La UE ha pubblicato una guida facile dei diritti sociali

a Commissione europea sui diritti sociali al fine di far conoscere a tutti in maniera facile quali sono i diritti sociali di cui i cittadini comunitari ed extracomunitari hanno diritto. Molti di essi sono solo enunciazioni di principio perchè magari in alcune zone o in alcune parti dei paesi membri non vengono applicati a puntino, ma è importanti che tutti sappiano quali siano i propri diritti nel campo del welfare.
Il sito laprevidenzacomplementare.it si è presa la briga di tradurre la guida europea dei diritti sociali in italiano.
La Commissione Europea oltre alla pubblicazione della guida nella versione di “facile lettura” ha approntato anche un piano d’azione perchè questi diritti npn rimangano sulla carta.
I testi sono stati progettati in modo che le persone con disabilità intellettiva o scarsamente acculturati, possano imparare cose nuove, fare le proprie scelte, conoscere i propri diritti e difenderli. In altre parole, li autorizzano a prendere parte alla società.

Bisogna ricordare che i testi di “facile lettura” rispondono a criteri specifici relativi alla struttura, al linguaggio e alle illustrazioni.

Pertanto la guida è stata preparata in collaborazione con esperti d’intesa con i colleghi della Commissione europea responsabili per l’accessibilità, la disabilità e l’inclusione.

A che punto è il PNRR dalle parti ex borboniche, cioè meridionali

La lotta alla pandemia non è ancora terminata, ma per stanchezza, per l’affievolirsi del fenomeno emergenziale e per questioni economiche finanziarie è finita sottotraccia.

Ma fra i tanti disastri, aveva avuto il merito di far cambiare mentalità a quei paesi della UE detentori del rigore economico e consentire il varo di un nuovo piano Marshall per Europa. Quello si chiamava “European Recovery Program“, questa volta direttamente a carico della UE, il famoso Recovery and Resilience Facility, RRF.
Tutti felici e contenti a redigere l’ennesimo libro dei sogni. Già sarebbe bello, per le Regioni meridionali poter spendere i finanziamenti ordinari della Comunità europea, ma non si può avere tutti ed ecco un profluvio di relazioni, slide, diagramma di Gantt, convegni nelle varie città eccetera. Insomma tutta la manfrina che si fa di solito. Ultimo esempio fu il Piano per il Sud del governo Conte che doveva stanziare 30 miliardi nel 2021!

Poi è intervenuta la guerra in Ucraina che ha bloccato sul nascere la ripresa economica mondiale ed infine un’inflazione che in Italia si aggira sul 7% circa che ha già eroso le cifre stanziate.
Comunque, pur con queste difficoltà, l’ambizioso progetto va avanti e più si procede, più si rischia di perpetrare il divario economico/organizzativo fra il nord ed il sud del paese.

il PNRR


Com’è noto, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) si inserisce all’interno del programma Next Generation EU (NGEU), il pacchetto da 750 miliardi di euro, costituito per circa la metà da sovvenzioni, concordato dall’Unione Europea in risposta alla crisi pandemica. La principale componente del programma NGEU è il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (Recovery and Resilience Facility, RRF), che ha una durata di sei anni, dal 2021 al 2026, e una dimensione totale di 672,5 miliardi di euro.
il Piano di Ripresa e Resilienza presentato dall’Italia, prevede investimenti per 191,5 miliardi di euro . Sono stati stanziati, inoltre, entro il 2032, ulteriori 26 miliardi da destinare alla realizzazione di opere specifiche.

i target

Nel complesso si potrà quindi disporre di circa 248 miliardi di euro.
Il Piano si sviluppa intorno a tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale.
Il Piano destina 82 miliardi al Mezzogiorno su 206 miliardi ripartibili secondo il criterio del territorio (per una quota dunque del 40 per cento) e prevede inoltre un investimento significativo sui giovani e le donne.

Il Piano si sviluppa lungo sei missioni.
MISSIONE 1: DIGITALIZZAZIONE, INNOVAZIONE, COMPETITIVITÀ E CULTURA – Il 100% della popolazione connessa entro il 2026; Connessioni veloci per 8,5 milioni di famiglie e imprese; “Scuola connessa” per portare la fibra ottica in ulteriori 9.000 scuole; Connettività a 12.000 punti di erogazione del SSN; Approccio digitale per il rilancio di turismo e cultura.

MISSIONE 2: RIVOLUZIONE VERDE E TRANSIZIONE ECOLOGICA – Potenziamento riciclo rifiuti: + 55% elettrici, + 85% carta, + 65% plastiche, + 100% tessile; Riduzione delle perdite di acqua potabile sulle reti idriche; Sviluppo della ricerca e del sostegno dell’uso dell’idrogeno nell’industria e nei trasporti.

MISSIONE 3: INFRASTRUTTURE PER UNA MOBILITÀ SOSTENIBILE – Modernizzazione e potenziamento delle ferrovie regionali; Tempi ridotti sulle tratte ferroviarie: Roma-Pescara di 1h20 – Napoli-Bari di 1h30 – Palermo e Catania di 1h – Salerno-Reggio Calabria di 1h; Investimenti sui porti verdi.

MISSIONE 4: ISTRUZIONE E RICERCA – 228.000 nuovi posti in asili nido per bambini fra 0 e 6 anni; 100.000 classi trasformate in connected learning environments ( una specie di apprendimento a distanza ma più bello); Ristrutturazione di scuole per 2,4 milioni di metri quadrati; Cablaggio di 40.000 edifici scolastici; 6.000 nuovi dottorati a partire dal 2021.

MISSIONE 5: INCLUSIONE E COESIONE – Un programma nazionale per garantire occupabilità dei lavoratori (GOL); Un ‘Fondo Impresa Donna’ a sostegno dell’impresa femminile; Più sostegni alle persone vulnerabili, non autosufficienti e con disabilità; Investimenti infrastrutturali per le Zone Economiche Speciali.

MISSIONE 6: SALUTE – 1.288 nuove Case di comunità e 381 ospedali di comunità per l’assistenza di prossimità; Fornire assistenza domiciliare al 10% degli over 65; 602 nuove Centrali Operative Territoriali per l’assistenza remota; Oltre 3.133 nuove grandi attrezzature per diagnosi e cura.
Il Piano prevede inoltre un ambizioso programma di riforme, per facilitare la fase di attuazione e più in generale alla modernizzazione del Paese:

Riforma della Pubblica Amministrazione per dare servizi migliori, favorire il reclutamento di giovani.
Riforma della giustizia per ridurre la durata dei procedimenti giudiziari, soprattutto civili, e il forte peso degli arretrati.
Interventi di semplificazione burocratica in materia di concessione di permessi e autorizzazioni e appalti pubblici, per garantire la realizzazione e il massimo impatto degli investimenti.
Riforme per promuovere la concorrenza come strumento di coesione sociale e crescita economica.
Il Piano prevede una responsabilità diretta dei Ministeri e delle Amministrazioni locali per la realizzazione degli investimenti e delle riforme di cui sono i soggetti attuatori entro i tempi concordati, e per la gestione regolare, corretta ed efficace delle risorse. È significativo il ruolo che avranno gli Enti territoriali, a cui competono investimenti pari a oltre 87 miliardi di euro.
Italia Domani, il portale dedicato al PNRR è il sito ufficiale per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
In questo quadro generale poi ogni “landa”, “contea” o agglomerato urbano organizzato fa le sue proposte.
Napoli , che già sembra che sia in ritardo per le zone economiche speciali, per non sfigurare ha approntato le sue slide per il PNRR nel quale i punti salienti sono condivisibili e spera nella realizzazione di un quarto del previsto.
Ma come al solito dalla fase delle slide alla fase di posa della prima pietra i tempi non sono mai quelli programmati.


Milena Gabanelli sulla sua rubrica del Corriere della Sera non ha mancato di notare che già siamo in fase di ritardo.
“Il ritardo che oggi abbiamo accumulato sull’avanzamento della spesa rischia concretamente di aumentare per l’incapacità di molti Comuni. Il problema è che il 69% dei comuni ha meno di 1000 abitanti e non ha le strutture tecniche per portare avanti le opere: dalla progettazione, ai bandi, alla realizzazione. Ai Comuni andranno 48,5 miliardi di tutto il piano e altri 14,5 alle Regioni. Ma mentre le Regioni hanno uffici e competenze più strutturate, molti Comuni hanno già chiesto di essere sostenuti nell’ attuazione delle iniziative del Pnrr. Solo a fine febbraio il Mef ha istituito un tavolo di monitoraggio per «verificare che la pioggia di fondi sia ben utilizzata», mentre la Funzione pubblica ha lanciato una piattaforma con Cdp, Invitalia e Mediocredito Centrale per dare supporto tecnico agli enti locali. Sta di fatto che l’Ance ha analizzato 596 progetti presentati da 177 amministrazioni locali, per un totale di 1,2 miliardi di euro. Ebbene l’80% non ha un progetto esecutivo che consente di aprire il cantiere, il 66% ha solo un progetto di fattibilità tecnica ed economica, il 72% dei progetti non è stato aggiornato rispetto agli incrementi di prezzi dei principali materiali da costruzione (qui l’ultimo aggiornamento dell’indagine). Solo due esempi: un Comune in provincia di Bergamo ha chiesto 3 milioni di euro per una riqualificazione dell’edilizia residenziale, ma ha solo un progetto di fattibilità, e uno in provincia di Benevento ne ha chiesti 800 mila per costruire una scuola, ma non ha nemmeno il progetto. L’Ance conclude che i ritardi sull’attuazione del Pnrr saranno inevitabili.”

Le zone economiche speciali per il sud varate anch’esse con gran rullio di grancasse, non si sa ad oggi a che punto siano e così il resto.

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La Festa di Pasqua fra religione e tradizione napoletana

Cristo risorge per portare pace: sullo sfondo un cielo con nuvole violacee su un paesaggio desertificato per i cambiamenti climatici con carri armati e virus del corona virus: Ai piedi del Cristo la scritta: Et libera nos a malo
Cristo risorto per liberarci dai mali

Autoplay dell’articolo

Quest’anno la Pasqua si presenta su uno scenario poco esaltante Tuttavia poiché la Pasqua è resurrezione, tutti auspicano e noi per primi ne siamo certi, che la situazione muti velocemente e in positivo.
Lo scenario che deprechiamo, è inutile dirlo, è occupato da tre concomitanti fenomeni, tutti e tre determinati dal genere umano, homo sapiens, quello altamente civilizzato.

Essi sono, nell’ordine:

  • La guerra Russia-Ucraina,
  • la pandemia da corona virus
  • il cambiamento climatico.
    Perciò mai come quest’anno la Pasqua è invocata per liberarci principalmente da questi mali.
    La Pasqua cristiana, sia quella cattolica, greca ortodossa o protestante, come altre festività liturgiche, in genere si sono innestate, trasformandole, su precedenti ritualità pagane. Queste a loro volta erano fondate sul ciclo della vita, l’avvicendarsi delle stagioni, e i movimenti degli astri che per gli antichi governavano tutte le vicende umane.
    Mentre Natale è la festa della nascita, la Pasqua cristiana è quella della Resurrezione, diversa da quella giudaica che è invece una festa di liberazione.
    Il mito della resurrezione affonda nella storia dell’uomo. Nelle Metamorfosi Ovidio scrive che i tempi mutano, “et nova sunt semper”, mentre San Paolo esorta a trasformare, rigenerare tutta la propria vita etica e spirituale: “siate trasformati mediante il rinnovamento del vostro spirito”.

La festività pasquale, risente chiaramente degli influssi pagani: cade, infatti, tra il 25 marzo e il 25 aprile, ovvero nella prima domenica successiva al plenilunio che segue l’equinozio di primavera, cioè proprio quando si compie il passaggio dalla stagione invernale a quella primaverile.
Nell’emisfero boreale, l’equinozio di primavera è il momento che a livello astronomico segna la fine dell’inverno e l’inizio della stagione primaverile. In questa giornata, il giorno e la notte hanno la stessa durata ed ha sempre avuto un ruolo importante nelle antiche civiltà, dalla Mesopotamia all’Egitto, dalla Grecia a Roma.
Nell’antica Grecia l’equinozio di primavera coincideva con le celebrazioni della fertilità attraverso il mito di Persefone, la dea fanciulla che fu rapita da Plutone, il dio dell’Ade e che in primavera lasciava gli inferi per tornare dalla madre Demetra, la dea-terra. Questo mito rappresenta il ritorno della vita dopo la morte dell’inverno.
La religione cristiana conserva questo legame con l’equinozio di primavera come momento della resurrezione del Cristo e il ritorno della vita.
La resurrezione di Gesù la troviamo raccontata in tutti e quattro i Vangeli canonici, quelli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, che pur con delle differenze fra i diversi testi, il corpo centrale del “resoconto”, chiamiamolo così, è identico.

Così nei Vangeli
Famiglia Cristiana, il noto settimanale religioso ci illustra più in dettaglio cosa dicono i Vangeli.
Dopo la morte in Croce, la sepoltura di Gesù fu provvisoria, perchè era prossimo il Sabato in cui era proibita qualsiasi attività. Gesù, avvolto in un sudario fu deposto nel sepolcro appartenente a Giuseppe d’Arimatea. Le operazioni di cospargere il corpo con unguenti conservativi, furono rimandate a dopo il Sabato .
Intanto i sacerdoti ed i Farisei si recarono da Pilato dicendogli «che quell’impostore quando era ancora in vita, disse: Dopo tre giorni risorgerò. Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risorto dai morti. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!». E Pilato, sigillò il sepolcro e mise alcune guardie.

L'Angelo seduto su un sarcofago vuoto annuncia alle donne che Gesù è risorto
L’Angelo annuncia la resurrezione di Gesù _ Beato Angelico 1440/42


Trascorso il Sabato, Maria di Magdala ( Maria Maddalena), Maria di Cleofa e Salomé, completarono la preparazione dei profumi e si recarono al sepolcro. Quando arrivarono, secondo i Vangeli, vi fu un terremoto, un Angelo sfolgorante scese dal cielo, si accostò al sepolcro fece rotolare la pietra e si pose a sedere su di essa; le guardie spaventate, svennero. L’Angelo si rivolse alle donne dicendo loro: «Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete». Allora secondo il Vangelo di Matteo, le donne si allontanarono per dare l’annunzio ai discepoli.
Va ricordato che la Risurrezione di Gesù viene annunciata da donne, che nell’antico Diritto ebraico, non potevano testimoniare. Pertanto si affrettarono a raggiungere gli Apostoli e riferirono l’accaduto Allora essi si mossero verso il sepolcro, Pietro e Giovanni corsero avanti. Giovanni arrivò per primo e si fermò sulla soglia avendo visto il lenzuolo (Sindone) a terra, Pietro sopraggiunto entrò constatando anche lui che il lenzuolo era per terra e il corpo non c’era, poi entrò anche Giovanni e capirono che Gesù era risorto.


sepolcro tipico allestito durante il giovedì Santo con germi di grano fatti crescere al buio per avere le foglie gialle e non verdi
Il sepolcro del Giovedì Santo

I Sepolcri
Dopo il Natale, Pasqua è la più importante feste religiosa cristiana, celebrata spesso con delle rappresentazioni e con canti liturgici.
Il giovedì Santo c’è la tradizione di visitare i “sepolcri” in almeno 7 Chiese, il cd “giro delle sette Chiese”.
La pratica di allestire “gli altari della reposizione“, cioè i Sepolcri si afferma in epoca carolingia ed esprime l’idea del lutto.
Tra gli addobbi tipici dei sepolcri, i fiori bianchi, il vino fatto bollire con l’incenso e i semi di grano germogliati al buio che simboleggiano il passaggio dalla morte di Gesù alla sua Resurrezione. Nell’altare vengono collocati il tavolo, simbolo del sacrificio, il pane, i 12 piatti degli Apostoli e il tabernacolo con la porticina aperta dove è collocata l’Eucarestia… tutti doni e simboli umili, rappresentativi della comunità.
La visita ai sepolcri è detta anche “struscio”. “Ha un’origine tutta musicale, perché viene dal fruscìo che fanno i piedi mollemente smossi e le gonne seriche delle donne” (Matilde Serao).

Ecco una bella poesia di Viviani, “lo Struscio

Giovedì Santo ‘o «struscio» è nu via vaie:
Tuledo è chiena ‘e gente ‘ntulettata,
ca a pede s’ha da fa’ sta cammenata,
pe’ mantene’ n’usanza antica assaie.
– Mammà, ci andiamo? – Jammo. Ma che faie?
– Vediamo due sepolcri e ‘a passeggiata.
E ‘a signurina afflitta e ‘ncepriata
cerca ‘o marito ca nun trova maie.
‘A mamma ‘areto, stanca, pecché ha visto
ca st’atu «struscio» pure se n’è ghiuto,
senza truva’ chill’atu Ggiesucristo,
s’accosta a’ figlia: – Titine’, a mammà,
ccà cunzumammo ‘e scarpe. – L’ho veduto.
E me l’hai detto pure un anno fa.

Raffaele Viviani

La Via Crucis

Le 14 stazioni che illustrano la passione di Cristo, dalla condanna, alla crocifissione e alla deposizione
Le stazioni della Via Crucis

Il venerdì è dedicato alla via Crucis
La Via Crucis è una processione che ripercorre i momenti delle ultime ore di vita di Gesù, dalla sua condanna fino alla morte, composta da quattordici stazioni che descrivono gli episodi salienti della condanna, il supplizio e infine l’uccisione.

Tali stazioni – spesso raffigurate anche con dipinti o affreschi all’interno delle Chiese – vengono chiamate così perché consistono in un punto di sosta in cui i fedeli si fermano e, guidati dal sacerdote, intonano salmi e preghiere.
Questo percorso spirituale inizialmente si affermò in Terrasanta, dove i pellegrini si recavano materialmente nei luoghi che erano stati il teatro della Passione di Gesù. Poiché questo pellegrinaggio era un’impresa molto difficile, alcuni ordini di monaci cominciarono a replicare le scene della Via Crucis nelle chiese e poi nei borghi e poi la Via Crucis si diffuse in tutto il mondo cristiano.

il sabato è dedicato alla veglia ed al raccoglimento, aspettando la resurrezione che avviene fra il suono di campane a festa allo scoccare della mezzanotte.

La Pasqua

La domenica in ogni famiglia si celebra la Pasqua anche se il detto “ Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi “ è solo un solido alibi per chi vuole trascorrere la festa fuori dall’ambito familiare, magari in qualche località turistica, le quali proprio in questo periodo cercano di riprendersi dalla crisi inferta dall’epidemia.
Il lunedì in Albis si celebra la pasquetta con la classica gita fuori porta.

Il cibo
Ogni paese, regione, città e quartiere ha il suo menù pasquale, ma due elementi sono costanti: le uova e l’agnello.
A Napoli Giovedì si mangia a base di pesce, il piatto centrale la zuppa di cozze o la mpepata di cozze ( sono due piatti differenti)
Venerdì digiuno
Sabato leggero
Domenica pranzo pasquale
Lunedì pic nic.
Nel napoletano c’è, o almeno c’era, l’usanza che prima dell’inizio del pranzo pasquale, un genitore o la persona più anziana presente, benedicesse con l’acqua santa presa in Chiesa ed il ramo d’ulivo preso la precedente domenica delle Palme, tutti i commensali. Poi tutti a mangiare più o meno voluttuosamente

Equinozio di primavera: giorno e notte uguali sono

Il menù di Pasqua a Napoli
Il menù tipico napoletano comporta come primo la pasta con il ragù e polpette e “tracchiolelle” ( costine di maiale), oppure le lasagne, segue l’agnello o capretto, (anticamente solo al forno, oggi anche sulla brace) con patate e piselli freschi, i carciofi e poi il mitico casatiello accompagnato da affettati vari, fra cui primeggia la sopressata, il tipico salame napoletano.
Segue la frutta in primis la fava fresca, e per finire il dolce, perché ovviamente “dulcis in fundo”, il dolce si mangia alla fine.
Il dolce tipico napoletano per questa occasione è la pastiera di grano fatta in casa, accompagnata qualche volta dalla pastiera con gli spaghetti, il babà grondante rum e proprio per non farsi mancare niente, la Colomba nelle diverse versioni oggi esistenti. Caffè e liquori e si arriva alla distribuzione delle uova di cioccolata.

Le uova pasquali e la simbologia

uova sode tradizionali dipinte
uova dipinte a mano

Le uova regalate, sono generalmente rotte subito ma non per mangiarle, al massimo si assaggia quale pezzettino, per vederne il regalo che contengono. In genere si tratta di una super stupidità, un portachiavi, un ciondolo, un pupazzetto di plastica, eccetera. Ma a volte i regali, fatti mettere appositamente dentro, possono essere di valore ed anche anelli di fidanzamento, il cui tutto viene accuratamente preparato, ma si finge la più assoluta sorpresa.
L’uovo è il simbolo della Pasqua anche se ora primeggiano le uova di cioccolato, ma fino agli anni 50 si scambiavano uova sode colorate e decorate perché rappresentano la la vita che nasce. Anticamente prima della istituzione della festa pasquale, le uova decorate erano scambiate in occasione delle feste primaverili, quale simbolo della fertilità e dell’eterno ritorno della vita. Gli antichi romani mettevano un uovo dipinto di rosso nei loro campi, per avere un raccolto abbondante.

Agnello Pasquale

L’Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo


Altro simbolo è l’agnello pasquale, legato alla figura del Cristo “agnello di Dio” nel suo ruolo di vittima sacrificale per la redenzione dei peccati dell’umanità.
Come piatto centrale del pranzo pasquale, oggi, ogni anno, scatena puntualmente delle battaglie intorno alla sua macellazione che tuttavia non attengono alla religione, ma ad altre motivazioni.
Sempre nel napoletano e nel meridione in genere all’agnello molti mangiano il capretto che oggi è anche difficile trovare e bisogna ordinarlo appositamente nelle poche macellerie che ancora lo vendono, ma è indubbio che l’agnello è il piatto di Pasqua.


il sacrificio dell’agnello di Pasqua cristiano è una derivazione dal sacrificio dell’agnello giudaico. Quest’ultimo veniva compiuto in ricordo della fuga dall’Egitto, ma si è deprivato di questo significato per assumere quello cristiano. Come viene raccontato nel Libro dell’Esodo, Dio annuncia che libererà gli ebrei ridotti in schiavitù in Egitto, e, dato il rifiuto degli egizi, Dio li punirà colpendo ogni primogenito nel paese d’Egitto, uomo o animale. Per evitare di colpire anche gli ebrei, tramite Mosè, Dio ordina al popolo di Israele di marcare gli stipiti delle loro porte con del sangue di agnello cosicché:” (…) “quand’io vedrò il sangue, passerò oltre, e non vi sarà piaga su di voi per distruggervi, quando colpirò il paese d’Egitto”.
In ricordo di ciò durante la Pasqua ebraica si sacrificavano gli agnelli. Dal sacrificio al cibo.
In effetti, anticamente quando si facevano dei sacrifici agli dei, gli animali erano immolati con dei rituali prestabiliti, poi si bruciavano le visceri e alcuni pezzi di carne e probabilmente il resto dell’animale veniva distribuito ai fedeli che se ne cibavano.

La pasquetta – lunedì in Albis
Il lunedì è il giorno dell’Angelo in ricordo dell’Angelo che avvisò le donne della resurrezione del Signore.
Il festeggiamento classico prevede la scampagnata fuori porta. Quando non c’erano le previsioni metereologiche si andava a naso, li leggevano quelle sui giornali, si guardava il cielo e se il tempo era minimamente accettabile, si partiva per andare in campagna.
Ed anche in questo giorno un trionfo del cibo trasportabile, take away di allora: lasagne, timballi di maccheroni, carne e carciofi sulla brace e casatiello, uova sode, “sopressata“. Naturalmente gli astemi erano pochi e allora vino in quantità.

La povertà di Napoli è senza rimedio?

la riedizione del libro “La fontana rotta” fa riscoprire la Napoli dei poveri

In occasione della recente ripubblicazione, alla fine del 2021, della sua ricerca sulla “cultura della povertà“, raccolta in un bellissimo libro “La Fontana Rotta“, riedito dalla Einaudi con una nuova traduzione, esce da un immeritato oblio la figura dell’antropologo Thomas Belmonte, italo americano, ma napoletano di adozione. Si innamorò talmente la sua nuova “casa”, che quando morì, giovanissimo di Aids a solo 49 anni, volle che le sue ceneri fossero sparse nel Golfo di Napoli.
Thomas Belmonte (1946-1995) venne due volte a Napoli, nel 1974 e nel 1983. La seconda volta la trova tragicamente cambiata, la miseria è rimasta la stessa, solo che ora Scampia è a pieno regime e al posto della speranza c’è una diffusa disperazione.
Di origini italiane – i nonni erano di Giovinazzo un comune in provincia di Bari, il giovane antropologo americano quando arriva a Napoli la prima volta nel ’74, si stabilisce quasi subito in un appartamento in affitto a palazzo Amendola, un vecchio edificio risalente al millecinquecento, ancora in piedi, situato nei pressi il vicolo di Sedile di Porto, in pieno centro storico. Lì c’è un’antica fontana irrimediabilmente fuori uso, conosciuta come la Fontana del Re, una fontana rotta insomma, da cui il titolo del libro, simbolo della decadenza disfunzionale di Napoli.
I sindaci progressisti da Valenzi a Bassolino passando per la Jervolino ,
poco hanno potuto fare per cambiare senso di marcia, così il loro tentativo di rivoluzione si scioglie in effimero maquillage. Gli ostacoli che hanno trovato sul loro cammino sono macigni di tutti i tipi e provenienze, ancora esistenti, che hanno ostruito ogni rinascita, amministrativa ed etica.

Le vicende degli abitanti di del quartiere della fontana del Re, assolutamente reali, costituiscono il fulcro della ricerca del suo dottorato. Belmonte rimane a Napoli per un anno, tornando a più riprese negli anni successivi. Il suo libro esce negli Stati Uniti nel ’79. Dieci anni dopo sarà riedito con un’appendice che comprende il resoconto del suo viaggio di ritorno nell’83.

La Fontana Rotta verrà tradotto in italiano solo nel ’97, diciotto anni dopo la prima edizione statunitense, due anni dopo la morte dell’autore.
Il libro ebbe un inaspettato successo negli Usa tale da essere recensito ben due volte dal New York Times e solo molto più tardi arrivò a Napoli. Belmondo diventato docente alla Hofstra University di New York, venne perfino candidato per il premio Pulitzer.
Come detto, nel 1983 ritornò nella città partenopea. Lo scopo del suo ritorno fu quello di continuare la ricerca per conto della fondazione National Endowment for the Humanities. Quando torna a Napoli nell’83, sia l’autore che la città sono molto cambiati. Lo scenario che ritrova, segnato dalle conseguenze del terremoto, è ancora più degradato rispetto al periodo della sua prima ricerca, anche se, in un’intervista al Mattino del novembre ’83, Belmonte comunque elogia la capacità dei napoletani di superare le difficoltà, “di difendere la loro umanità, il che testimonia la vitalità di una cultura, che non è semplicemente di povertà, ma al contrario di grande ricchezza umana”. Ma sono lontani i tempi in cui si sarebbe potuto incontrare un povero, doppiamente sfortunato perché inabile, essendo storpio, ma animato da una forza e serenità interiore che gli scenari del 1983 non consentivano più. Qui si aggiunge una nota di colore, a corredo dell’intervista viene pubblicata una foto dello scrittore. Quando gli abitanti di Via del Sedile del Porto vedono la foto, riconoscendolo, esclamano in automatico: “Hanno arrestato Tommaso!

Lo Storpio – José de Ribera 1642

Lo Storpio
Come dimenticare il celebre dipinto di Jose de Ribera, il pittore caravaggesco del 1600, chiamato lo “Storpio”. Rappresenta un giovanissimo mendicante, storpio alla mano e al piede; che reggendosi con una stampella chiede l’elemosina. Questo quadro è insieme simbolo della più estrema indigenza unita (forse) ad una estrema serenità d’animo. Anche i colori sono luminosi su uno sfondo di cielo sereno. Anche nell’ultimo gradino della scala sociale e della sfortuna fisica, pare dire l’autore, può annidarsi un soffio di speranza.

La ricerca sociologica

Nel 1974 – scrive – come studente laureato alla Columbia mi era stato insegnato di fare domande su altri, ma mai a chiedermi se avessi una ragione plausibile o il diritto di porre innanzitutto le domande e in secondo luogo di pubblicare le risposte. […] Quando ritornai a Napoli non ero più lo studente idealista di dieci anni prima, sicuro che i miei amici avrebbero apprezzato la mia ricerca per i suoi argomenti e per gli stessi motivi per cui l’avevano apprezzata i miei colleghi e i lettori. In realtà sapevo che scrivendo La fontana rotta avevo commesso un tradimento, ma speravo di farla di nuovo franca”.

Il mondo che descrive Belmonte dal suo osservatorio non è quello degli emarginati che cercano un riscatto sociale ed uscire dall’habitat di desolazione che ha plasmato ogni circuito comportamentale in sostanza estraneo al cambiamento , alle lotte per il lavoro, per la casa, per i servizi sociali, che si fanno avanti in altri quartieri fin negli anni Settanta. I poveri che descrive Belmonte nascono poveri e non sperano di sollevarsi da tale condizione. La precarietà economica ne determina ogni passo. Dominati dal potere della ricchezza e della forza, in politica sono cinici e individualisti. Si uniscono per lottare con i loro simili solo in modo saltuario, e secondo umori imprevedibili. Il loro rapporto con le istituzioni è fondato sulla diffidenza e sul parassitismo ( cfr Luca Rossomando napolimonitor.it).

La povertà di Napoli è senza rimedio?

L’italiano di Thomas
Quando Thomas prese possesso della sua abitazione nel quartiere si diffuse subito la voce di un tipo strano che era venuto ad abitarvi. Poteva essere chiunque, anche un poliziotto. Immediatamente ci furono dei sopralluoghi da parte di alcuni che entrarono direttamente dal balcone in casa. Ma saputo che era uno studente italo americano, anche se di origini pugliese, ma sempre un suddito del Regno ( dei Borbone non dei sabaudi) fu immediatamente accolto e “protetto”. Nonostante la sua origine non conosceva che poche e stentate parole italiane e credendo di imparare l’italiano, in realtà imparò il napoletano con un forte accento partenopeo degli abitanti dei bassi.

Thomas diventa Tommasino
Tommaso Belmondo subito ribattezzato Tommasino o Tom, nella sua prefazione della celebre ricerca poi trasformata in un libro, divenuto celebre con il nome la “Fontana rotta” afferma: “ tutto quanto so a proposito dei ceti bassi di Napoli l’ho acquisito vivendo insieme a loro. Ho imparato a conoscerli poco a poco in modo discontinuo. A mano a mano che hanno avuto fiducia in me mi hanno permesso di sapere di più su di loro: non cercavo di andare a caccia di maggiori informazioni in modo metodologicamente ben strutturato,quanto piuttosto di tenere gli occhi aperti e aspettare che queste informazioni arrivassero a me mentre mi facevo strada in quello che era fondamentalmente un ambiente estraneo”.
Nella prima edizione del libro curata dalla Casa Editrice Meltemi nel 1997, Domenico Scarfoglio afferma, fra l’altro, nella sua prefazione che la vita del napoletano povero è il risultato di una negoziazione continua tra opposti, un compromesso dettato da una disperata volontà di vita. Dalla frequentazione di Stefano ed Elena e la loro lotta per crescere la numerosa prole, ben sei figli, afferra gli aspetti portanti della vita del quartiere e il rapporto del quartiere con la città, si strutturano su queste basi su questa cultura segnalata dalla forza e della astuzia. L’idea di un ordine naturale e misterioso biologico si affaccia alla mente a proposito di un popolo comunque vivo. “Nel napoletano che passa per disordinato e tumultuoso per eccellenza nel fondo c’è una terribile prevalenza del più forte, del più ricco del più astuto, c’è un rispetto senza ipocrisia senza attenuazione per chi detiene la forza e la ricchezza”.
Oltre che alla osservazione dello svolgimento della vita contemporanea del sottoproletariato napoletano, Belmonte cerca di conoscerne anche la prospettiva storica culturale e per questo fu un lettore assiduo di tutti gli scrittori napoletani per attingere dei riscontri a quello che lui notava con il lavoro sul campo . Suoi autori preferiti furono specialmente Domenico Rea e il grande e misconosciuto ai più, F. Mastriani, quello della “Cieca di Sorrento” per intenderci e del “I Misteri di Napoli”, che invito a leggere, interfaccia de “I Miserabili” di V. Hugo.
Inoltre è da ricordare che il 73 anno, l’anno precedente la ricerca dell’antropologo, fu l’anno in cui scoppiò a Napoli l’epidemia di colera con le connesse vicissitudini e, nonostante che il posto dove abitasse fosse uno dei più “fragili” come si direbbe oggi, i residenti di Via Sedile di Porto, in quell’occasione si erano dimostrati, come già avevano fatto in precedenti epidemie, che nel meridione non sono mai mancate, tutta la loro predisposizione a seguire quelle precauzioni sanitarie che oggi vengono in parte contestate per l’ epidemia del coronavirus, in maniera non proprio pacifiche.

Belmonte riesce a restituire nelle sue sottigliezze attraverso il rigore evocativo e la precisione poetica della sua scrittura:
Viene il venditore di scope. Sembra un goffo uccello tropicale, con il suo carico di plastica brillante fatto di secchi azzurri e scope gialle e rosa. Il tramonto è annunciato dall’insistente fischio del lattaio e dalle sirene delle voci materne che richiamano i bambini a casa.”

Thomas Belmonte morì a New York il 22 giugno del 1995. Il necrologio uscito sul New York Times, portava il titolo: Thomas Belmonte, 48, is Dead. Wrote of Lives of Naples’s Poor (Thomas Belmonte, di anni 48 è morto. Scrisse un libro sulla vita dei Poveri di Napoli – cfr iltascabile.com )

(cfr anche gliasiniinrivista.org).

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