento di riconoscimento, e quindi ignoto, fu traslato da Aquileia a Roma. Solo da allora il Vittoriano è diventato l’Altare della Patria o Monumento al Milite ignoto, divenendo simbolo reale dell’Unità d’Italia e del sacrificio dei soldati italiani di tutte le guerre.
Ora accade che all’interno di questo monumento c’è il Museo Storico del Risorgimento. Chiuso per motivi di sicurezza durante la pandemia, ora è nuovamente visitabile, tranne la “sala delle Bandiere” che è ancora inspiegabilmente chiusa.
Accedervi non è facile, specie per chi non è più un giovincello oppure ha qualche difficoltà locomotoria. Solo dopo aver scalato alcune rampe di ampi scaloni si scopre che c’è un ascensore panoramico che volendo può essere anche utilizzato per accedere al museo.
Inoltre per le silver panthers, le pantere d’argento, non è prevista nessuna riduzione sul prezzo del biglietto e bisogna pagare 12 euro che comprende anche l’uso dell’ascensore panoramico e del museo di piazza Venezia.
Comunque entrando nel museo ci si accorge subito che quello è il museo di Garibaldi e Vittorio Emanuele II.
La presenza dei Borbone vi è appena accennata e solo come sconfitti ovviamente. Scarso spazio all’impresa dei Mille, poco a Mazzini.

Di Garibaldi mancano solo le mutande e canottiere, poi ci sono i pantaloni, il famoso cappello rotondo, la spada eccetera.
Invano troverete qualcosa sull’assedio di Gaeta per esempio, anche perché bisognerebbe conoscere cosa successe a Gaeta fra l’ottobre del 1860 ed il febbraio del 1861 per essere consapevoli. I più lo ignorano, perché la storiografia ufficiale anche oggi tende ad ignorare quest’avvenimento. In quel periodo ci fu l’assedio di Gaeta dove i borbonici resistettero 3 mesi e si arresero perché sconfitti dal tifo e non dalle armi del generale Cialdini che guidava l’assedio ed era sicuro di irrompere nella fortezza alla testa dei bersaglieri.


Per la verità appena si entra c’è la copia del decreto con il quale nel 1848 Ferdinando II concesse la Costituzione , c’è il ritratto di un ufficiale borbonico , poi per ricordare la vittoria e la sottomissione un quadro sui soldati napoletani fatti prigionieri dopo la battaglia del Volturno e un altro quadro dell’ingresso trionfale di Garibaldi a Napoli che dovette lasciare subito dopo per andarsene in volontario esilio a Caprera, partendo dal porto di Torre del Greco, secondo la ricostruzione storica che ne fece Rossellini.
Tutto qui. I 12 euro non li vale!

Garibaldi parte per Caprera dal porto di Torre del Greco
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