Le Zone Economiche Speciali per il Sud: un’opportunità o l’ennesimo libro dei sogni?

Cosa sono le ZES

Se ne parla da anni, eppure per molti le Zone Economiche Speciali (ZES) risultano ancora delle perfette sconosciute. Pensate da tempo, in un sussulto di operatività si ricorse addirittura ad un decreto legge per metterle in piedi.

Ma finora come tutte le leggi speciali per il Sud, da quelle post unità d’Italia, passando per la Cassa del Mezzogiorno, poco di concreto è stato fatto.
Introdotte in Italia nel 2017, attraverso il decreto-legge n° 91 del 20 giugno 2017, le Zone Economiche, ZES, possono essere istituite nelle regioni italiane meno sviluppate e in transizione individuate dalla normativa europea ( e ci volevano giusto gli europei per dire quali erano le zone disagiate italiane!): Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Sono aree destinatarie di specifiche agevolazioni fiscali e semplificazioni burocratiche, da realizzarsi intorno ad aree portuali che presentino le caratteristiche di porti di rilevanza strategica.
Il Regolamento recante l’istituzione di Zone Economiche Speciali è contenuto nel DPCM del 25 gennaio 2018.
Alla fine del 2018 arriva un altro Decreto legge( decreto-legge n° 135 del 14 dicembre 2018, e convertito in legge l’anno successivo( legge n° 12 dell’11 febbraio 2019), che prevede la riduzione di un terzo dei termini per alcuni procedimenti amministrativi: ambientali, autorizzazioni paesaggistiche, in materia edilizia, concessioni demaniali portuali e il dimezzamento dei tempi per autorizzazioni, licenze, permessi o concessioni che richiedono pareri, intese, e concerti di competenza di più Amministrazioni.
Ad aprile 2019 un nuovo decreto legge ( decreto-legge n° 34 del 30 aprile 2019, convertito in legge n° 58 del 28 giugno 2019), che prevede lo stanziamento di 300 milioni di euro per gli anni 2019-2020-2021 soldi che stanno ancora in attesa di essere spesi in carenza dei progetti.

Il Covid smuove le acque

Il Covip e gli effetti economici derivanti hanno dato una scossa di risveglio sicchè ad inizio 2022 a solo 5 anni circa del primo decreto legge urgente del 2017, risultano istituite l ( almeno sulla carta) le seguenti ZES:
Abruzzo
Calabria
Campania
Ionica Interregionale Puglia-Basilicata
Adriatica Interregionale Puglia-Molise
Sicilia Orientale
Sicilia Occidentale.

Cosicchè il 19 gennaio 2022 c’è stata una riunione di tutti i commissari delle aree ZES con la ministra competente per avviare un metodo di lavoro per le otto ZES meridionali attivate che “ da qui al 2026 devono attrarre investimenti, imprese, lavoro, benessere, allo scopo di costruire un nuovo destino per il Mezzogiorno: una grande piattaforma logistica al centro degli scambi commerciali e delle relazioni nel Mediterraneo“.
Se solo si realizzasse un quarto di quanto viene previsto, il Sud sarebbe rivoltato come un calzino e il 2027 potrebbe essere salutato come l’inizio di una nuova età dell’oro come quando approdò a Napoli Carlo di Borbone.
Per operare con sicurezza si sono presi addirittura in esame le esperienze fatte in Cina ed in Polonia, basta guardare il progetto elaborato dalla Regione Campania. Sono più di 400 pagine.

Non toglietemi le slides
I soliti compitini fatti dalle solite società di consulenza, queste profumatamente pagate, mica a onere zero come in genere si usa pudicamente adesso, farciti da seriose tabelle, grafici colorati, slides a profusione. Le slide sono indispensabili. Niente slides, niente convegni. Vanno forte anche da remoto. Verrebbe da dire: “datemi una slide e vi cambierò il mondo”. Tutto buono per seminari e convegni, anche se attualmente molto ridotti data la situazione pandemica attuale, che fortunatamente sembra in decrescita anche stavolta ( e che ci ha fregato nell’autunno inverno 2020 e 2021, ma questa volta speriamo che “fusse la vorta bbona” come diceva Nino Manfredi.

Un libro dei sogni?

Magari ci si sarebbe potuto puntare su pochi obiettivi fondamentali anziché su tutto lo scibile umano e lavorare sodo per realizzarli. In cinque sei anni in Italia al massimo si possono fare tre o quattro conferenze di servizi, stendere dei progetti di massima, discutere e/o combattere i vari comitati che avversano i singoli progetti e propongono miracolistiche soluzioni alternative.
Ma più che la Zes, forse ci conviene auspicare un intervento di Zeus!

https://www.agenziacoesione.gov.it/wp-content/uploads/2019/09/Piano-Strategico-Campania.pdf

I gioielli della corona dei Savoia e dei Borbone, è la dignità che fa la differenza

I Savoia rivogliono la bigiotteria

i gioielli rivendicati dai Savoia

Gli ex monarchi dell’ex Regno d’Italia, dopo circa 75 anni, in piena pandemia e mentre sono in corso le votazioni per eleggere il nuovo presidente della Repubblica, si sono ricordati ora di aver diritto alla restituzione dei “gioielli di dotazione della Corona del Regno” che Umberto II in partenza per l’esilio consegnò in custodia alla Banca d’Italia il 5 giugno 1946 e da allora sono rimasti chiusi nelle chiuse nelle cassette di sicurezza della banca. Non si può dire con altrettanta sicurezza dove siano i gioielli dei Borbone lasciati a Napoli nel 1860. La presunta corona dei Borbone Napoli, che appare sovente nei quadri e foto di epoca, è evaporata nel nulla. Probabilmente è stata sottratta assieme ad altri gioielli di Francesco II e inviati a Torino e da lì si sono perse le tracce. Sempre nel 1860, appena approdati a Napoli, i piemontesi stavano per rubare nuovamente le magnifiche porte di bronzo del Maschio Angioino, ma la rivolta dei napoletani accorsi sul luogo ne impedirono il furto. La prima volta che tentarono di portare via queste porte fu dopo la discesa del re di Francia Carlo VIII nel 1494. Il monarca le fece smontare e caricare sulle sue navi, ma mentre tornava in Francia nel 1495, fu assalito dalla flotta genovese che recuperò e restituì il bottino. Una delle porte, messe sulle fiancate delle navi fu colpita da una palla di cannone.

Una richiesta irricevibile
Come ricorda Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera del 22 gennaio 2022, “questo rigurgito rivendicativo dei Gioielli della corona da parte dei Savoia, corresponsabili di una guerra catastrofica, arriva mentre nuovi studi, nuove ricerche, nuovi libri riportano alla luce come migliaia e migliaia di ebrei vennero rapinati di tutto ciò che avevano, dalle case ai macinini da caffè, nel silenzio assoluto della casa allora regnante. Che non disse una parola sulle persecuzioni neppure dopo essersi messa in salvo e oggi batte cassa”. Mentre gli ebrei depredati non furono mai risarciti.
Tutti gli italiani si sono giustamente irritati di fronte alle richieste degli eredi del “Re Porco” come fu chiamato Vittorio Emanuele II dalla contessa di Castiglione, che fu la sua amante, oltre che amante di Napoleone III. Questo re, altrimenti conosciuto come “Re Galantuomo” dalla storiografia agiografica ufficiale, fu il principale responsabile dell’annessione di tutti gli Stati italiani preesistenti, sfruttando l’anelito all’unificazione dell’Italia delle classi intellettuali. Che si annessione si trattò lo dimostra il fatto che si guardò bene di far eleggere un’Assemblea Costituente e scrivere una nuova Costituzione e in conseguenza della quale, i nuovi cittadini persero molti diritti e benessere economico di cui godevano in precedenza.
Per non parlare di Vittorio Emanuele III, il “re sciaboletta che ha responsabilità forse ben maggiori.

Emanuele Filiberto il colpo finale sulla dinastia
Fortunatamente la personalità e l’indole dell’ultimo discendente per via diretta della dinastia, tal Emanuele Filiberto (ballerino, presentatore, spalla di Pupo a Sanremo, fondatore del micro-partito Realtà Italia e del camion-pizzeria californiano «Prince of Venice Food Truck»), ha sgombrato il campo di ogni possibile revanche e mentre c’è un corposo movimento neoborbonico, che tuttavia non mira alla ricostituzione del Regno delle Due Sicilie, ma a migliorare le cose del Sud, non c’è, fortunatamente un corrispondente movimento “neosabaudo”. Il sunnominato è rimasto sorpreso del mancato accoglimento della richiesta di restituzione ed ha dichiarato che “non si aspettava questo immotivato rifiuto essendo i beni di proprietà privata e non dello Stato Italiano e per questo adiranno legalmente per i riconoscimenti dei loro diritti, fino alla Corte Europea, se sarà necessario”.
Vedremo come andrà a finire ma c’è ampia materia per alimentare il trash e il kitsch dei media e dei social. Ma intanto non possiamo non tracciare un parallelismo sul diverso comportamento della dinastia dei Borbone Napoli che fu scacciata dal trono proprio dai Sabaudi e segnalatamente quello di Francesco II, detto di spregiativamente Franceschiello dai piemontesi e viceversa affettuosamente dai napoletani.

Francesco II abbandona il regno senza un ducato
Quando Francesco II il 7 settembre 1860 lasciò Napoli per andare a Gaeta e tentare l’ultima resistenza, lasciò nel caveau del Banco di Napoli il tesoro dello Stato, ma “convinto di tornare presto nella capitale: «dalle banche non ritirò i suoi depositi, dalla Reggia, più che opere d’arte e di valore venale, portò con sé oggetti di devozione e ricordi famigliari”( Gli ultimi Asburgo e gli ultimi Borbone in Italia – A. Archi Cappelli editore – Bologna 1965).
Successivamente i Sabaudi offrirono più volte all’ex re napoletano che versava in condizioni economiche disagiate, perché oltretutto non aveva costituito nessun deposito presso banche estere, la restituzione dei suoi averi personali, a condizione che rinunciasse ai suoi diritti sul trono di Napoli, richiesta che il sovrano respinse sempre sdegnosamente affermando che il suo onore “non era in vendita”.
Che fine hanno fatto quei ducati indebitamente sottratti dal Banco di Napoli? Nessuno lo sa, mentre gli arredi del palazzo reale di Napoli finirono nelle case dei conquistatores, a cominciare dal Generale Cialdini che si impossessò di numerosi candelabri d’argento e beni inestimabili.
Se restituzione vi deve essere, i Savoia restituiscano per prima e con i dovuti interessi i capitali indebitamente sottratti al popolo meridionale che ne è erede legittimo, in modo da poter contribuire, sia pure in maniera simbolica e mettere un tassello nella ricostruzione del Sud che per colpa dell’annessione del 1861 fu risprofondato nell’indigenza peggio che nel periodo del vicereame spagnolo!

La ricerca del pelo nell’uovo: le nuove norme sulle pensioni nella legge di bilancio 2022?

Le leggi borboniche erano comprensibili

La comprensibilità delle leggi è…. sempre più incomprensibile: E non si denigri più di tanto l’amministrazione borbonica che era più chiara.
L’amministrazione borbonica, senza computer smartphone ed intelligenza artificiale aveva lo stesso indice di produttività di alcune moderne amministrazioni pubbliche. Merito della chiarezza con cui erano redatte le leggi. Quelle borboniche potevano anche non piacere per i contenuti, e molte volte lo erano, ma erano chiare e comprensibili a tutti i soggetti di media cultura.

Fino a tutto il 1700 le norme giuridiche non solo quelle della Chiesa ma in quasi tutt’Italia erano redatte in latino. Nel neonato regno borbonico, nel 1738 Carlo III di Borbone dispose l’uso dell’italiano in luogo del latino o dello spagnolo negli atti governativi, con la motivazione che «essendo Sua Maestà re Italiano, debba usare la lingua italiana».

La conoscibilità e comprensibilità delle leggi
Da tempo, moltissimo tempo si discute ormai sulla conoscibilità e comprensibilità delle leggi. Sulla conoscibilità oggi non c’è problema, non bisogna compulsare polverosi archivi per trovare il provvedimento giusto. Basta una rapida ricerca su internet.

Invece sulla comprensibilità siamo ancora in alto mare: si fanno solenni giuramenti, promesse, disegni di legge, leggi addirittura approvate, ma poi per il sempre più convulso agire dei soggetti preposti all’assunzione delle decisioni e alla redazione dei provvedimenti normativi, ministri sottosegretari direttori generali, presidenti di qualche cosa, in primis quelli regionali, si fanno prendere la penna e ci si ritrova nero su bianco scritti criptici saldamente ancorati a linguaggi specialistici castali che solo gli addetti ai lavori sanno districare e a volte neppure loro.

Il problema dell’interpretazione delle leggi

In molti casi neppure gli autori della norma sanno ciò che avevano voluto effettivamente dire, oppure sapendolo hanno usato male le parole, oppure il testo è frutto di un compromesso di opposte esigenze politiche che si riverberano nell’incertezza lessicale. Da cui un fiorire di interpretazioni autentiche, letterarie e giudiziarie. Questo è il primo livello, poi seguono provvedimenti attuativi, i DPR, i decreti del Presidente della Repubblica o DPCM, decreti del Presidente del Consiglio, le circolari esplicative condivise fra i ministeri interessati, pareri del Consiglio di Stato, dell’Avvocatura dello Stato fino alla “spiegazione” suprema e definitiva della Corte Costituzionale.
Tutto questo si sarebbe potuto evitare, non solo e non tanto per tener fede al principio della certezza del diritto, ma per evitare dispendio di energie, dispendio economico, a ulteriore paralisi delle pubbliche amministrazioni. Certo ci andrebbero a rimettere gli avvocati specializzati, in ricorsi al Tar, gli eredi dei famosi “paglietta” napoletani, ma insomma l’intera azione pubblica sarebbe più fluida se al momento di scrivere si utilizzasse la parola giusta, si mettesse la virgola al posto che si era pensato.

La disavventura di Fra Martino

Sappiamo tutti come fra Martino perse la cappa, sorta di mantello, simbolo della carica di priore di un monastero.
E’ un modo di dire molto noto. La frase, sta a significare che un errore riguardante un particolare apparentemente di scarsa importanza comporta talvolta conseguenze disastrose.
Martino, padre guardiano di un convento, ambiva alla cappa, cioè alla nomina a priore. Quando, seppe che il padre generale della sua Congregazione sarebbe andato in visita nel suo convento, per mettersi in bella mostra agli occhi dell’illustre visitatore, pensò di scrivere sul portone del convento un bel motto: “Porta patens est. Nulli claudatur honesto”, ovvero: “La porta resti aperta. A nessuno onesto si chiuda”. Nella fretta, Martino così scrisse: “Porta patens est nulli. Claudatur honesto”, cioè “La porta non resti aperta a nessuno. Si chiuda all’onesto”.
Quando il superiore, giunto davanti al convento, lesse quella frase che gli impediva di entrare se ne andò infuriato. E fu così che fra Martino, per aver messo il punto dopo la parola Nulli, anzicchè prima, perse sia la stima del suo superiore sia la promozione cui agognava tanto.
Allora tanto per fare vedere che non ho perso il filo del discorso, andiamo sul concreto.
E’ stata pubblicata in Gazzetta ufficiale la legge di bilancio n.234/2021.
Contiene un sacco di cose, istituzione di Comitati, Cabine di Regie, progetti sul PRRN che non ho capito ancora cos’è in concreto ( ma tutti ne parlano bene, ora. Poi diranno che era inadeguato insufficiente e consimilia), spese a desta e a manca e, stando a quando dicono i giornali, alcune misure di modifica sulle pensioni.

I provvedimenti sulle pensioni nella legge di bilancio 2022
Nella nuova legge c’è l’abolizione della quota 100 e sostituzione con la quota 102, la proroga con ampliamento del numero delle categorie dell’Ape Sociale e eziandio la proroga dell’opzione donna, quella misura che in omaggio al principio della riduzione del gap previdenziale di genere, riduce mediamente l’assegno pensionistico delle nonne del 20/30%, perché il calcolo viene effettuato totalmente con il metodo contributivo.
Ora se voi leggete la legge da cima a fondo ( e ce ne vuole di coraggio), anche utilizzando la funzione “cerca” non troverete nessuna quota 102, né ape sociale, anche se scrivete anticipo pensionistico, né tampoco opzione donna.
Allora bisogna fare come i primi archeologi di fronte ai geroglifici egiziani. Un lavoro di ricerca e ricostruzione fra i combinati disposti, i richiami a provvedimenti che richiamano altri provvedimenti, inseguire le sostituzioni, le successive modifiche ed integrazioni (in codice: smi).
Per esempio l’istituzione di quota 102 per i 2022 e l’abolizione di quota 100 non è un’invenzione dei giornali, di cui giustamente bisogna sempre diffidare, ma esiste veramente. Solo che non troverete scritto quota 100 è abolita e ora ci vogliono due anni in più, bensì andando al comma 87 dell’art.1 della legge 234/2021 trovate scritto:

  1. Al decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, sono apportate le seguenti modificazioni:
    a) all’articolo 14, comma 1, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: « I requisiti di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui al primo periodo del presente comma sono determinati in 64 anni di età anagrafica e 38 anni di anzianità contributiva per i soggetti che maturano i medesimi requisiti nell’anno 2022.
    Ape sociale
  2. Le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 179, lettera d), della legge 11 dicembre 2016, n. 232, si applicano ai lavoratori dipendenti che svolgono le professioni indicate nell’allegato 3 annesso alla presente legge. Per gli operai edili, come indicati nel contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti delle imprese edili ed affini, per i ceramisti (classificazione Istat 6.3.2.1.2) e per i conduttori di impianti per la formatura di articoli in ceramica e terracotta (classificazione Istat 7.1.3.3) il requisito dell’anzianità contributiva di cui alla medesima lettera d) è di almeno 32 anni.

Opzione donna

  1. All’articolo 16 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, al comma 1, le parole: « 31 dicembre 2020 » sono sostituite dalle seguenti: « 31 dicembre 2021 » e, al comma 3, le parole: « entro il 28 febbraio 2021 » sono sostituite dalle seguenti: « entro il 28 febbraio 2022 ».
    Si capisce subito che riguarda una donna che ha 58 anni di età e 35 di contributi e vuole andare in pensione qualche anno prima.

Tutto chiaro, no?

Poi dulcis in fundo ci sono alcune disposizioni che in altri paesi risolvono con il Crowdfunding , due perle perse nel mare magno degli oltre 1000 commi che compongono la legge di bilancio 2022:

Il comma 896 autorizza un contributo di 350.000 euro per l’anno 2022 in favore
della Fondazione Anna Milanese al fine di garantire assistenza e protezione alle ragazze povere ed orfane dell’Etiopia, anche al fine di promuovere l’istruzione e la cultura nella popolazione etiopica.
Per carità niente in contrario e siamo tutti a favore delle povere orfanelle, ma è un esempio, come pure la disposizione del comma 904, che in occasione dell’ottantesimo anniversario della nascita della Democrazia Cristiana, autorizza la spesa di € 200.000 per il 2022 a favore della Fondazione De Gasperi, “ai fini del programma straordinario di valorizzazione dell’archivio degasperiano inedito, e della promozione di ricerche, seminari e convegni da svolgere presso scuole superiori, università e amministrazioni locali.”

Napoli stanotte: Considerazioni borboniche sulla trasmissione

La trasmissione natalizia del bravo divulgatore televisivo Alberto Angela, di Piero come si diceva una volta, prima che l’obbligo dell’indicazione della paternità e maternità fosse abolita dai documenti anagrafici, è affascinante e va giù tutta d’un fiato. La cancellazione di quest’obbligo avvenne con la riforma del diritto di famiglia del 1975 a tutela di coloro che non potevano vantare discendenze illustri ed erano bollati col triste marchio di N.N, abbreviazione latina di: (pater ) Non notum che marchiava a vita qualsiasi giovane di belle speranze e che spingeva anche all’emigrazione.
Chi non ricorda la celebre poesia di Eduardo De Filippo, “Vincenzo De Pretore” dove si racconta la tragedia di un figlio di padre ignoto. Ed Edoardo lo fa con la maestria dolorosa di chi è stato personalmente colpito da questo marchio d’infamia. Disgrazia doppia per il drammaturgo napoletano, perchè suo padre Eduardo Scarpetta, era sconosciuto per l’anagrafe ma conosciutissimo in tutto il mondo anche per la sua famiglia allargata ante litteram.
Viceversa, chi invece poteva vantare una sfolgorante discendenza, l a esibiva ad ogni pié sospinto. Basta ricordare il marchese de La Livella di Totò che ebbe natali illustri, nobilissimi e perfetti, da fare invidia a Principi Reali … ma stiamo andando fuori tema.

“Stanotte a Napoli” la trasmissione televisiva andata in onda su Rai uno a Natale, è stata coronata da un enorme successo: i dati dell’Auditel parlano di più di 4 milioni di telespettatori con uno share del 25%. Ormai anche le trasmissioni del servizio pubblico, da quando è in campo Mediaset e più che mai ora con le piattaforme come Netflix, vengono pensate e realizzate solo in funzione di questi due elementi, cosa che a un servizio che si regge ancora su un abbonamento forzoso, non dovrebbe poi interessare più di tanto. Comunque la trasmissione si può inserire facilmente in quelle che sono considerate di divulgazione di modelli culturali e quindi fanno parte ad un titolo della televisione pubblica. E’ una dispensa dei Fratelli Fabbri editori fatta in televisione. I Fratelli Fabbri Editori furono i primi a lanciarsi con successo nella divulgazione di massa con la pubblicazione di illustratissime dispense a colori con poco testo di facile comprensione.

Pastori a San Gregorio Armeno

D’altra parte considerato il giorno in cui è stata trasmessa, Natale non poteva essere altrimenti: la solita cartolina su Napoli con i suoi collaudati stereotipi: il mare la bellezza le realizzazioni dei primi re Borbone la musica e le canzoni, la storia della Sirena Partenope, Pompei ed Ercolano ed infine i presepi di Via San Gregorio Armeno ed una capatina misticheggiante nel Cimitero delle Fontanelle dove sono sepolti i defunti della grande peste del 1656, il culto ed il miracolo di San Gennaro ed il suo tesoro, la Cantata dei Pastori e Natale in Casa Cupiello. Unico guizzo verace quando è stato presentato il Monastero di Santa Chiara e la canzone cantata magistralmente da Ranieri Massimo. E’ una canzone dell’immediato dopoguerra dove Napoli era distrutta fisicamente e moralmente e sembrava che non si dovesse più riprendere.

Angela già altre volte in simili trasmissione mi pare “Quark” o “Ulisse” aveva evidenziato come il regno duo siciliano non era un regno tutto destruente cioè distruttivo ma un regno costruttivo che ha arrecato benefici alla popolazione.
Prudentemente lo stesso Angela ha esordito sottolineando come Napoli in effetti è una realtà con molte ombre e luci mettendo le mani avanti sulle probabili accuse di pura oleografica televisiva. Bisogna riconoscere che lo sforzo non è stato da poco anche in considerazione che è appena terminata una serie apologetica televisiva su un aspetto non proprio idilliaco della vita partenopea.
I borbonici di tutte le categorie, reazionari, progressisti e quelli inconsciamente borbonici eccetera che hanno visto Stanotte a Napoli, non hanno che riapprezzato quelle realizzazioni fatte in un contesto storico che era quello stagnante dopo il Vicereame spagnolo e quello non meno predatorio dell’impero austroungarico. Ma la crescita di Napoli sembra di essersi fermata lì, come illustrava un gigionesco Giancarlo Giannini, in un improbabile Carlo III in smoking in uso solo dall’inizio del 1900.
In effetti sorvolando sugli interventi di matrice favorevole alla popolazione a Napoli, lasciando da parte la mitica ferrovia, come le fognature l’illuminazione pubblica gas il telegrafo elettrico il risanamento dei vasci (bassi: abitazioni monolocale) eccetera, sembra che dal periodo dei Borboni ad oggi l’unica cosa positiva che c’è e quello della mostra lì dei presepi napoletani a San Gregorio Armeno come se quella fosse l’unico volano di sviluppo della società.
La trasmissione è stata una mano santa per i siti riprodotti in tivù. Quando Angela presenta la galleria Umberto I, rimessa a nuovo per l’occasione si può gridare al miracolo perché si trova in uno stato di degrado indicibile che ha causato anche qualche incidente mortale e dove non si può addobbare un albero di Natale senza che venga distrutto o rubato. E’ come quando una personalità illustrissima decide di visitare qualche città o borgo sperduto. Allora lavori che non si son potuti fare in anni, vengono fatti subito e questo è uno dei pochi vantaggi concreti ( e di poca durata) che ne hanno i cittadini da queste kermesse.
La trasmissione salta pari pari tutta l’epopea post unificazione d’Italia come sappiamo abbondantemente, non solo salta il periodo in cui furono represse nel sangue le aspettative del popolo napoletano che da quella unità si aspettava qualcosa di più ma si disperse quel patrimonio di risorse umane che a favore o contro o il trono borbonico si era nato, cresciuto e consolidato. L’economia ridivenne languente ed i giovani e gli elementi agili come quelli di oggi, lasciarono il sud ed emigrarono a nord, mentre i contadini sopravvissuti ai cannoni di Bava Beccaris presero la volta delle Americhe.
Oggi i nipoti di quegli esodati dal sud al nord neppure ricordano, mentre i più anziani con nostalgia e luccicore agli occhi magari dalle fredde città del Nord, parlano di un’età dell’oro che sarebbe stato il regno meridionale e la sua capitale.

Tutto bello, magnifico, rutilante!
Il problema è di quelli che a Napoli ci stanno e ci devono vivere e che pensano che qualcuno ( esterno) debba (ri)costruire una città che sia non solo degna di questo glorioso passato ma che esso deve essere un punto di partenza di un seme fertile per un nuovo altrettanto degno futuro. Ma una nuova Partenope non può essere un qualcosa di simile al parco che doveva riqualificare Napoli il giorno dopo che l’Ilva di Bagnoli fu chiusa fra danze e canti e sogni ed anche progetti concreti, per carità. Ma finite le danze i canti e i sogni, è rimasto poco forse la speranza che non è una cosa “data” esterna a chi spera, ma interna che devono dare la capacità come dicevano gli antichi filosofi greci di Napoli, di poter passare dalla potenza all’atto. Pare facile!

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