Cambiare il nome ad una strada può essere pericoloso, ma non sempre per motivi politici.

Supr Maria Laura Mainetti

Il Comune di Chiavenna, un comune abbastanza piccolo con circa 7000 abitanti, in provincia di Sondrio, Lombardia, come ha riportato bellamente un giornalone a tiratura nazionale, avrebbe deciso di cambiare nome ad una strada. Gli abitanti della strada in questione, vivamente allarmati, hanno scritto una loro petizione per scongiurare l’avvenimento. Non perché ce l’abbiano con la persona che il Comune vorrebbe ricordare ed omaggiare, ma per tutt’altri e più banali motivi. ll Comune vuole intitolare una strada a suor Maria Laura Mainetti, una religiosa e educatrice italiana della Congregazione delle Figlie della Croce, Suore di Sant’Andrea, nata a Colico, 20 agosto 1939 e morta a Chiavenna il 6 giugno 2000, assassinata da tre ragazze durante un rito satanico. Lo scorso anno si è appena chiuso il processo di beatificazione processo di beatificazione si è aperto nel 2008 e chiuso nel 2020 e la proclamazione è prevista per il 6 giugno 2021.
Gli interessati temono, pur abitando in un luogo dove si conoscono probabilmente tutti, le disavventure kafkiane che potrebbero incorrere in questo semplice cambio di domicilio o residenza e propongono, in alternativa, di intitolare alla prossima Beata un giardino pubblico. Nel suo pezzo un noto articolista de il Corriere, perché di questo “giornalone” si tratta, gli altri sono la Stampa e La Repubblica, ricorda come la petizione per cambiare nome al “Corso Unione Sovietica” a Torino, raccolse tre sole firme (nessuna di Torino), nonostante vi abitassero e vi abitino tuttora centinaia di anticomunisti, rassegnati a tenersi Stalin sui documenti pur di non perdere l’anima tra le scartoffie.
Quindi questo è uno dei motivi per cui si va con i piedi di piombo quando si tratta di cambiare nome anche ad un viottolo qualsiasi.

Le strade ed i numeri civici
Ma come nascono gli indirizzi ed in particolar modo i numeri civici, la cui assenza, prima dell’invenzione delle e-mail, faceva impazzire i postini?
In un piccolo borgo, un villaggio di campagna o una frazione di una città, trovare una persona era relativamente facile. Ci si orientava prendendo qualcosa a riferimento, una chiesa, un monumento, un palazzo nobiliare, un’osteria eccetera. Le strade in genere non portavano nessun nome né numerazione se non quello abusivamente affibbiato dagli abitanti. Poi si chiedeva casa per casa e generalmente l’impresa aveva esito positivo.
Diversa era la questione se si doveva trovare una persona in un agglomerato urbano un po’ più vasto. Allora si cercarono dei sistemi meno approssimativi per risalire alle abitazioni dei cittadini. La cosa aveva una particolare importanza per i rappresentanti del potere anche al fine di controllare la popolazione.
Così a Milano nel 1786 il ministro austriaco Wilczeck, per disposizione di Giuseppe II, imperatore d’Austria, incaricò il marchese Ferdinando Cusani Visconti, allora ‘giudice delle strade’ milanesi, di provvedere all’affissione di una targa, ad ogni angolo di strada, col nome della via e di assegnare a tutte le case, un numero civico univoco. Una particolare curiosità era costituita dalla cosiddetta numerazione “teresiniana” dal nome dell’imperatrice d’Austria Maria Teresa. La numerazione si basava su un modello circolare progressivo senza fine. Dando il n. 1 al palazzo del governo poi si continuava in cerchi sempre più vasti, con gli edifici attigui fino ad arrivare all’estremo limite periferico della città. In quel periodo Milano aveva circa 5000 edifici perché la numerazione arrivava a quel numero.
A Napoli si provvide 6 anni dopo quando nel 1792 Ferdinando IV di Borbone, emanò un editto per la creazione dei numeri civici e delle targhe con i nomi delle strade.

Astio borbonico antirisorgimentale: Come ti bollo il meridionale che protesta

da Repubblica 29/4/2021

Dopo che molti accreditano a tutti i meridionali un dna borbonico, adesso si scopre che sono anche astiosi antirisorgimentalisti e in sostanza razzisti come alcuni settentrionali. La afferma Francesco Merlo sulle pagine della sua rubrica che cura sul quotidiano La Repubblica edita dalla casa editrice Gedi della Fiat (una specie di “La Stampa” più illuminata) in una risposta ad un lettore il 29/04/2021.

Francesco Merlo per quei pochi che non lo conoscessero è un giornalista dalla prosa fluente ed affascinante, anche se appartiene alla categoria di chi si sente elitario ed illuminato e discetta con sarcasmo moraleggiante. Comunque si legge sempre con piacere ma non sempre ci azzecca. Anche lui non rifugge dall’uso di un linguaggio stereotipato di facile effetto basato sulla ripetizione di vecchi cliché. Cosa verificabile nella risposta di un lettore che paventava il cattivo uso delle somme recentemente stanziate nel cosiddetto PNRR per colpa alcuni attuali uomini politici (cosa possibilissima e tendenzialmente vicino alla realtà),ma non uomini politici in generale, ma quelli meridionali, citandone per nome alcuni. In effetti quelli tirati in ballo un po’ da pensare lo danno, in quanto ampiamente discutibili ma che comunque occupano posti istituzionali non a seguito di usurpazione ma di libere e finora democratiche elezioni.
La risposta di Merlo è da manuale

Lettera: Caro Merlo, il piano di Draghi prevede che il 4O per cento delle risorse vadano al sud. Ma una foIla di sindaci, con intesta MastelIa e De Magistris dicono che il Sud è stato “ fottuto”…. E qui comincia l’aritmetica taroccata: “ dei piazzisti: Non ve lo do per cento, non ve lo do per mille: Se Draghi sommando arriva a 82 miliardi, Mastella sottraendo, arriva a 22 e dice “ne mancano 60”. E De Luca accusa Draghi di furbizia… Da meridionale a meridionale: “ a schifio finisce?”
Risposta: 82 miliardi: alta velocità, porti, scuole, ospedali, banda digitale ultraveloce, protezione del mare e sul Ponte sullo Stretto c’è una relazione e sarà inviata al Parlamento”. Da meridionale a meridionale: è un’occasione unica, ma con un nemico peggiore dell mafia: il rancore plebeo sul quale continuano a lucrare questi masanielli, la vecchia sottocultura dell’astio borbonico e antirisorgimentale, un delirio opposto ma solidale al razzismo del Nord. Ha ragione: “a schifio finisce”.

Andiamo invece un po’ nel merito della questione: il 14 febbraio 2020 più un anno fa, l’allora ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano presentò il piano di rinascita per il Sud con relative e allora immancabili slide chiamato Piano Sud 2030. In quell’occasione l’ex ministro ebbe a scrivere:
“Manca il lavoro buono, certo. E servizi di qualità: scuola, salute, mobilità. Ed i giovani se ne vanno. Ma la prima causa della fuga, o della fatica di quelli che restano, è l’incertezza e la sfiducia sulle prospettive di futuro del Sud, da qui a dieci, vent’anni.
L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà. La sfida del Sud è la più difficile di tutta la nostra storia unitaria.
La politica ha il compito di creare e diffondere condizioni di benessere, accelerare e supportare i processi virtuosi. La premessa è dare risposte alle emergenze e ai bisogni, dove necessario riconquistare territori e cittadini alla legalità.
Nel suo discorso programmatico d’insediamento lo scorso febbraio Draghi ha detto le cose ovvie che immaginavamo con misurata ma immancabile retorica.
In merito al Mezzogiorno anche qui un trionfo dell’ovvio senza nessun riferimento al Piano Sud 2030.

La quota Sud nelle 6 missioni
Scomparso il Piano sud dal proscenio, è stato varato con squilli di tromba e rullare dei tamburi il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza . Resilienza è un termine originariamente utilizzato in psicologia e sta a significare  la capacità di far fronte in maniera positiva a qualcosa e nella fattispecie penso alla pandemia.
Questa resilienza e ripresa prevede per il Sud in totale 82 miliardi di euro, pari al 40% del totale delle risorse del piano stesso. Nello specifico per la missione “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura” sono previsti 14,58 miliardi (pari al 36,1% dell’intera dotazione della missione), per “Rivoluzione verde e transizione ecologica” 23 miliardi (il 34,3%), per “Infrastrutture per la mobilità sostenibile” 14,53 miliardi (53,2%), per “Istruzione e ricerca” 14,63 miliardi (45,7%), “Inclusione e Coesione” 8,81 miliardi (39,4%) e per “Salute” 6 miliardi (35-37%).
Non si sa se queste cifre si aggiungono o assorbono quelle già previste per il piano Sud, perché se non si aggiungono le esternazioni di alcuni sindaci sovente più noti per il loro folclore lessicale che per interventi amministrativi incisivi in qualsiasi direzione, francamente non mi sembrano cosi immotivate e per dimostrare che non si è astiosi di matrice borbonica e solidali del razzismo del nord, si tralascerà di sottolineare che la maggior parte dei ministri dell’attuale compagine sono settentrionali. Come i padri della Patria d’altronde,( in ordine alfabetico ) Cavour, Garibaldi, Mazzini e Vittorio Emanuele II, tutti settentrionali.

Ma il recovery plan e il PNRR daranno la svolta all’Italia? Tutti lo sperano ma pochi ci credono.

Il 26 aprile 2021, il giorno dopo quello di commemorazione della liberazione dalla dittatura, il capo del governo nominato si è presentato alla Camera dei Deputati per illustrare il Piano nazionale di ricostruzione e resilienza(?), forse perché il termine Resistenza era già utilizzato per il 25 aprile, esordendo in questo modo: “Sbaglieremmo tutti a pensare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pur nella sua storica importanza, sia solo un insieme di progetti tanto necessari quanto ambiziosi, di numeri, obiettivi, scadenze. Vi proporrei di leggerlo anche in un altro modo. Metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle dei giovani, delle donne, dei cittadini che verranno. Le attese di chi più ha sofferto gli effetti devastanti della pandemia. Le aspirazioni delle famiglie preoccupate per l’educazione e il futuro dei propri figli. Le giuste rivendicazioni di chi un lavoro non ce l’ha o lo ha perso. Le preoccupazioni di chi ha dovuto chiudere la propria attività per permettere a noi tutti di frenare il contagio L’ansia dei territori svantaggiati di affrancarsi da disagi e povertà. La consapevolezza di ogni comunità che l’ambiente va tutelato e rispettato. Ma, nell’insieme dei programmi che oggi presento alla vostra attenzione, c’è anche e soprattutto il destino del Paese. La misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale.”
Come si diceva nel periodo borbonico, quello regressista,” la bocca è nu bello strumento, beato a chi la sa usare” ovvero “chiacchiere e tabacchere di legn il Banco di Napoli non l’impegn”.
I progetti principali sono: la riforma della pubblica amministrazione, la riforma della giustizia, la riforma di qualche altra cosa che so la scuola, la ricerca la sanità e le infrastrutture.
Praticamente le stesse parole d’ordine dei Comitati di liberazione nazionale del 1945 e del successivo piano Marshall dal nome del politico statunitense che lo illustrò il 5 giugno 1947 e che ufficialmente si chiamava “ European Recovery Program
Così esordì: Non ho bisogno di ricordare a voi signori che la situazione del mondo è molto seria. Ciò dev’essere evidente a tutte le persone intelligenti. Ma i cittadini di questo nostro paese vivono lontani dalle aree instabili e turbolente della terra ed è difficile per loro comprendere i guai e le reazioni di popoli che soffrono da troppo tempo, e gli effetti che queste reazioni hanno sui loro governi in rapporto ai nostri sforzi di promuovere la pace nel mondo.
Nel considerare i requisiti necessari alla ricostruzione dell’Europa sono state stimate correttamente le perdite di vite umane, la distruzione visibile di città, fabbriche, miniere e ferrovie, ma nei mesi recenti è diventato ovvio che questa distruzione visibile è stata probabilmente meno grave dello sconvolgimento dell’intero tessuto dell’economia europea. Nei dieci anni passati le condizioni sono state assai anormali. ………
La verità è che, per i prossimi tre o quattro anni, i bisogni dell’Europa in materia di derrate alimentari e altri prodotti essenziali provenienti dall’estero – soprattutto dall’America – sono così superiori alla sua attuale capacità di pagamento che dovrà avere ulteriori e sostanziali aiuti, pena l’aggravamento della sua situazione economica, sociale e politica.

A parte l’effetto demoralizzante sul mondo intero e i disordini che possano derivare dalla disperazione delle popolazioni interessate, le conseguenze di tutto ciò sull’economia degli Stati Uniti dovrebbero essere evidenti a tutti. È logico che gli Stati Uniti debbano fare quanto è in loro potere per favorire il ritorno di normali condizioni economiche nel mondo, senza le quali non può esserci né stabilità politica né pace sicura.”
Naturalmente si trattò di un investimento per gli Usa in quanto con i dollari prestati ( solo una piccola parte erano a fondo perduti) si dovevano comprare merci statunitensi. Infatti furono inviati migliaia di consiglieri economici statunitensi in Europa che attraverso l’ Economic Cooperation Administration (ECA), l’ufficio preposto alla collocazione degli aiuti controllavano e indirizzavano. Come si vede è un deja vu. Su molte merci, specie quelle alimentari, era stampigliata la scritta : “ Dono degli Stati Uniti “ Ma comunque la cosa funzionò e l’Europa occidentale, Italia compresa si risollevò dal baratro in cui era precipitata e si fanno tutti gli scongiuri per una riuscita di questo secondo piano Marshall, come viene nominato il Recovery Plan anche se fra il dire ed il fare c’è in mezzo il mare e lo dimostra il fatto che dopo 76 anni dalla liberazione stiamo a discutere sempre delle stesse riforme.

Anche Napoli aspetta Godot : Una città poliedrica e dolente alla ricerca di uno sbocco che non arriva mai

Napoli, una città poliedrica, dolente ma vivace perennemente alla ricerca di uno sbocco finale positivo che non arriva mai.
Togliendo le pizze, il sole e le canzoni, parlare di questa città è sempre complicato.
La vita sociale e quindi politica economica e civile a Napoli non è nata ieri, perché ha circa 3000 anni, tutto sommato portati abbastanza bene. La fondazione ufficiale di Neapolis, ubicata in quello specchio di mare ai piedi del Vesuvio, dove si lasciò morire la sirena Partenope per non essere riuscita ad ammaliare Ulisse con il suo canto, risalirebbe al 21 dicembre 475 a.C., giorno del solstizio d’inverno, perché la fondazione di una nuova città avveniva quasi sempre in concomitanza di fenomeni astronomici, come il solstizio o l’equinozio.

La fondazione non avveniva in un deserto, in quanto quel pezzo di territorio campano era abitato anche precedentemente. Del periodo romano, sia repubblicano che imperiale non abbiamo molte notizie della vita di Napoli, se non ciò che possiamo desumere da quella che si svolgeva a Pompei ed Ercolano.
L’irruzione di Napoli nella storia come protagonista avviene dopo la caduta dell’impero romano. I normanni, Federico II di Svevia, gli angioini, gli aragonesi, gli spagnoli, i Borbone, i Savoia e infine la Repubblica Italiana.
Il filo rosso che unisce questi passaggi storici è costituito da un modello culturale quasi antropologico, che si è sommariamente tratteggiato nell’articolo “ i meridionali sono tutti borbonici?
Esso coinvolge il modus vivendi e operandi, cioè il modo di vivere e di operare dei napoletani. Le descrizioni di questi modi comportamentali sono molteplici e ne hanno riferito autori non di secondo piano come Goethe, Dumas eccetera, e ne hanno cantato infiniti artisti napoletani ( per artista intendo scrittori letterati, pittori, attori, storici, cantanti, artigiani specialisti presepiali). Due scrittori per tutti agli antipodi: Curzio Malaparte e Giuseppe Marotta.
Insomma attraverso il tempo si sono dipanati avvenimenti storici, spesso cruenti e disastrosi, guerre, epidemie, terremoti, eruzioni , le istituzioni, civili e religiose che hanno plasmato il carattere dei napoletani che pur ignorando hanno dovuto applicare la teoria dell’evoluzionismo di Darwin per continuare a campare, teoria che a Napoli si sarebbe tipizzata nell’arte di arrangiarsi.
Naturalmente le cronache attraverso i secoli hanno evidenziato come anche ai giorni nostri, ma con maggior affidabilità, in quanto le fake news erano di minor portata e frequenza, le situazioni da “prima pagina” rispetto alle situazioni di normalità espressi quotidianamente per vivere, che come sappiamo non è attività pacifica e tranquilla, tanto è vero che si parla di lotta per la vita ( A Napoli come in tutto il resto del pianeta).
Questo ha fatto emergere il cliscé (cliché) dei napoletani infingardi, lazzaroni, pressappochisti, approfittatori, cui basta il sole, la pizza, una bella guagliona e tirramm’annanz.
La questione sul modo di vivere dei napoletani e del loro carattere ancestrale, è riesplosa con la trasmissione su Napoli curata da Corrado Augias per la Rai per il ciclo “Città Segrete”.

I social si sono ribellati al modello di rappresentazione ritenuto molto stereotipato con innesti storici che rafforzano gli antichi convincimenti radicati su Napoli anche se Augias non ha mandato in onda i mandolini, la pizza ed i presepi di San Gregorio Armeno. Ma focalizzato la sua attenzione sulla camorra e sul lato nascosto di Maradona.
Molti hanno rilevato sono stati molto più obiettivi gli Angela, padre e figlio con le loro trasmissioni tipo Quark o Ulisse, anche se sono sempre impregnati di filosabaudismo, specie quando si affrontano situazioni attinenti al Risorgimento.
Augias ha risposto risentito su Repubblica: “Credo che la rumorosa suscettibilità di alcuni napoletani davanti ad una visione critica della loro splendida città afflitta da molti mali sia un ostacolo serio al suo miglioramento”. Aggiungendo ( plurale maiestatico) “Noi non facciamo cartoline illustrate.” Le spiegazioni sono in parte accettabili ma non completamente, perché quello che lui descriveva o denunciava, in effetti di segreto non aveva proprio niente.
Io invito a vedere su Youtube la recente storia del Regno sulle due Sicilie che in parte spiega un po’ meglio le cose, ma non ci assolve completamente.


Napoli sostanzialmente è in perenne attesa di Godot, ma non se ne sta tranquilla e fiduciosa come i personaggi della commedia dell’assurdo.
Aspettando Godot” è una piece di Samuel Beckett del 1952 che fa parte del cosiddetto teatro dell’assurdo. Due personaggi Vladimiro ed Estragone seduti sulla scena vuota, tranne la presenza di un albero, da cui cadono le foglie ( a significare il tempo che passa), aspettano che arrivi Godot. Egli risolverà tutti i loro problemi. Godot non arriva, ma manda sempre messaggi tramite un ragazzo in cui avvisa che arriverà domani. Un domani che non arriverà mai!
Anche Napoli aspetta Godot e probabilmente lo aspetta dal 22 dicembre 475 a.C., cioè il giorno successivo alla sua fondazione.

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