Sanno tutto di tutto, invitati perenni in televisione, ieri discettavano sui vaccini, oggi discettano sul cambiamento climatico, domani su qualsiasi altra cosa, con frasi fatte e luoghi comuni.
Quelli dei tuttologi non è un fenomeno nuovo, già nell’antichità c’erano gli esperti di tutto. E nella Repubblica romana, non essendoci ancora il campionato di calcio, non si poteva fare l’allenatore e così i Romani si dilettavano a fare i tattici e gli strateghi delle numerose battaglie combattute da Roma.
E’ illuminante la lamentela di Enobarbo al Senato
Durante le guerre macedoniche (214 – 168 a.C.) combattute dai romani, il senato mandò Domizio Enobarbo in Grecia per rendersi conto della relazione. Il vincitore di fatto della battaglia di Magnesia nel 190 a.C. che consegnò la Grecia ai Romani, rispetto ai commentatori della sua relazione ebbe a dire:
“Ogni volta che delle persone si ritrovano e, purtroppo, perfino nei banchetti c’è sempre qualcuno che sa come si trasferiscono gli eserciti in Macedonia, dove si deve mettere il campo, quali luoghi si debbano presidiare con guarnigioni, in che periodo o attraverso quale passo si deve entrare in Macedonia, dove si debbano dislocare i granai, quale strada si debba seguire per far affluire i rifornimenti dalla terra e dal mare, quando si debba attaccare il nemico, e infine, quando si debba starsene tranquilli. Costoro, poi, non si limitano a stabilire come ci si deve comportare, se qualcosa non viene fatto come loro hanno previsto, mettono sotto accusa il console quasi come lo avessero citato in giudizio…. Pertanto se qualcuno confida di potermi dare dei consigli che siano veramente utili allo Stato per questa guerra che sto per affrontare, costui non sottragga il suo apporto alla Repubblica e venga con me in Macedonia. Io lo agevolerò facendogli nave, cavallo, tenda e anche il necessario per il viaggio. Ma se qualcuno trova fastidio di fronte a queste cose e preferisce la tranquillità cittadina alle fatiche del servizio militare, non cerchi di governare4 la nave standosene a terra. La città fornisce abbastanza argomenti di conversazione e in questi si riversi la loquacità di ognuno: si sappia che a noi saranno utili solo i suggerimenti di chi sa come si vive in accampamento.”
A. Frediani Le grandi battaglie di Roma Antica – Newton Compton pagg 166/167
Ed è sorprendente come le sue osservazioni sono valide ancora oggi, visto l’imperversare dei tuttologi dai giornali ma soprattutto dai talk show
Nel 1800 il Nord impose l’Unità, nel 2024 vuole scioglierla. In questi giorni la cosiddetta Autonomia differenziata fra le Regioni italiane, muove i primi concreti passi in Parlamento. Un salto all’indietro di circa 160 anni dalla proclamazione dell’Unità d’Italia.
Gli avvenimenti politici economici e sociali del 1800 sono ancora avvolti nella paludata mitologia del Risorgimento che avrebbe dato corpo all’”unanime desiderio del popolo italiano di unificarsi”. In realtà non fu proprio così. L’unità fu fatta dall’aggressione di uno Stato contro un altro con il quale non era in guerra né esisteva alcun conflitto. Si mandò avanti un corpo di “volontari” ben finanziato con un contorno di autentici patrioti volontari, comunque rappresentanti della nascente borghesia economica. Poi l’operazione fu condotta direttamente da soldati regolari dello Stato invasore. Allora, invece di sanzioni, l’Europa unanime plaudì l’operazione. Comunque, cosa fatta capo ha e quindi dopo il primo il Regno d’Italia che fu una estensione del Piemonte, dopo la lotta antifascista nacque poi la Repubblica Italiana che, è una e indivisibile. Ora che i costi collettivi nazionali rischiano di sopravanzare i benefici territoriali in alcune parti, si pensa a cambiare registro senza mettere in discussione (formalmente) l’Unità d’Italia; basta creare un’autonomia differenziata. In soldoni estendere la già esistente formula delle Regioni a Statuto speciale a tutte le altre, con una novità non detta ma ovvia, se no l’operazione non avrebbe senso per chi l’ha ideata, cioè quella che i soldi si spendono dove si creano. Gli altri potranno sempre chiedere aiuti direttamente alla UE. Indirettamente potrebbe essere uno sprone per uscire dall’accidia delle incompetenze, menefreghismo e pratiche consociative non sempre limpide poste in essere nel Sud (altro che best practice!), come si predica da più parti. Invece i fatti del Covid che abbiamo tutti dimenticato, ha reso evidente che occorre riaccentrare certi settori, come quello della Sanità, per esempio, se no tanto vale battersi, come fanno alcuni vetero nostalgici, per ricostruire il Regno delle Due Sicilia. Certamente peggio di come stanno oggi i meridionali non potrebbero stare!
La prima differenziazione la fece Bassanini nel 2001
Si pensa di compiere questa operazione senza modificare la lettera dell’attuale Costituzione, utilizzando le norme che essa contiene. Per esempio appigliandosi all’art 117 che già è stato sbadatamente utilizzato altre volte, aprendo una crepa nel tessuto unitario. Infatti proprio quelle forze politiche che ora si strappano i capelli nel 2001 vararono la riforma del “Titolo V” della Costituzione italiana, anche nota come “riforma Bassanini”. Riforma che ha introdotto il principio dell’Autonomia differenziata e che ha prodotto nefasti cambiamenti nella struttura del governo territoriale italiano, trasferendo molte competenze dal governo centrale alle regioni e alle autonomie locali dando origine al fenomeno dei “Governatori” regionali, che da semplici presidenti si sono trasformati in caudilli, tanto al nord, quanto al Sud, ma quelli del sud a volte sono più pittoreschi… L’art 117 della Costituzione dice che, in alcune materie espressamente indicate, lo Stato dà una competenza concorrente limitandosi a precisare i principi fondamentali inderogabili (a cui tutte le Regioni devono uniformarsi); le Regioni disciplinano nel dettaglio la materia attenendosi ai principi fondamentali fissati dallo Stato.
I Lea e i Lep
Fra i principi fondamentali inderogabili (a cui tutte le Regioni dovranno uniformarsi) sono centrali i LEA a cui ora si aggiungono anche i LEP che sono diventati importanti ora che si pensa di modificare l’ordinamento statale dando ancora più poteri alle Regioni, invece di fare un percorso opposto come ha messo in evidenza la disarmonia funzionale ( diciamola così) espressa dalle Regioni nel corso della pandemia Covid per il periodo 2020/22, come già detto prima. Vediamo da vicino i Lea ed i Lep
I Livelli essenziali di assistenza (LEA)
I Livelli essenziali di assistenza (LEA) sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale (tasse). Per garantire l’aggiornamento continuo, sistematico, su regole chiare e criteri scientificamente validi dei Livelli essenziali di assistenza, è stata istituita la Commissione nazionale per l’aggiornamento dei LEA e la promozione dell’appropriatezza nel Servizio sanitario nazionale.
I Livelli essenziali delle prestazioni (LEP)
LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni) sono invece indicatori riferiti al godimento dei diritti civili e sociali che devono essere determinati e garantiti, sul territorio nazionale, con la funzione di tutelare l’unità economica e la coesione sociale della Repubblica, rimuovere gli squilibri economici e sociali (federalismo solidaristico) e fornire indicazioni programmatiche cui le Regioni e gli enti locali devono attenersi, nella redazione dei loro bilanci e nello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Sulla carta non c’è che dire, tutto perfetto, ma le difficoltà vengono proprio dalla formulazione letteraria. Da un punto di vista metodologico non è affatto semplice tradurre i diritti civili e sociali da garantire ai cittadini in indicatori e livelli di prestazioni effettivamente misurabili. Si tratta infatti di un processo che comporta una serie di passaggi non banali:
mappatura dei servizi erogati sul territorio da ciascun ente;
identificazione dei servizi in cui è necessaria la determinazione dei Lep;
valutazione dei livelli di spesa e dei servizi erogati per i settori interessati dai Lep;
determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, in modo da stabilire se le risorse a disposizione dell’ente sono sufficienti per erogare il servizio in questione. In caso contrario, per calcolare a quanto ammontino le risorse aggiuntive. Il punto chiave è che per lo Stato non basta stabilire delle soglie adeguate sui servizi (ad esempio, se parliamo di servizi prima infanzia, il numero di posti offerti ogni 100 bambini residenti). Introdurre i Lep è infatti necessario anche per garantire l’offerta di un adeguato livello di servizi. Ciò ha evidentemente un costo: si pensi ai servizi con maggiore disomogeneità sul territorio nazionale, come gli asili nido e i servizi socio-educativi per la prima infanzia. Un esempio per tutto sulla realtà esistente: gli asili nido Il livello di copertura degli asili nido in Italia, definito come il numero di posti nei servizi educativi per 100 bambini residenti sotto i 3 anni, era del 26,6% nell’anno scolastico 2019/2020. Secondo il rapporto nazionale sugli asili nido promosso da “Con i Bambini e Openpolis”, a fronte di un Centro-Nord che con 32 posti ogni 100 bambini ha quasi raggiunto l’obiettivo europeo del 33% e dove in media 2/3 dei comuni offrono il servizio, nel Mezzogiorno i posti ogni 100 bambini sono solo 13,5 e il servizio è garantito in meno della metà dei comuni (47,6%). La differenza tra le due aree è di 18,5 punti. L’89% dei comuni dell’Emilia Romagna che offrono servizi prima infanzia nel 2019. Nel sud nello stesso anno sono il 22,8%.
Persiste la povertà anche se nel post-Covid il Sud aggancia la ripresa per lavoro precario e bassi salari.
LA Svimez ha presentato il suo Rapporto annuale sulla situazione del Meridione d’Italia il 5 dicembre 2023 dove si evincono ancora il persistere di un grande disagio economico.
La SVIMEZ – Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – è un’Associazione privata senza scopi di lucro il cui oggetto sociale è lo studio delle condizioni economiche del Mezzogiorno al fine – come recita il suo statuto – di proporre concreti programmi di azione e di opere intesi a sviluppare nelle regioni meridionali quelle attività industriali che meglio rispondano alle esigenze accertate.
Secondo il Rapporto, la dinamica del PIL italiano nel biennio 2021-2022 si è mostrata uniforme su base territoriale. L’economia del Mezzogiorno è cresciuta del 10,7%, più che compensando la perdita del 2020 (–8,5%). Nel Centro-Nord, la crescita è stata leggermente superiore (+11%), ma ha fatto seguito a una maggiore flessione nel 2020 (– 9,1%). La novità di una ripartenza allineata tra Sud e Nord sconta però l’eccezionalità del contesto post-Covid per il tenore straordinariamente espansivo delle politiche di bilancio e la diversa composizione settoriale della ripresa.
Doppio al Sud l’impatto dell’inflazione sui redditi delle famiglie
L’accelerazione dell’inflazione del 2022 ha eroso soprattutto il potere d’acquisto delle fasce più deboli della popolazione. Sono state colpite con maggiore intensità le famiglie a basso reddito, prevalentemente concentrate nelle regioni del Mezzogiorno. Nel 2022 l’inflazione ha eroso 2,9 punti del reddito disponibile delle famiglie meridionali, oltre il doppio del dato relativo al Centro-Nord (–1,2 punti)
Rispetto alle altre economie europee, in Italia la dinamica inflattiva si è ripercossa in maniera significativa sui salari reali italiani, che tra il II trimestre 2021 e il II trimestre 2023 hanno subìto una contrazione molto più pronunciata della media UE a 27 (–10,4% contro –5,9%), e ancora più intensa nel Mezzogiorno (–10,7%). La ripresa dell’occupazione al Sud non argina il disagio sociale
Rispetto al pre-pandemia la ripresa dell’occupazione si è mostrata più accentuata nelle regioni meridionali: +188 mila nel Mezzogiorno (+3,1%), +219 mila nel Centro-Nord (+1,3%). In tema di precarietà del lavoro, nella ripresa post-Covid dopo il «rimbalzo» occupazionale è tornata a inasprirsi la precarietà. Dalla seconda metà del 2021, è cresciuta l’occupazione più stabile, ma la vulnerabilità nel mercato del lavoro meridionale resta su livelli patologici. Quasi quattro lavoratori su dieci (22,9%) nel Mezzogiorno hanno un’occupazione a termine, contro il 14% nel Centro-Nord.
L’incremento dell’occupazione non è in grado di alleviare il disagio sociale in un contesto di diffusa precarietà e bassi salari. Nonostante la crescita dell’occupazione, nel 2022 la povertà assoluta è aumentata in tutto il Paese. La povertà ha raggiunto livelli inediti. Nel 2022, sono 2,5 milioni le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta al Sud: +250.000 in più rispetto al 2020 (–170.000 al Centro-Nord). La crescita della povertà tra gli occupati conferma che il lavoro, se precario e mal retribuito, non garantisce la fuoriuscita dal disagio sociale.
Nel Mezzogiorno, la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022 (dal 7,6 al 9,3%). Un incremento si osserva tra le famiglie di operai e assimilati: +3,3 punti percentuali. Questi incrementi sono addirittura superiori a quello osservato per il totale delle famiglie in condizioni di povertà assoluta.
A Natale tutti festeggiano la nascita di Gesù, ma ognuno in modo diverso seguendo antiche tradizioni locali: questa è la magia del Natale nel mondo.
Natale probabilmente si sovrappone a festività preesistenti, legate al solstizio d’inverno, il giorno più corto dell’anno durante il quale i popoli antichi, dai Romani ai Celti, festeggiavano la (ri)nascita del sole dopo le tenebre invernali.
Verso il 350, cioè tre secoli e mezzo dopo, il Papa Giulio I stabilì che la nascita di Gesù era il 25 dicembre.
Da quel momento in poi tutta la cristianità festeggiò in quella data la nascita del Redentore con delle cerimonie religiose.
L’Italia è il paese dei campanili per cui si può tranquillamente affermare che ogni quartiere ha la sua particolare tradizione che tende a conservare. E questo è un fatto positivo. Comunque, anche da noi una certa tendenza all’omogeneizzazione è molto forte.
Specie per quanto riguarda il pesce alla vigilia e la carne a Natale. Ma come detto non sempre è così. In Italia si mangia(va) così: In Veneto il piatto centrale è la polenta con il baccalà, in Lombardia l’anguilla al cartoccio, in Piemonte gli agnolotti e il bollito condito, in Valle d’Aosta la carne di manzo cotta col vino (carbonade), in Trentino canederli e capriolo, in Emilia Romagna tortellini e passatelli, in Molise il brodetto alla termolese, in Toscana il cappone ripieno, in Campania gli spaghetti con le vongole, il capitone e l’insalata di rinforzo, in Sardegna i malloreddus, in Sicilia la pasta con le sarde.
Insalata di rinforzo napoletana
E’ stato pubblicato un agile volumetto su Amazon “Le principali tradizioni di Natale nel mondo” che illustra le principali cerimonie religiose ed i cibi caratteristici delle feste.
Mentre il nord del pianeta festeggia il Natale al freddo e al gelo, nel Sud dell’emisfero si festeggia sovente a mare perchè è estate.
Vale la pena leggerlo, perchè si legge tutto di un fiato.
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