“Gaeta ultimo atto” – Un avvincente romanzo storico che ha per sfondo l’assedio di Gaeta

Per i tipi della dinamica Casa Editrice torinese YUMEBOOK, è stato pubblicato il nuovo romanzo di Camillo Linguella, “Gaeta ultimo atto”. Sembra un ovvio romanzetto d’amore e tradimenti su un background di ambientazione storica: l’assedio di Gaeta nel 1860.
Trattandosi di un episodio che precede la fine del Regno delle Due Sicilie, viene automatico l’inserimento nel filone della storiografia neoborbonica, aprioristicamente considerata come reazionaria e propensa a distaccarsi dalle fonti storiche “ufficiali” per diventare agiografia o puro revanscismo.

Si tratta invece di un romanzo, imbastito su una trama se vogliamo fragile e non nuova: un amore che non finisce in un happy end. Ma si distacca dallo schema classico di fiction nella quale spesso la storia viene stravolta a piacere, per far risaltare meglio quella romanzata.
In” Gaeta ultimo atto” il romanzo d’amore, con personaggi totalmente inventati, si svolge in un contesto di fatti rigorosamente storici: quelli relativi agli episodi più esaltanti, dolorosi e significativi che hanno chiuso il Regno delle Due Sicilie: l’assedio di Gaeta. È un episodio spesso ignorato dalla storiografia ufficiale oppure appena accennato. Invece fu un riscatto nobile di una dinastia ingiustamente screditata.
Il giorno avanti l’arrivo di Garibaldi nella città partenopea, il 7 settembre del 1860, il giovane re Francesco II, alla testa dei suoi reggimenti lascia la capitale e si rifugia a Gaeta da dove poi partirà per l’esilio. Né sorte migliore toccherà a Garibaldi, rapidamente messo da parte, relegato nel ruolo celebrativo di eroe.
A Gaeta si consuma la resistenza inaspettata dei soldati napoletani che ribalta il cliché dell’esercito di francischiello reputato e rappresentato come una riedizione dell’armata Brancaleone. Soccombono decimati dal tifo e dalla fame, in un assedio che durò tre mesi da novembre 1860 a febbraio 1861. Sconfitti non dalle armi nemiche ma da un’epidemia!
Il 13 febbraio 1861 Francesco II si arrende e il 14 parte per l’esilio. Finisce così un regno che nonostante tutte le ombre, è stato un grande regno. Poi comincia la questione meridionale.

Camillo Linguella, sociologo e meridionalista, è nato a Torre del Greco il 20 aprile 1945. Agli inizi degli anni 70 del secolo scorso si è trasferito a Roma dove vive, sviluppando un proprio percorso in diversi ambiti, principalmente quello dell’impegno politico sindacale. Laureato in Sociologia, si è molto impegnato nel welfare previdenziale, senza mai tralasciare lo studio del meridionalismo.
La sua passione per Napoli e la napoletanità lo hanno indotto ad approfondire le vicende storiche, economiche e sociali del Sud che hanno preso forma in Ferdinando III Esposito-Borbone (Teseo Editore 2006), romanzo accolto, per usare una frase fatta, con favore dal pubblico e dalla critica. Successivamente ha pubblicato una saggio sui Borbone di Napoli: “Il Regno delle Due Sicilie- Storia di un regno maltrattato”.
In tema previdenziale ha pubblicato il libro “Welfare ieri, oggi, domani”, vincitore del premio “Ipost” del 2010.

Le Medie imprese del sud crescono più di quelle al nord

Le medie imprese del Mezzogiorno negli ultimi dieci anni hanno superato le imprese analoghe del Centro e del Nord. Anche l’impennata dei costi energetici e la pandemia non ne hanno frenato la corsa che quest’anno prevedono un incremento dell’8,1% (contro il 7,2% delle altre aree d’Italia).

la fabbrica del futuro

+ 8,1% il giro d’affari nel 2022. Quasi la metà supererà i livelli produttivi pre-pandemia
Il 71% si è già attivato – o lo farà a breve – sul PNRR

Il rapporto delle medie imprese del mezzogiorno, reso noto dal Centro Studi Guglielmo Tagliacarne lo scorso 16 dicembre 2022, ci informa che poi il Sud economicamente non va poi così male come si pensa. Le medie imprese del Mezzogiorno negli ultimi dieci anni hanno superato le imprese analoghe del Centro e del Nord. Anche l’impennata dei costi energetici e la pandemia non ne hanno frenato la corsa che quest’anno prevedono un incremento dell’8,1% (contro il 7,2% delle altre aree d’Italia), dopo l’aumento del 10% conseguito nel 2021. Così quasi la metà conta di superare entro il 2022 i livelli pre-Covid.

Il Centro Studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne che ha curato il rapporto, è il fulcro dell’informazione economica delle Camere di commercio.

Esso risponde alla necessità di rafforzare l’azione di analisi e monitoraggio dei fenomeni socio-economici anticipando i mutamenti dei mercati e della società per fornire informazioni utili di supporto alle politiche di sviluppo.

La funzione degli studi e dell’informazione economica è una delle competenze assegnate dalla legge (d.lgs 219/2016) a sostegno della competitività delle imprese e dei territori.

L’attività di studio e di analisi si svolgono in ambiti diversi fra cui:

● analisi, elaborazione e lettura delle dinamiche delle imprese;

● individuazione di percorsi di sviluppo locale;

● osservazione delle tendenze dei settori e delle filiere produttive;

● approfondimenti sulle tematiche relative all’innovazione;

● contabilità economica territoriale;

● definizione di linee di policy e monitoraggio dei loro effetti.

“Le medie imprese meridionali rappresentano la locomotiva industriale del territorio, figlie di un capitalismo familiare di lunga data che si tramanda da generazioni. Sono imprese che hanno anche messo in evidenza una capacità di resistenza non inferiore rispetto alle altre presenti nel resto del Paese”. È quanto ha sottolineato il presidente di Unioncamere Andrea Prete che ha aggiunto “sono pronte a cogliere le sfide del cambiamento puntando sempre più sulla frontiera 4.0, facendo leva anche sul PNRR. Ma per questo servirà, soprattutto al Mezzogiorno, sviluppare un modello di innovazione improntato su una forte collaborazione tra imprese, Università, centri di ricerca locali”.

Quasi una media impresa su 10 è del Sud. Più precisamente sono in tutto 316 le aziende leader del cambiamento provenienti dal Mezzogiorno (3.174 complessivamente operanti in Italia), delle quali il 40% circa si trova in Campania. Nel 2020 fatturano 14,6 miliardi di euro, coprono l’11,5% del valore aggiunto del totale manifatturiero della stessa area e il 30% delle loro vendite è destinato all’estero. Alimentare-bevande, meccanico e chimico-farmaceutico sono i settori principali in cui operano, rappresentando oltre l’80% del giro d’affari complessivo.

Nel Sud, le medie imprese sono più dinamiche delle grandi…
Quasi la metà delle medie imprese prevede di superare i livelli pre-Covid. Più precisamente il 44% delle medie imprese del Mezzogiorno, alla stregua delle altre della stessa stazza nel resto d’Italia, si attende di riuscire a mettere definitivamente alle spalle la crisi pandemica, superando già quest’anno i livelli produttivi pre-Covid. Mentre solo il 31% delle imprese di grandi dimensioni operanti nel meridione pensa di riuscire a farlo.

anche grazie al PNRR
Il 71% delle medie imprese meridionali punta sul PNRR: il 48% si è già attivato mentre il 23% ha in programma di farlo nel breve termine. C’è però un altro 29% che non pensa di avvantaggiarsi delle opportunità previste dal Piano.
quasi la metà punta per competere sull’open innovation
Aperte a fare network per innovare, ma meno di quelle del Centro e del Nord. Il 44% delle medie imprese del Mezzogiorno investirà in processi di co-innovazione entro il 2024 con almeno un soggetto esterno alla propria azienda, contro il 53% di quelle localizzate nelle altre aree. Il 32% punterà sulla collaborazione con le Università per la co-innovazione di prodotti e servizi (contro il 40%), il 3% con i subfornitori (contro il 12%) e il 15% con i clienti (contro il 17%).
Le incertezze degli ultimi anni hanno spinto le medie imprese meridionali ad affrontare alcuni temi non più rinviabili. L’85,1% di esse ritiene prioritario agire sulla governance attraverso un rinnovo manageriale o generazionale (contro il 78,4% delle altre aree). Inoltre, il contesto geopolitico ha imposto un ripensamento delle catene di fornitura tanto che, per limitarne i rischi di rottura, il 75,8% delle medie imprese del Mezzogiorno (in linea con le altre aree) ha optato per una diversificazione dei fornitori, incrementandone il numero e preferendo quelli di prossimità, cioè meridionali.

“Napoli tra bellezza e magia”: un libro da leggere in un fiato

Sabato 10 dicembre 2022 sono approdato alla Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria che si è tenuta a Roma dal 7 al giorno 11 dicembre, mentre imperversava sulla città il più furioso acquazzone dai tempi di Noè in poi.
Mi sono volontariamente sottoposto a quello che potrebbe sembrare la soddisfazione di un insano impulso masochistico, incomprensibile, specie per un borbonico sia pure progressista, come mi autodefinisco, inconsapevole di infrangere un ossimoro storicamente consolidato e come tale accettato:

un borbonico è per definizione un regressista e quindi non può essere progressista.

Il fatto è che i libri esercitano ancora un fascino insostituibile su alcuni soggetti. Essi mantengono ancora un primato su tutti i media attualmente a disposizione, compresi i cosiddetti social che tendono ad essere sempre più “asocial”.
Se la radio ti dice la notizia, la televisione te la fa vedere ed il giornale te la spiega anche se a modo suo, è nel libro che si trovano le risposte ai propri interrogativi, voglia di conoscenza, oppure di appagamento dell’animo.

Con i libri ci si immerge in una dimensione così fantastica che diventa prossima alla realtà, così si sogna e si partecipa a ciò che si legge.
Inoltre la Piccola e Media editoria, fortunatamente numerosissima in Italia, offre dei vantaggi in più rispetto alle grandi case editrici, che dispongono di mezzi ingenti per propagandare i loro prodotti sia attraverso le tivù di Stato sia attraverso i vari premi strega, whisky, campiello e compagnia bella. Il principale dei quali è quello di farci trovare delle vere perle letterarie
Infatti è nella piccola e media editoria che si nascondono notevoli gioielli poetici, affascinanti pagine storiche, romanzi coinvolgenti, frutto di lavoro, competenza e passione dei numerosi autori che difficilmente diventeranno star o influencer. E quando si trova un libro bello ti appassiona e lo leggi d’un fiato e poi lo rileggi.

Ma ritorniamo a noi. La visita alla Fiera aveva due scopi, uno secondario, visitare la Fiera scartando i simposi degli editori facoltosi, tipo quelli di Robinson e andando a piluccare fra i testi esposti, l’altro primario assistere alla presentazione di un libro su Napoli, sia pure presentato sotto le mentite spoglie di un romanzo: “Napoli tra bellezza e magia” di Antonio R. Garofalo edito per i tipi della casa Editrice Albatros.

Il cuore di Napoli si concentra fra il mare, l’Albergo dei Poveri, voluto da Carlo III, il Duomo dove c’è la cappella di San Gennaro, via Foria, via Spaccanapoli, i quartieri spagnoli via Toledo e, a due passi da via San Gregorio Armeno, celebre per i suoi negozi di pastori e dei Presepi e via del tribunale, c’è poco distante San Domenico Maggiore, il palazzo del principe di San severo, la chiesa di San Pietro a Majella e Piazza San Gaetano dove c’è (c’era) l’agorà per i greci e il foro per i romani cioè il cuore dove il popolo veniva a deliberare sostituiti dai cosiddetti “ i sedili” , una specie di giunta comunale o quantomeno una consulta cittadina sui problemi della città. I sedili erano composti da cinque nobili e da un rappresentante del popolo. In questo spazio c’è la Napoli immutabile ed eterna anche se circondata da grattacieli che vogliono imitare il Pirellone di Milano che, anche quello pur facendo ormai parte dello skyline meneghino, è sempre un cazzotto negli occhi.
Alberto Santoro vice questore destinato a Napoli dopo aver lavorato al Nord, ad Alessandria prima di riprendere il suo lavoro nella città partenopea per caso si reca in una libreria per acquistare un libro e a tutta la sua attenzione da una porta misteriosa non resiste alla tentazione di entrarvi e improvvisamente si trova catapultato all’epoca dell’ illuminismo nel XVIII secolo con un caso di omicidio da risolvere.

L’autore, Antonio Garofalo è nato a Napoli e anche si vive a Roma da molti anni per ragioni di lavoro, non ha perso per niente la sua napoletanità. Ha svolto la professione di avvocato, conseguito un master in comunicazione pubblica presso ‘Università la Sapienza di Roma ed ha lavorato nella pubblica amministrazione. Coltiva da sempre una passione per la storia ,interessandosi specialmente di quella relativa al meridione e a quella del Regno delle due Sicilie in particolare
Nel 2021 ha pubblicato il saggio storico “Bugie intrighi e misteri “in cui indaga su alcuni gialli quali la morte improvvisa di Camillo Benso di Cavour, quella di Ippolito Nievo un garibaldino morto in un naufragio della sua Nave e di altri, tentando di fare luce su questi fatti, rimuovendo la polvere accumulata su questi cold case.

L’occasione di questa presentazione era troppo ghiotta per lasciarsela perdere. Già l’incipit traccia il perimetro dell’azione, il pomerio come avrebbero detto gli antichi romani e ti fa pregustare lo scenario entro i quali si muoveranno i protagonisti di questo fantastico romanzo.

Alla fine è valsa la pena essersi bagnati come un uccellino.

Il referendum della Russia ed il plebiscito del Regno delle Due Sicilie: Un parallelo storico

il 21 ottobre 1860 mentre a Gaeta ancora si combatteva e le sorti del Regno dei Borboni non ancora decise, il Piemonte indisse in Plebiscito di annessione dove votò il 2% circa della popolazione.

La Storia seppure in maniera diversa, ci presenta a volte degli avvenimenti che pur possedendo enormi analogie, causano reazioni differenti.

Piazza Plebiscito a Napoli

Ciò è dovuto essenzialmente ai contesti in cui si svolgono e che variano continuamente per il mutare delle situazioni geopolitiche.

Ora la Storia offre un altro esempio oltremodo calzante: l’invasione della Russia in Ucraina, rivendicando suoi presunti diritti e l’invasione del regno Sabaudo al Regno delle Due Sicilie, variamente giustificato in questo caso dagli “aedi” risorgimentali. E’ stato il primo esempio di “esportazione” della democrazia con le armi in un paese “autocratico ed incivile che opprimeva i suoi sudditi” che poi sarebbero i Borbone.

Quello che sta succedendo in Ucraina, trattandosi di avvenimenti contemporanei, lo conosciamo bene ed è lampante la violazione dei diritti di uno Stato Sovrano. Oltre ad essere vicini agli assaliti ed esserne coinvolti emotivamente, siamo anche sconvolti per gli effetti collaterali dovuti all’aumento iperbolico del gas ed elettricità che poi si riverberano su tutti gli altri prezzi del nostro vivere quotidiano.

Le cancellerie hanno reagito compatte a quest’invasione, come compatte stanno reagendo di fronte al referendum farsa di fine settembre 2022, convocato per legittimare una brutale annessione. Infatti USA & UE hanno preparato una nuova tranche di sanzioni, la 8^, a uomini e cose della Federazione Russa.

Anche in Italia, 162 anni fa, il 21 ottobre 1860, si è perpetrato qualcosa di simile: L’effettuazione del plebiscito di annessione del Regno delle Due Sicilie alla monarchia sabauda.

 Uno Stato, facendosi scudo dietro ideologie di una élite culturale, prevalentemente formata da appartenenti della media ed alta borghesia, decise di “liberare dall’oppressione” un popolo tiranneggiato dal “malgoverno” di un altro Stato che era nientepopolimeno la “negazione di Dio elevata a governo”, come ebbe a dichiarare un politico inglese, come se in quel periodo negli slums di Londra si vivesse meglio che a Napoli, invadendolo.

L’affermazione di lord Gladstone, applaudita da tutti i “benpensanti” a scatola chiusa, veniva dal rappresentante di un paese che si era arricchito con la tratta degli schiavi abolita ufficialmente solo nel 1807, la pirateria sui mari e la Compagnia delle Indie e dal 1800, con l’avvento della rivoluzione industriale, con lo sfruttamento di operai uomini, donne e bambini nelle fabbriche.

Scopo di allora di Albione all’inizio era limitato unicamente ad assecondare la voglia di autonomia della Sicilia che le avrebbe assicurata il monopolio sullo zolfo e il controllo del Canale di Suez i cui lavori erano cominciati nel 1859, alla vigilia della operazione para militare dei “wagner” di allora, conosciuta come l’impresa dei mille.

Il Regno di Sardegna,  per portare a termine l’invasione del Sud, attraversò illegalmente i territori dello Stato della Chiesa, come fece Hitler quando per invadere la Francia, attraversò il territorio del neutrale Belgio.

In verde l’itinerario dell’esercito sabaudo

Napoli, un paese che credeva di essere al sicuro, situato com’era fra l’acqua santa ( lo Stato della Chiesa) e l’acqua salata (il Mar Mediterraneo), fu invasa da una potenza straniera  senza nessuna dichiarazione di ostilità.

Nessuno Stato pensò di applicare sanzioni contro il Piemonte che ricevette invece solo applausi, ed i massacri che compì dopo l’annessione contro i cittadini contrari 60.000 persone, comprese donne, vecchi e bambini, fu da tutti benvista se non addirittura incoraggiata.

Qualche anima buona poteva pensare che il regno sabaudo intervenisse in questo modo per dare man forte ai borbonici che erano stati invasi da un gruppo di “patrioti” desiderosi di portare progresso e libertà al sud, cosa che stanno ancora aspettando, ma non fu così.

E mentre il Regno delle Due Sicilie era nella piena pienezza dei suoi poteri in forza del diritto internazionale e a Gaeta ancora si combatteva, il 21 ottobre del 1860 Vittorio Emanuele II organizzò un plebiscito di annessione del Regno di Napoli. Vincendolo perchè in pratica utilizzò gli stessi sistemi intimidatori usati in Ucraina.

Con la differenza che allora i governi non si sdegnarono, né fecero alcunchè, ma si affrettarono a riconoscere immediatamente l’annessione.

Il 3 ottobre 1860, Vittorio Emanuele II, con una tempistica eccezionale perché avveniva immediatamente il giorno dopo l’epica battaglia del Volturno ( 2 ottobre 1860), entrò ad Ancona per mettersi alla testa delle sue truppe, circa 39.000 uomini, per poter prendere militarmente possesso del Regno delle Due Sicilie e mettere da parte Garibaldi. In quell’occasione ebbe a proclamare solennemente:

Le mie truppe s’avanzano fra voi per affermare l’ordine: io non vengo ad imporre la mia volontà, ma a rispettare la vostra…”  e avendo deciso l’annessione a prescindere se i napoletani la volessero o no, si dette subito da fare per legalizzare in qualche modo l’illegittima ed illegale invasione di un regno con il quale il Piemonte non aveva mai avuto ufficialmente dissidi né aveva mai dichiarata nessuna ostilità.

Anche questa volta lo strumento utilizzato fu l’indizione dell’ennesimo plebiscito.

La novità, che rendeva ancora di più illegittimo l’utilizzo delle strumento plebiscitario, è che il Regno delle Due Sicilie era quello di un regno legittimo, riconosciuto da tutte le diplomazie mondiali, non c’era stata rivolta di popolo contro il re e quest’ultimo non si era né dimesso né era fuggito col suo patrimonio all’estero ( infatti lo aveva lasciato nel caveau del Banco di Napoli che lo crediate o meno).

Infatti il plebiscito fu indetto mentre si combatteva ancora e inoltre l’esercito napoletano si preparava a vivere alcune delle sue pagine più gloriose nell’Assedio di Gaeta.  Assedio che durò tre mesi mentre i piemontesi pensavano di sgominare i resti dell’esercito duosiciliano alla vigilia del plebiscito del 21 ottobre 1860.

Il Plebiscito era un istituto del Diritto Romano inteso ad interrogare il popolo per conoscerne la volontà su determinate questioni di interesse generale. Infatti la parola deriva dal latino plebiscitum (plebis scitum) cioè “quello che ha stabilito il popolo”. Esso fu riesumato in Francia da Napoleone III nel 1851 per far convalidare il suo colpo di stato.

Poi il Piemonte se ne servì abbondantemente.

Stupisce la velocità dei tempi e delle procedure previste, se si tiene conto che fu indetto in un momento non solo storicamente in preda alle convulsioni della guerra, ma in un paese con poche strade, pochi telegrafi e scarsa rete ferroviaria. Per tempi così ravvicinati, sarebbe occorso un odierno sistema informatico di quelli utilizzati dai moderni ministeri degli interni. In 2/3 giorni si organizzò tutto.

Il Regno delle Due Sicilie contava circa 10 milioni di abitanti, votarono appena un milione e mezzo circa, ma valse a decretare la sua fine.

Questi i risultati:

Napoli: 1.302.064 si, 10.302 no;

Sicilia: 432.053 si, 667 no!

Da allora il Sud aspetta di tornare ai livelli di vita pre union e la Sicilia che aveva lottato e si era illusa  per l’autonomia, si trovò ad essere ancora più periferica, ora che il nuovo stato comprendeva moltissimi altri territori.

Chi vuole istituire una giornata per la proclamazione del regno dei Savoia, si ricordasse anche del plebiscito

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