Il regista Andò, il neo apologeta garibaldino, dichiara: “Disprezzo i neo borbonici”

Cari neoborbonici, di qualsiasi gradazione siete, dai più sfegatati ai più distaccati, fatevi, una ragione, il regista Andò vi odia o meglio vi “disprezza” in blocco.

Come si sa, il disprezzo è legato a un rifiuto sociale nei confronti di una persona che ha delle idee che non approviamo. L’odio è un forte sentimento di avversione nei confronti di qualcuno che nasce però dalla stratificazione di diverse emozioni più personali.

L’apologeta risorgimentale Roberto Andò, saccente e supponente regista del film “L’abbaglio” abbraccia la tesi propagandata dagli stessi invasori, con il quale Garibaldi avrebbe imbrogliato i borbonici sulla sua reale direzione di marcia facendo credere a questi di andare verso l’interno della Sicilia per fare operazioni di guerriglia mentre invece puntava direttamente sulla conquista di Palermo. Finora i maestri di “arronzare” la storia piegandola alla propria visione, concezione oppure semplicemente piegandola alla sensibilità del risultato commerciale, erano i cineasti statunitensi. Oggi questa tendenza dilaga anche oltre oceano, lambendo l’Europa, un poco come l’ideologia woke e la cancel culture.

 Come ho già spiegato in un precedente articolo su questo stesso blog, contrariamente al racconto cinematografico e a quanto raccontano gli sessi protagonisti,  la colonna borbonica guidata da Von Mechel e Beneventano del Bosco, erano consapevoli della divisione in due colonne di marcia. Infatti Von Mechel guidò la sua inseguendo la colonna diretta a Corleone, mentre Beneventano ritornava a Palermo.

Colui che guidò la colonna dei garibaldini unitamente a 150 picciotti forniti dalla mafia locale era il disertore ex ufficiale borbonico Vincenzo Giordano Orsini che aveva disertato nel 1848 quando fu inviato a difendere Palermo contro i contro degli insorti che avevano fondato il regno di Sicilia ed offerto il trono ad Amedeo di Savoia che prudentemente rifiutò. Sconfitti i rivoltosi siciliani, Orsini non trovo meglio che scappare andando ad arruolarsi nell’esercito dell’Impero ottomano che evidentemente riteneva essere più liberale di quello borbonico. Infatti si dice che si fosse addirittura convertito all’ islamismo, il che naturalmente non è un reato ma dà la figura del soggetto. Come colonnello dell’esercito ottomano Orsini, partecipando alla spedizione in Crimea nel 1853/56 dove era presente anche l’esercito sabaudo, entrò in contatto con elementi piemontesi. Infatti si trasferì a Torino, incontrò Garibaldi e prese parte successivamente alla spedizione dei Mille.

Il regista Andò con il suo film riprendendo tutta la retorica agiografica del cosiddetto “Risorgimento”, ha avuto l’onore di essere intervistato il 9 febbraio 2025, dal Corriere della Sera che, pur essendo un giornale ecumenico non disdegna certe ospitate quando sotto sottotraccia attraverso la più subdola e collaudata delle moral suasion, si può rilanciare vecchi cliché anti-sud che pensavamo superati. E infatti Andò li accontenta subito dichiarando lapidario che lui i neoborbonici li disprezza.

Cari borbonici, dovete fartene una ragione, il regista Andò vi disprezza e così ad un abbaglio ne fa un altro, aggiungendo a mo’ di spiegazione/giustificazione di come” i soldati borbonici bruciarono i paesi da Partinico a Torretta per aver “ raccolto i garibaldini feriti con commovente generosità e grande coraggio” Aggiungendo che “le scene delle madri che piangono i figli uccisi nella repressione borbonica sono autentiche. Non a caso i neoborbonici mi detestano. Ma pure io di loro penso il peggiore possibile” quindi siamo pari e patta ma secondo me insomma Andò in questo caso vince per il carico di odio verso i napoletani.

Già una cosa del genere serpeggiava con il film “Partenope” di Sorrentino. Sarà una moda o una nuova corrente di pensiero.

Garibaldi sarà stato pure un manipolatore, furbastro come dice il regista, ma fatto sta è stato strumento inconsapevole che presentandosi come liberatore dei meridionali è finito per imporre un servaggio ed impoverimento inimmaginabili sotto i Borbone. Certo, le stragi sono orribili e inevitabili durante le operazioni belliche ed hanno la riprovazione e la condanna di tutti. Tuttavia Andò sul Regno delle due Sicilie sembra avere poche idee ma confuse. Lo dice uno io che di idee ne ha ancora  di meno e ancora più confuse, ma non sarei così lapidariamente deciso nell’affermare che i borbonici old e neo sono tutti da disprezzare in blocco.

Oltre ai facinorosi che effettivamente si immaginano un’età dell’oro mai esistita, ci sono anche quelli che fanno valutazioni, diciamo così più laiche, meno fideistiche e settarie. Perché agli eccidi che pone in primo piano, sarebbe facile contrapporre sull’altro piatto della bilancia gli eccidi commessi dai “fratelli liberatori” ,  a partire da quello di Bronte quando la rivolta poteva prendere una piega decisamente socialista e antiborghese,  continuare con i massacri di Fenestrelle,  Pontelandolfo, Pietrarsa, tralasciando i 60.000 o addirittura 100.000 massacrati dall’esercito comandato da Cialdini contro i cosiddetti “briganti calabresi”, accomunando indistintamente tutti gli oppositori o i delusi della nuova realtà istituzionale  compresi donne vecchi e bambini.

Ecco , questo è l’unico abbaglio che io riconosco: l’illusione dei meridionali che si sarebbe stato meglio! L’altra amara realtà sta nel fatto che nell’assaltare un regno che sembrava solido, questo alla prova dei fatti crollò come un castello di carte e invece di stare meglio si stette peggio. Ed è in quel periodo che cominciano i fenomeni di emigrazione verso terre lontane, fenomeno che a tutt’oggi non risparmia i meridionali, specie i più acculturati che dovrebbero costituire il nucleo della prossima classe dirigente. Per rendere legali i massacri da parte dei fratelli liberatori, fu varata addirittura un’apposita legge, la   Legge Pica-Peruzzi, Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle Provincie infette ” promulgata il 15 agosto 1863, la prima legge di pubblica sicurezza dello Stato italiano che istituiva tribunali militari per il Sud e che permetteva la brutale repressione nel sangue meridionale, ad libitum, cioè con piena discrezione dei piemontesi e accoliti in buona o cattiva fede.

Gli effetti di questa legge furono devastanti per il Sud per una giovane Italia da poco unita. I provvedimenti punitivi e le sommarie condanne a morte consequenziali alla sua promulgazione rappresentarono uno dei più feroci atti di repressione della dignità della persona umana in Europa. Ma allora non c’era La CPI ( Corte penale internazionale). E veniamo brevemente ai più rilevanti massacri pre e post unitari.

La sommossa di Partinico

Ancor prima dello sbarco garibaldino, nell’aprile del 1860 a Partinico posta a circa 50 km da Palermo, erano avvenuti scontri tra rivoltosi siciliani e truppe borboniche. I rivoltosi, guidati dal barone Sant’Anna, assalirono i borbonici, il cui comandante, Ferdinando Beneventano del Bosco, contrattaccò respingendoli.

Dopo la battaglia di Calatafimi, la sera del 15 maggio 1860 le truppe napoletane si misero in marcia per raggiungere Palermo.

La ritirata avvenne in modo disordinato lasciando i battaglioni senza viveri. Ciò spinse i militari a usare il solito mezzo delle requisizioni forzate.

La notizia della sconfitta borbonica si diffuse rapidamente accompagnata da mirabolanti particolari che dipingevano i garibaldini come esseri sovrannaturali e invincibili, fomentando il sentimento di rivolta nella popolazione siciliana.

La sera del 16 maggio, una formazione borbonica giunse a Partinico,   dove le notizie della battaglia aveva elettrizzato gli abitanti ancora in armi per la precedente rivolta.

Quando i borbonici giunsero nella cittadina, furono accolti da una intensa fucileria dalle case innestando l’ovvia reazione dei soldati che ebbero la meglio, ma poi stanchi della ritirata non resistettero al contrattacco dei siciliani e scapparono lasciando nelle mani degli insorti un’ambulanza e diversi feriti e soldati della retroguardia .

 Come riporta Wikipedia, non certamente accusabile di essere neoborbonica, i partinicesi, inebriati dalla vittoria, si abbandonarono a orrendi atti di ferocia, uccidendo i soldati napoletani  caduti in loro mano e poi “straziandone i corpi in una sorta di primitivo rito tribale” (cfr Wikipedia), gettando molti cadaveri a bruciare nel fuoco delle loro case incendiate. Il bilancio fu di 40 soldati trucidati e 15 prigionieri da consegnare come trofeo ai garibaldini.

Bronte

A Bronte, in Sicilia, scoppiò un’insurrezione popolare contro la borghesia locale. La popolazione, insorta il 2 agosto1860, perché non venivano distribuite le terre come aveva promesso Garibaldi, diede fuoco a decine di case, al teatro e all’archivio comunale, uccidendo sedici persone.

Garibaldi, temendo che l’esempio di Bronte potesse scatenare altre ribellioni, inviò le sue truppe al comando di Nino Bixio. Questi arrestò i presunti colpevoli e li processò sommariamente, condannando a morte cinque uomini, che furono fucilati il 10 agosto.

Pontelandolfo e Casalduni

L’eccidio di Pontelandolfo e Casalduni (Benevento) fu una rappresaglia dal neo Governo di Vittorio Emanuele II effettuata il 14 agosto 1861,per vendicarsi di un attacco di “briganti”, così come venivano indistintamente chiamati coloro rimasti fedeli ai borbonici. Circa cinquemila abitanti furono trucidati. Fu la prima vera strage impunita dell’Italia unita; come inizio di una sorta di pulizia etnica sulle popolazioni meridionali.

i cittadini vennero sorpresi nel sonno. Le abitazioni furono incendiate con le persone  all’interno. In alcuni casi, i bersaglieri spararono su chi scappava dalle fiamme con le braccia alzate. Gli uomini superstiti furono fucilati mentre le donne (nonostante l’ordine di risparmiarle) furono sottoposte a sevizie o stuprate come riferisce Carlo Margolfo, un soldato che partecipò alla spedizione.

Al termine dell’azione il colonnello Negri telegrafò a Cialdini:

«Ieri mattina all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora

La Fortezza di Fenestrelle

I “massacri di Fenestrelle”: qualcuno li mette ancora in dubbio. Dopo l’unificazione d’Italia negli anni ’60 dell’Ottocento, migliaia di meridionali furono deportati alla fortezza di Fenestrelle, in Piemonte, e sottoposti a condizioni dure, inclusa la morte. Alcune fonti ipotizzano, ma i fatti non sono accertati che molti furono uccisi e gettati in vasche di calce viva.

Le fonti che sostengono l’esistenza del massacro di Fenestrelle includono principalmente articoli e libri di autori come Fulvio Izzo, Gigi Di Fiore, e Pino Aprile.

Queste affermazioni sono contestate da altri storici  come Alessandro Barbero, Juri Bossuto, che sostengono che il numero di vittime è stato esagerato. Quindi non ammettono la quantità, ma l’esistenza del fatto si!

Pietrarsa

Il “massacro di Pietrarsa” avvenne il “6 agosto 1863”, nell’omonima fabbrica metalmeccanica fra Napoli e San Giorgio a Cremano. Fu un evento tragico in cui i bersaglieri aprirono il fuoco sui lavoratori in sciopero presso le officine di Pietrarsa da cui era uscito il primo treno italiano Napoli- Portici. I lavoratori protestavano contro le cattive condizioni di lavoro e i salari non pagati e avevano aperto i cancelli ai soldati pensando che venissero in loro aiuto. Invece si soldati entrarono sparando sugli scioperanti. Ufficialmente furono uccisi solo quattro lavoratori  e altri diciassette rimasero feriti. Questo incidente è considerato uno dei primi grandi conflitti sindacali nella storia d’Italia e ha evidenziato le dure realtà affrontate dai lavoratori napoletani nel periodo post unitario

Il Riscatto baronale di Torre del Greco

Le feste sono la celebrazione di un evento eccezionale per mantenerne vivo il ricordo. Col tempo i fatti sfumano, assumono dimensioni diverse, tutto si sposta sull’aspetto ludico, quando addirittura non vengono soppresse.

Ecco perché è stato un fatte rilevante questa festa. Mentre tutti gli altri popoli vanno alla ricerca delle loro radici, noi invece le vogliamo cancellare. E’ vero che le motivazioni sono tante, ma non tutte plausibili.

Sicuramente tutti quanti abbiamo se non letto, almeno visto al cinema o in televisione i Promessi Sposi, quindi si ha un’idea dell’ambiente, dei costumi, come spadroneggiavano i nobili feudatari. Insomma, le figure di Don Rodrigo e dei suoi “bravi”, degli stenti del popolo ci sono familiari. Siamo nel milleseicento in pieno dominio spagnolo sia a Milano che a Napoli.

Torre del Greco nel 1600 era un feudo, con una forte potenzialità agricola e marittima, ma era strozzata nella sua crescita economica dalla feudalità.

Quando nel 1698 Nicola Maria Carafa, Principe di Stigliano, l’ultimo Capitano di Torre morì senza lasciar eredi, i casali di Torre, Portici, Resina e S. Giorgio a Cremano, passarono al demanio pubblico che il 14 aprile 1698 furono concessi alla contessa Maria Geltrude di Berlips, dama della Regina di Spagna, dietro versamento di una rendita annua di 10.800 ducati che, beninteso, avrebbe recuperato con gli interessi sulle spalle dei torresi.

Ma appena cinque mesi dopo, il 30 settembre del 1698 la Contessa di Berlips vendette il feudo a Mario Loffredo, un nobile spagnolo, Marchese di Monteforte per 106.000 ducati.

Allora i torresi pensarono che fosse giunto il momento di affrancarsi dal gioco feudale ed essere protagonisti del proprio destino. Si scelse la via della trattativa con il vicereame perché era assolutamente escluso che la liberazione potesse avvenire con una ribellione, una sommossa rivoluzionaria, in quanto era ancora vivo il fallimento della rivolta di Masaniello del 1647 soffocata nel sangue e la galera, lasciando tutto peggio di prima.

Così nell’ottobre 1698 i torresi presentarono alla Regia Sommaria, una specie di Mef e Corte dei Conti, una istanza di riscatto visto che il Monteforte non aveva ancora versato i 106.000 ducati pattuiti.

Tutti fecero uno sforzo enorme e nessuno si sottrasse a quello che oggi chiameremmo “impegno civico” per raccogliere la somma dovuta.

E arriviamo al giorno del 18 maggio 1699 giorno dell’udienza della Sommaria.

Michele Vargas il presidenteda inizio alla udienza annunciando il parere favorevole al riscatto. Il marchese si oppone ma non è in grado di versare all’istante il dovuto.

Allora Vargas rivolgendosi ai rappresenti dei casali: E voi avete i ducati? Giovanni Langella, futuro primo cittadino, batte le mani e vengono avanti due coppie di portatori con due bauli, di quelli che vediamo nei film dei pirati, che depongono ai piedi del presidente.

 Questa è la nostra risposta! Ecco i ducati, grida Langella.

Allora Vargas viene in avanti e dichiara Torre del Greco egli altri casali liberi dal baronaggio.

Dai presenti parte una standing ovation, scampanio a festa e qualche fuoco d’artificio.

Finalmente il sogno di riscatto sociale si realizza!

Ancora oggi è ammirabile e stupefacente ripercorrere quanto fu fatto in quel periodo. Torre nonostante il corallo, non stava messa tanto bene: era stata semidistrutta dal Vesuvio nel 1631, scossa dalla rivoluzione nel 1647 e devastata dalla pestilenza nel 1656. Questo ci fa capire quanto fosse profondo il desiderio per la propria indipendenza e di non essere considerati pacchi postali comprati e venduti calpestandone la dignità!

 Pertanto, quest’epopea deve essere di sprone per tutti specie per le giovani generazioni, perché bisogna sempre porsi un obiettivo positivo nella vita, per quanto assurdo e impossibile possa sembrare.

Gaeta, ultimo atto

Presentato a Torre del Greco il giorno 8 giugno 2023 il docu-romanzo sull’assedio di Gaeta.

Alla presenza di un folto e qualificato pubblico”, queste sono le frasi rituali di prammatica che si adoperano in genere per eventi di carattere culturali. Ma stavolta è stato effettivamente così senza alcuna, esagerazione, né agiografica né di routine.
Annunciata da tempo dalla stampa partenopea in particolar modo da “ Tutto è”, “Metropolis” ed altre testate e tivù on line, il giorno 8 giugno scorso presso la libreria Alfabeta di Torre del Greco si è tenuta la presentazione del romanzo storico “Gaeta, ultimo atto” di Camillo Linguella, sociologo del welfare previdenziale e meridionalista, nonché studioso della storia del Sud, in particolare del Regno delle Due Sicilie, che per vicende più o meno note, raccontate in maniera più o meno distorte, comunque fu annesso al Regno di Sardegna con un plebiscito sulla cui legalità pochi giurerebbero.

L’evento è stato magistralmente condotto dal giornalista Aniello Sammarco che ha illustrato i contenuti del libro ed il contesto storico in cui è stato inserito, la difesa a Gaeta di Francesco II nell’ultimo disperato tentativo di salvare il Regno delle Due Sicilie. Prima di dare la parola a Linguella c’è stato un contributo di Carmine Paino titolare della libreria Alfabeta del circuito Mondadori.

Alla manifestazione è intervenuto anche il neo sindaco di Torre del Greco, Luigi Mennella, che senza entrare nel merito specifico del romanzo la lodato l’iniziativa di carattere culturale e ha fatto intendere che lui curerà molto la cultura a Torre del Greco in tutte le sue molteplici manifestazioni.

Il Regno delle due Sicilie era lo Stato territorialmente più esteso, più popoloso e, incredibile ma vero, col il bilancio pubblico attivo. Situazione che cambiò immediatamente dopo l’unificazione: fabbriche delocalizzate al nord, condizioni di vita specie dei lazzari e dei contadini peggiorate, inizio dell’emigrazione.

Torre del Greco vanta ben 12 ville vesuviane alcune delle quali avrebbero bisogno almeno di un po’ di verniciatura. Ed in un paio di queste ville inesistenti che si sviluppa la complessa trama del romanzo storico di Camillo Linguella che ha come centri di azione, da una parte Torre del Greco e dalla parte opposta la fortezza di Gaeta dove si consumò l’ultima resistenza dei soldati duosiciliani.
È un episodio spesso ignorato dalla storiografia ufficiale oppure appena accennato. Ignoto perfino a molti meridionali. Invece fu un riscatto nobile di una dinastia che non aveva saputo cogliere i fermenti nuovi nell’aria. Eppure stranamente i Borbone avevano dato vita al cosiddetto ” illuminismo napoletano” anche se poi si persero per strada.

Il fulcro centrale di questa nuova ideologia è costituita dalla cosiddetta “autonomia differenziata”, un semplice eufemismo linguistico piuttosto usato per dare una aspetto più simpatico a qualcosa per mascherare la volontà di disunire per motivi sostanzialmente edonistici ed egoistici. E invertendo l’ordine dei fattori, i borbonici che nel 1800 volevano stare in pace a casa loro, fra l’acqua santa ( lo Stato della Chiesa) e l’acqua salata ( il mar Mediterraneo), oggi i borbonici progressisti, e non è un ossimoro, cioè una contraddizione in termini, ritengono che l’Unità d’Italia sia ancora un valore e che l’autonomia differenziata non può che essere una funesta operazione, sempre a danno del Sud.

Il referendum della Russia ed il plebiscito del Regno delle Due Sicilie: Un parallelo storico

il 21 ottobre 1860 mentre a Gaeta ancora si combatteva e le sorti del Regno dei Borboni non ancora decise, il Piemonte indisse in Plebiscito di annessione dove votò il 2% circa della popolazione.

La Storia seppure in maniera diversa, ci presenta a volte degli avvenimenti che pur possedendo enormi analogie, causano reazioni differenti.

Piazza Plebiscito a Napoli

Ciò è dovuto essenzialmente ai contesti in cui si svolgono e che variano continuamente per il mutare delle situazioni geopolitiche.

Ora la Storia offre un altro esempio oltremodo calzante: l’invasione della Russia in Ucraina, rivendicando suoi presunti diritti e l’invasione del regno Sabaudo al Regno delle Due Sicilie, variamente giustificato in questo caso dagli “aedi” risorgimentali. E’ stato il primo esempio di “esportazione” della democrazia con le armi in un paese “autocratico ed incivile che opprimeva i suoi sudditi” che poi sarebbero i Borbone.

Quello che sta succedendo in Ucraina, trattandosi di avvenimenti contemporanei, lo conosciamo bene ed è lampante la violazione dei diritti di uno Stato Sovrano. Oltre ad essere vicini agli assaliti ed esserne coinvolti emotivamente, siamo anche sconvolti per gli effetti collaterali dovuti all’aumento iperbolico del gas ed elettricità che poi si riverberano su tutti gli altri prezzi del nostro vivere quotidiano.

Le cancellerie hanno reagito compatte a quest’invasione, come compatte stanno reagendo di fronte al referendum farsa di fine settembre 2022, convocato per legittimare una brutale annessione. Infatti USA & UE hanno preparato una nuova tranche di sanzioni, la 8^, a uomini e cose della Federazione Russa.

Anche in Italia, 162 anni fa, il 21 ottobre 1860, si è perpetrato qualcosa di simile: L’effettuazione del plebiscito di annessione del Regno delle Due Sicilie alla monarchia sabauda.

 Uno Stato, facendosi scudo dietro ideologie di una élite culturale, prevalentemente formata da appartenenti della media ed alta borghesia, decise di “liberare dall’oppressione” un popolo tiranneggiato dal “malgoverno” di un altro Stato che era nientepopolimeno la “negazione di Dio elevata a governo”, come ebbe a dichiarare un politico inglese, come se in quel periodo negli slums di Londra si vivesse meglio che a Napoli, invadendolo.

L’affermazione di lord Gladstone, applaudita da tutti i “benpensanti” a scatola chiusa, veniva dal rappresentante di un paese che si era arricchito con la tratta degli schiavi abolita ufficialmente solo nel 1807, la pirateria sui mari e la Compagnia delle Indie e dal 1800, con l’avvento della rivoluzione industriale, con lo sfruttamento di operai uomini, donne e bambini nelle fabbriche.

Scopo di allora di Albione all’inizio era limitato unicamente ad assecondare la voglia di autonomia della Sicilia che le avrebbe assicurata il monopolio sullo zolfo e il controllo del Canale di Suez i cui lavori erano cominciati nel 1859, alla vigilia della operazione para militare dei “wagner” di allora, conosciuta come l’impresa dei mille.

Il Regno di Sardegna,  per portare a termine l’invasione del Sud, attraversò illegalmente i territori dello Stato della Chiesa, come fece Hitler quando per invadere la Francia, attraversò il territorio del neutrale Belgio.

In verde l’itinerario dell’esercito sabaudo

Napoli, un paese che credeva di essere al sicuro, situato com’era fra l’acqua santa ( lo Stato della Chiesa) e l’acqua salata (il Mar Mediterraneo), fu invasa da una potenza straniera  senza nessuna dichiarazione di ostilità.

Nessuno Stato pensò di applicare sanzioni contro il Piemonte che ricevette invece solo applausi, ed i massacri che compì dopo l’annessione contro i cittadini contrari 60.000 persone, comprese donne, vecchi e bambini, fu da tutti benvista se non addirittura incoraggiata.

Qualche anima buona poteva pensare che il regno sabaudo intervenisse in questo modo per dare man forte ai borbonici che erano stati invasi da un gruppo di “patrioti” desiderosi di portare progresso e libertà al sud, cosa che stanno ancora aspettando, ma non fu così.

E mentre il Regno delle Due Sicilie era nella piena pienezza dei suoi poteri in forza del diritto internazionale e a Gaeta ancora si combatteva, il 21 ottobre del 1860 Vittorio Emanuele II organizzò un plebiscito di annessione del Regno di Napoli. Vincendolo perchè in pratica utilizzò gli stessi sistemi intimidatori usati in Ucraina.

Con la differenza che allora i governi non si sdegnarono, né fecero alcunchè, ma si affrettarono a riconoscere immediatamente l’annessione.

Il 3 ottobre 1860, Vittorio Emanuele II, con una tempistica eccezionale perché avveniva immediatamente il giorno dopo l’epica battaglia del Volturno ( 2 ottobre 1860), entrò ad Ancona per mettersi alla testa delle sue truppe, circa 39.000 uomini, per poter prendere militarmente possesso del Regno delle Due Sicilie e mettere da parte Garibaldi. In quell’occasione ebbe a proclamare solennemente:

Le mie truppe s’avanzano fra voi per affermare l’ordine: io non vengo ad imporre la mia volontà, ma a rispettare la vostra…”  e avendo deciso l’annessione a prescindere se i napoletani la volessero o no, si dette subito da fare per legalizzare in qualche modo l’illegittima ed illegale invasione di un regno con il quale il Piemonte non aveva mai avuto ufficialmente dissidi né aveva mai dichiarata nessuna ostilità.

Anche questa volta lo strumento utilizzato fu l’indizione dell’ennesimo plebiscito.

La novità, che rendeva ancora di più illegittimo l’utilizzo delle strumento plebiscitario, è che il Regno delle Due Sicilie era quello di un regno legittimo, riconosciuto da tutte le diplomazie mondiali, non c’era stata rivolta di popolo contro il re e quest’ultimo non si era né dimesso né era fuggito col suo patrimonio all’estero ( infatti lo aveva lasciato nel caveau del Banco di Napoli che lo crediate o meno).

Infatti il plebiscito fu indetto mentre si combatteva ancora e inoltre l’esercito napoletano si preparava a vivere alcune delle sue pagine più gloriose nell’Assedio di Gaeta.  Assedio che durò tre mesi mentre i piemontesi pensavano di sgominare i resti dell’esercito duosiciliano alla vigilia del plebiscito del 21 ottobre 1860.

Il Plebiscito era un istituto del Diritto Romano inteso ad interrogare il popolo per conoscerne la volontà su determinate questioni di interesse generale. Infatti la parola deriva dal latino plebiscitum (plebis scitum) cioè “quello che ha stabilito il popolo”. Esso fu riesumato in Francia da Napoleone III nel 1851 per far convalidare il suo colpo di stato.

Poi il Piemonte se ne servì abbondantemente.

Stupisce la velocità dei tempi e delle procedure previste, se si tiene conto che fu indetto in un momento non solo storicamente in preda alle convulsioni della guerra, ma in un paese con poche strade, pochi telegrafi e scarsa rete ferroviaria. Per tempi così ravvicinati, sarebbe occorso un odierno sistema informatico di quelli utilizzati dai moderni ministeri degli interni. In 2/3 giorni si organizzò tutto.

Il Regno delle Due Sicilie contava circa 10 milioni di abitanti, votarono appena un milione e mezzo circa, ma valse a decretare la sua fine.

Questi i risultati:

Napoli: 1.302.064 si, 10.302 no;

Sicilia: 432.053 si, 667 no!

Da allora il Sud aspetta di tornare ai livelli di vita pre union e la Sicilia che aveva lottato e si era illusa  per l’autonomia, si trovò ad essere ancora più periferica, ora che il nuovo stato comprendeva moltissimi altri territori.

Chi vuole istituire una giornata per la proclamazione del regno dei Savoia, si ricordasse anche del plebiscito

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