Le Medie imprese del sud crescono più di quelle al nord

Le medie imprese del Mezzogiorno negli ultimi dieci anni hanno superato le imprese analoghe del Centro e del Nord. Anche l’impennata dei costi energetici e la pandemia non ne hanno frenato la corsa che quest’anno prevedono un incremento dell’8,1% (contro il 7,2% delle altre aree d’Italia).

la fabbrica del futuro

+ 8,1% il giro d’affari nel 2022. Quasi la metà supererà i livelli produttivi pre-pandemia
Il 71% si è già attivato – o lo farà a breve – sul PNRR

Il rapporto delle medie imprese del mezzogiorno, reso noto dal Centro Studi Guglielmo Tagliacarne lo scorso 16 dicembre 2022, ci informa che poi il Sud economicamente non va poi così male come si pensa. Le medie imprese del Mezzogiorno negli ultimi dieci anni hanno superato le imprese analoghe del Centro e del Nord. Anche l’impennata dei costi energetici e la pandemia non ne hanno frenato la corsa che quest’anno prevedono un incremento dell’8,1% (contro il 7,2% delle altre aree d’Italia), dopo l’aumento del 10% conseguito nel 2021. Così quasi la metà conta di superare entro il 2022 i livelli pre-Covid.

Il Centro Studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne che ha curato il rapporto, è il fulcro dell’informazione economica delle Camere di commercio.

Esso risponde alla necessità di rafforzare l’azione di analisi e monitoraggio dei fenomeni socio-economici anticipando i mutamenti dei mercati e della società per fornire informazioni utili di supporto alle politiche di sviluppo.

La funzione degli studi e dell’informazione economica è una delle competenze assegnate dalla legge (d.lgs 219/2016) a sostegno della competitività delle imprese e dei territori.

L’attività di studio e di analisi si svolgono in ambiti diversi fra cui:

● analisi, elaborazione e lettura delle dinamiche delle imprese;

● individuazione di percorsi di sviluppo locale;

● osservazione delle tendenze dei settori e delle filiere produttive;

● approfondimenti sulle tematiche relative all’innovazione;

● contabilità economica territoriale;

● definizione di linee di policy e monitoraggio dei loro effetti.

“Le medie imprese meridionali rappresentano la locomotiva industriale del territorio, figlie di un capitalismo familiare di lunga data che si tramanda da generazioni. Sono imprese che hanno anche messo in evidenza una capacità di resistenza non inferiore rispetto alle altre presenti nel resto del Paese”. È quanto ha sottolineato il presidente di Unioncamere Andrea Prete che ha aggiunto “sono pronte a cogliere le sfide del cambiamento puntando sempre più sulla frontiera 4.0, facendo leva anche sul PNRR. Ma per questo servirà, soprattutto al Mezzogiorno, sviluppare un modello di innovazione improntato su una forte collaborazione tra imprese, Università, centri di ricerca locali”.

Quasi una media impresa su 10 è del Sud. Più precisamente sono in tutto 316 le aziende leader del cambiamento provenienti dal Mezzogiorno (3.174 complessivamente operanti in Italia), delle quali il 40% circa si trova in Campania. Nel 2020 fatturano 14,6 miliardi di euro, coprono l’11,5% del valore aggiunto del totale manifatturiero della stessa area e il 30% delle loro vendite è destinato all’estero. Alimentare-bevande, meccanico e chimico-farmaceutico sono i settori principali in cui operano, rappresentando oltre l’80% del giro d’affari complessivo.

Nel Sud, le medie imprese sono più dinamiche delle grandi…
Quasi la metà delle medie imprese prevede di superare i livelli pre-Covid. Più precisamente il 44% delle medie imprese del Mezzogiorno, alla stregua delle altre della stessa stazza nel resto d’Italia, si attende di riuscire a mettere definitivamente alle spalle la crisi pandemica, superando già quest’anno i livelli produttivi pre-Covid. Mentre solo il 31% delle imprese di grandi dimensioni operanti nel meridione pensa di riuscire a farlo.

anche grazie al PNRR
Il 71% delle medie imprese meridionali punta sul PNRR: il 48% si è già attivato mentre il 23% ha in programma di farlo nel breve termine. C’è però un altro 29% che non pensa di avvantaggiarsi delle opportunità previste dal Piano.
quasi la metà punta per competere sull’open innovation
Aperte a fare network per innovare, ma meno di quelle del Centro e del Nord. Il 44% delle medie imprese del Mezzogiorno investirà in processi di co-innovazione entro il 2024 con almeno un soggetto esterno alla propria azienda, contro il 53% di quelle localizzate nelle altre aree. Il 32% punterà sulla collaborazione con le Università per la co-innovazione di prodotti e servizi (contro il 40%), il 3% con i subfornitori (contro il 12%) e il 15% con i clienti (contro il 17%).
Le incertezze degli ultimi anni hanno spinto le medie imprese meridionali ad affrontare alcuni temi non più rinviabili. L’85,1% di esse ritiene prioritario agire sulla governance attraverso un rinnovo manageriale o generazionale (contro il 78,4% delle altre aree). Inoltre, il contesto geopolitico ha imposto un ripensamento delle catene di fornitura tanto che, per limitarne i rischi di rottura, il 75,8% delle medie imprese del Mezzogiorno (in linea con le altre aree) ha optato per una diversificazione dei fornitori, incrementandone il numero e preferendo quelli di prossimità, cioè meridionali.

“Napoli tra bellezza e magia”: un libro da leggere in un fiato

Sabato 10 dicembre 2022 sono approdato alla Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria che si è tenuta a Roma dal 7 al giorno 11 dicembre, mentre imperversava sulla città il più furioso acquazzone dai tempi di Noè in poi.
Mi sono volontariamente sottoposto a quello che potrebbe sembrare la soddisfazione di un insano impulso masochistico, incomprensibile, specie per un borbonico sia pure progressista, come mi autodefinisco, inconsapevole di infrangere un ossimoro storicamente consolidato e come tale accettato:

un borbonico è per definizione un regressista e quindi non può essere progressista.

Il fatto è che i libri esercitano ancora un fascino insostituibile su alcuni soggetti. Essi mantengono ancora un primato su tutti i media attualmente a disposizione, compresi i cosiddetti social che tendono ad essere sempre più “asocial”.
Se la radio ti dice la notizia, la televisione te la fa vedere ed il giornale te la spiega anche se a modo suo, è nel libro che si trovano le risposte ai propri interrogativi, voglia di conoscenza, oppure di appagamento dell’animo.

Con i libri ci si immerge in una dimensione così fantastica che diventa prossima alla realtà, così si sogna e si partecipa a ciò che si legge.
Inoltre la Piccola e Media editoria, fortunatamente numerosissima in Italia, offre dei vantaggi in più rispetto alle grandi case editrici, che dispongono di mezzi ingenti per propagandare i loro prodotti sia attraverso le tivù di Stato sia attraverso i vari premi strega, whisky, campiello e compagnia bella. Il principale dei quali è quello di farci trovare delle vere perle letterarie
Infatti è nella piccola e media editoria che si nascondono notevoli gioielli poetici, affascinanti pagine storiche, romanzi coinvolgenti, frutto di lavoro, competenza e passione dei numerosi autori che difficilmente diventeranno star o influencer. E quando si trova un libro bello ti appassiona e lo leggi d’un fiato e poi lo rileggi.

Ma ritorniamo a noi. La visita alla Fiera aveva due scopi, uno secondario, visitare la Fiera scartando i simposi degli editori facoltosi, tipo quelli di Robinson e andando a piluccare fra i testi esposti, l’altro primario assistere alla presentazione di un libro su Napoli, sia pure presentato sotto le mentite spoglie di un romanzo: “Napoli tra bellezza e magia” di Antonio R. Garofalo edito per i tipi della casa Editrice Albatros.

Il cuore di Napoli si concentra fra il mare, l’Albergo dei Poveri, voluto da Carlo III, il Duomo dove c’è la cappella di San Gennaro, via Foria, via Spaccanapoli, i quartieri spagnoli via Toledo e, a due passi da via San Gregorio Armeno, celebre per i suoi negozi di pastori e dei Presepi e via del tribunale, c’è poco distante San Domenico Maggiore, il palazzo del principe di San severo, la chiesa di San Pietro a Majella e Piazza San Gaetano dove c’è (c’era) l’agorà per i greci e il foro per i romani cioè il cuore dove il popolo veniva a deliberare sostituiti dai cosiddetti “ i sedili” , una specie di giunta comunale o quantomeno una consulta cittadina sui problemi della città. I sedili erano composti da cinque nobili e da un rappresentante del popolo. In questo spazio c’è la Napoli immutabile ed eterna anche se circondata da grattacieli che vogliono imitare il Pirellone di Milano che, anche quello pur facendo ormai parte dello skyline meneghino, è sempre un cazzotto negli occhi.
Alberto Santoro vice questore destinato a Napoli dopo aver lavorato al Nord, ad Alessandria prima di riprendere il suo lavoro nella città partenopea per caso si reca in una libreria per acquistare un libro e a tutta la sua attenzione da una porta misteriosa non resiste alla tentazione di entrarvi e improvvisamente si trova catapultato all’epoca dell’ illuminismo nel XVIII secolo con un caso di omicidio da risolvere.

L’autore, Antonio Garofalo è nato a Napoli e anche si vive a Roma da molti anni per ragioni di lavoro, non ha perso per niente la sua napoletanità. Ha svolto la professione di avvocato, conseguito un master in comunicazione pubblica presso ‘Università la Sapienza di Roma ed ha lavorato nella pubblica amministrazione. Coltiva da sempre una passione per la storia ,interessandosi specialmente di quella relativa al meridione e a quella del Regno delle due Sicilie in particolare
Nel 2021 ha pubblicato il saggio storico “Bugie intrighi e misteri “in cui indaga su alcuni gialli quali la morte improvvisa di Camillo Benso di Cavour, quella di Ippolito Nievo un garibaldino morto in un naufragio della sua Nave e di altri, tentando di fare luce su questi fatti, rimuovendo la polvere accumulata su questi cold case.

L’occasione di questa presentazione era troppo ghiotta per lasciarsela perdere. Già l’incipit traccia il perimetro dell’azione, il pomerio come avrebbero detto gli antichi romani e ti fa pregustare lo scenario entro i quali si muoveranno i protagonisti di questo fantastico romanzo.

Alla fine è valsa la pena essersi bagnati come un uccellino.

Il referendum della Russia ed il plebiscito del Regno delle Due Sicilie: Un parallelo storico

il 21 ottobre 1860 mentre a Gaeta ancora si combatteva e le sorti del Regno dei Borboni non ancora decise, il Piemonte indisse in Plebiscito di annessione dove votò il 2% circa della popolazione.

La Storia seppure in maniera diversa, ci presenta a volte degli avvenimenti che pur possedendo enormi analogie, causano reazioni differenti.

Piazza Plebiscito a Napoli

Ciò è dovuto essenzialmente ai contesti in cui si svolgono e che variano continuamente per il mutare delle situazioni geopolitiche.

Ora la Storia offre un altro esempio oltremodo calzante: l’invasione della Russia in Ucraina, rivendicando suoi presunti diritti e l’invasione del regno Sabaudo al Regno delle Due Sicilie, variamente giustificato in questo caso dagli “aedi” risorgimentali. E’ stato il primo esempio di “esportazione” della democrazia con le armi in un paese “autocratico ed incivile che opprimeva i suoi sudditi” che poi sarebbero i Borbone.

Quello che sta succedendo in Ucraina, trattandosi di avvenimenti contemporanei, lo conosciamo bene ed è lampante la violazione dei diritti di uno Stato Sovrano. Oltre ad essere vicini agli assaliti ed esserne coinvolti emotivamente, siamo anche sconvolti per gli effetti collaterali dovuti all’aumento iperbolico del gas ed elettricità che poi si riverberano su tutti gli altri prezzi del nostro vivere quotidiano.

Le cancellerie hanno reagito compatte a quest’invasione, come compatte stanno reagendo di fronte al referendum farsa di fine settembre 2022, convocato per legittimare una brutale annessione. Infatti USA & UE hanno preparato una nuova tranche di sanzioni, la 8^, a uomini e cose della Federazione Russa.

Anche in Italia, 162 anni fa, il 21 ottobre 1860, si è perpetrato qualcosa di simile: L’effettuazione del plebiscito di annessione del Regno delle Due Sicilie alla monarchia sabauda.

 Uno Stato, facendosi scudo dietro ideologie di una élite culturale, prevalentemente formata da appartenenti della media ed alta borghesia, decise di “liberare dall’oppressione” un popolo tiranneggiato dal “malgoverno” di un altro Stato che era nientepopolimeno la “negazione di Dio elevata a governo”, come ebbe a dichiarare un politico inglese, come se in quel periodo negli slums di Londra si vivesse meglio che a Napoli, invadendolo.

L’affermazione di lord Gladstone, applaudita da tutti i “benpensanti” a scatola chiusa, veniva dal rappresentante di un paese che si era arricchito con la tratta degli schiavi abolita ufficialmente solo nel 1807, la pirateria sui mari e la Compagnia delle Indie e dal 1800, con l’avvento della rivoluzione industriale, con lo sfruttamento di operai uomini, donne e bambini nelle fabbriche.

Scopo di allora di Albione all’inizio era limitato unicamente ad assecondare la voglia di autonomia della Sicilia che le avrebbe assicurata il monopolio sullo zolfo e il controllo del Canale di Suez i cui lavori erano cominciati nel 1859, alla vigilia della operazione para militare dei “wagner” di allora, conosciuta come l’impresa dei mille.

Il Regno di Sardegna,  per portare a termine l’invasione del Sud, attraversò illegalmente i territori dello Stato della Chiesa, come fece Hitler quando per invadere la Francia, attraversò il territorio del neutrale Belgio.

In verde l’itinerario dell’esercito sabaudo

Napoli, un paese che credeva di essere al sicuro, situato com’era fra l’acqua santa ( lo Stato della Chiesa) e l’acqua salata (il Mar Mediterraneo), fu invasa da una potenza straniera  senza nessuna dichiarazione di ostilità.

Nessuno Stato pensò di applicare sanzioni contro il Piemonte che ricevette invece solo applausi, ed i massacri che compì dopo l’annessione contro i cittadini contrari 60.000 persone, comprese donne, vecchi e bambini, fu da tutti benvista se non addirittura incoraggiata.

Qualche anima buona poteva pensare che il regno sabaudo intervenisse in questo modo per dare man forte ai borbonici che erano stati invasi da un gruppo di “patrioti” desiderosi di portare progresso e libertà al sud, cosa che stanno ancora aspettando, ma non fu così.

E mentre il Regno delle Due Sicilie era nella piena pienezza dei suoi poteri in forza del diritto internazionale e a Gaeta ancora si combatteva, il 21 ottobre del 1860 Vittorio Emanuele II organizzò un plebiscito di annessione del Regno di Napoli. Vincendolo perchè in pratica utilizzò gli stessi sistemi intimidatori usati in Ucraina.

Con la differenza che allora i governi non si sdegnarono, né fecero alcunchè, ma si affrettarono a riconoscere immediatamente l’annessione.

Il 3 ottobre 1860, Vittorio Emanuele II, con una tempistica eccezionale perché avveniva immediatamente il giorno dopo l’epica battaglia del Volturno ( 2 ottobre 1860), entrò ad Ancona per mettersi alla testa delle sue truppe, circa 39.000 uomini, per poter prendere militarmente possesso del Regno delle Due Sicilie e mettere da parte Garibaldi. In quell’occasione ebbe a proclamare solennemente:

Le mie truppe s’avanzano fra voi per affermare l’ordine: io non vengo ad imporre la mia volontà, ma a rispettare la vostra…”  e avendo deciso l’annessione a prescindere se i napoletani la volessero o no, si dette subito da fare per legalizzare in qualche modo l’illegittima ed illegale invasione di un regno con il quale il Piemonte non aveva mai avuto ufficialmente dissidi né aveva mai dichiarata nessuna ostilità.

Anche questa volta lo strumento utilizzato fu l’indizione dell’ennesimo plebiscito.

La novità, che rendeva ancora di più illegittimo l’utilizzo delle strumento plebiscitario, è che il Regno delle Due Sicilie era quello di un regno legittimo, riconosciuto da tutte le diplomazie mondiali, non c’era stata rivolta di popolo contro il re e quest’ultimo non si era né dimesso né era fuggito col suo patrimonio all’estero ( infatti lo aveva lasciato nel caveau del Banco di Napoli che lo crediate o meno).

Infatti il plebiscito fu indetto mentre si combatteva ancora e inoltre l’esercito napoletano si preparava a vivere alcune delle sue pagine più gloriose nell’Assedio di Gaeta.  Assedio che durò tre mesi mentre i piemontesi pensavano di sgominare i resti dell’esercito duosiciliano alla vigilia del plebiscito del 21 ottobre 1860.

Il Plebiscito era un istituto del Diritto Romano inteso ad interrogare il popolo per conoscerne la volontà su determinate questioni di interesse generale. Infatti la parola deriva dal latino plebiscitum (plebis scitum) cioè “quello che ha stabilito il popolo”. Esso fu riesumato in Francia da Napoleone III nel 1851 per far convalidare il suo colpo di stato.

Poi il Piemonte se ne servì abbondantemente.

Stupisce la velocità dei tempi e delle procedure previste, se si tiene conto che fu indetto in un momento non solo storicamente in preda alle convulsioni della guerra, ma in un paese con poche strade, pochi telegrafi e scarsa rete ferroviaria. Per tempi così ravvicinati, sarebbe occorso un odierno sistema informatico di quelli utilizzati dai moderni ministeri degli interni. In 2/3 giorni si organizzò tutto.

Il Regno delle Due Sicilie contava circa 10 milioni di abitanti, votarono appena un milione e mezzo circa, ma valse a decretare la sua fine.

Questi i risultati:

Napoli: 1.302.064 si, 10.302 no;

Sicilia: 432.053 si, 667 no!

Da allora il Sud aspetta di tornare ai livelli di vita pre union e la Sicilia che aveva lottato e si era illusa  per l’autonomia, si trovò ad essere ancora più periferica, ora che il nuovo stato comprendeva moltissimi altri territori.

Chi vuole istituire una giornata per la proclamazione del regno dei Savoia, si ricordasse anche del plebiscito

Per la Sanità, la Casa della Comunità è assente dalla campagna elettorale

Dopo la pandemia c’è l’urgenza di ricostruire la sanità sul territorio. Con i fondi del PNRR si vuole aprire gli ambulatori 24 ore e fare assistenza domiciliare

Facciata dell'Ospedale Ascalesi di Napoli.
L’ospedale Ascalesi di Napoli è uno dei più antichi . Prima ospitava un convento

La Casa della Comunità è una nuova opportunità per il welfare sanitario del Sud. Le regioni del Sud sapranno vincere la sfida? O accamperanno le solite lacrimose giustificazioni

Le Regioni italiane non sono omogenee. Sono diverse per storia, lingua , tradizioni e comportamenti sociali ma i 160 anni di storia comune e mass media le hanno grosso modo abbastanza omogeneizzate.

Le Regioni non funzionano allo stesso modo

Nel 1861, con la scomparsa di un regno millenario che datava dai normanni per finire ai Borbone, avrebbe cambiato ( in peggio) il DNA comportamentale per cui non possiamo vantare un comportamento uguali da nord a sud ed isole. Che le regioni marciano a diverse velocità è un fatto acquisito. Poi ci sono fiumi di spiegazione, convegni, seminari, simposi, che cercano di spiegare la cosa, rivendicare maggiori soldi da parte di chi si ritiene più produttivo, oppure che si possono mettere in atto processi virtuosi per diminuire le differenze, ma intanto così è. Prendiamo la Calabria ad esempio, si dice che abbia un sistema sanitario disastroso., al punto tale che per mettervi una “pezza” il presidente di quella Regione ha firmato un accordo con Cuba per l’invio in Calabria di 497 medici cubani. Arriveranno «temporaneamente».

Una notizia incredibile che non ha suscitato nessuna particolare reazione né dai cittadini, né dai politici impegnati in una campagna elettorale piene di promesse di ogni tipo.

Il turismo sanitario
In campo sanitario per esempio solo per effetto del Covid è terminato ( al momento) il turismo sanitario dei meridionali verso strutture ospedaliere settentrionali. Per il semplice fatto che nel triennio 2020/22 tutta la sanità italiana è andata in black out concentrata necessariamente sulla lotta di un solo nemico comune, il Covid che comunque dopo tre anni, sta sempre là anche se noi facciamo finta di niente. Scrive Rebecca Pecori su un rivista nata da poco, Domino «ogni anno due miliardi di euro vengono trasferiti dalle regioni del Centro-Sud a quelle del Nord per fornire ai meridionali le cure che non trovano nei loro ospedali. Se si calcolano anche le spese dei parenti che li seguono si arriva a 4,6 miliardi. La sanità campana versa ogni anno nelle casse della Lombardia 320 milioni di euro».
La pandemia ha avuto un merito, quello di smascherare la presunta super efficienza del sistema sanitario lombardo e mettere a nudo le gravissime carenze sanitarie a livello capillare sul territorio.
Così si è cercato di rimediare e sulla Gazzetta Ufficiale n. 144 del 22 giugno 2022 è stato pubblicato un decreto ministeriale (DM 77/2022 del Ministero della Salute) che contiene il Regolamento sulla definizione di modelli standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale socio-sanitaria.

Basterebbe che i politici impegnati conquistare un posto in Parlamento in nostra rappresentanza, per la prossima legislatura, si impegnassero a realizzare la metà di quanto prevede il decreto.

Potenziare la sanità sul territorio

Il nuovo provvedimento dovrebbe alleggerire la pressione sui Pronto soccorsi dirottando le non urgenze sulle Case della Comunità


E’ un regolamento attuativo che vuole alleggerire la pressione sugli ospedali, sui Pronto Soccorsi e ovviare alla carenza dei medici di base, i cosiddetti medici di famiglia. Insomma si vuole una Sanità a portata di mano , in gergo, “prossimità territoriale”, cioè immediatamente raggiungibile.
Il progetto è ambizioso perché punta a fornire assistenza 24 ore senza spostarsi troppo dalla propria abitazione. Le Regioni hanno tempo fino al 31 gennaio del 2023 per mettersi in regola e a quella data vedremo qual è, a livello nazionale, lo stato dell’arte e quali le Regioni, ed in che percentuali, hanno provveduto alla loro realizzazione. Così si potrà capire subito quali sono le Regioni che fanno solo chiacchiere e quali operano nel concreto. Senza dimenticare però che non si parte sullo stesso nastro di partenza. Il regolamento non tiene conto di questi differenti punti di partenza che conteranno molto sul risultato finale.
Svimez nella presentazione Anticipazioni Rapporto 2022 ha già messo le mani in avanti. Quindi siamo sempre al lacrimatorio pregistificativo.

Anche il” Forum delle società scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani» spara ad alzo zero contro questa riforma come si evince da il Corriere del 10/9/22 che oltre a denunciare l’assenza della Sanità dalla campagna elettorale, se la prende proprio su questo provvedimento affermando che “la risposta delle istituzioni è stata del tutto insufficiente, con una confusa riforma del territorio inadeguata a risolvere i problemi dell’ospedale e tra l’altro di difficilissima attuazione.”

La Casa della Comunità

Un’importanza fondamentale viene attribuita all’Assistenza Primaria.
Tutto ruoterà attorno allo sviluppo di nuove strutture territoriali, come le Case della Comunità, con il potenziamento delle cure domiciliari utilizzando modelli di servizi digitalizzati, necessari per l’assistenza a domicilio, utilizzando strumenti di telemedicina e tele monitoraggio.
Le Case di Comunità riprendono in sostanza un tentativo fatto nel 2007 dall’allora ministra della Sanità Livia Turco con le “Case della Salute” tentativo miseramente fallito anche per carenza di soldi.
Oggi però i soldi ci sono. La missione 6 del PRNN ha stanziato 8043 miliardi per la medicina territoriale, ma la difficoltà italiana molte volte non dipende dall’assenza delle risorse economiche, ma da come spenderle velocemente e correttamente, annullando la burocrazia ed infiltrazioni varie. Missioni impossibili!

Il ruolo delle Farmacie
Il decreto prevede inoltre la valorizzazione della partecipazione dei diversi attori locali (Aziende Sanitarie Locali, Comuni e loro Unioni, professionisti, pazienti e loro caregiver, associazioni/organizzazioni del Terzo Settore, ecc..).
In particolare esse assicurano quotidianamente prestazioni sanitarie come le vaccinazioni e la somministrazione di test diagnostici.
Se funzionerà la Casa della Comunità diventa lo snodo della assistenza medica per il futuro, sperando che non diventi un ambua seguito dell’esperienza Covid.

Ma mica è finito qui. Queste Case comuni, dovrebbero anche predisporre i servizi di assistenza domiciliare poter fare una visita immediata per chi non trova il suo medico di base o ne è semplicemente sprovvisto perché i medici di base non si trovano più falcidiati dai pensionamenti e scarsamente sostituiti. La Casa svolgerà quindi anche il ruolo di una specie di guardia medica in tutti i quartieri.

L’intenzione è nobile ma i problemi sono tanti e si può già fare la facile previsione che per gennaio dell’anno prossimo ci saranno solo alcune sperimentazioni in atto. Vedremo allora la capacità organizzativa delle singole regioni e questo sarà la cartina di tornasole sull’efficienza di alcune aree geografiche rispetto alle altre.

Verificato da MonsterInsights