La povertà di Napoli è senza rimedio?

la riedizione del libro “La fontana rotta” fa riscoprire la Napoli dei poveri

In occasione della recente ripubblicazione, alla fine del 2021, della sua ricerca sulla “cultura della povertà“, raccolta in un bellissimo libro “La Fontana Rotta“, riedito dalla Einaudi con una nuova traduzione, esce da un immeritato oblio la figura dell’antropologo Thomas Belmonte, italo americano, ma napoletano di adozione. Si innamorò talmente la sua nuova “casa”, che quando morì, giovanissimo di Aids a solo 49 anni, volle che le sue ceneri fossero sparse nel Golfo di Napoli.
Thomas Belmonte (1946-1995) venne due volte a Napoli, nel 1974 e nel 1983. La seconda volta la trova tragicamente cambiata, la miseria è rimasta la stessa, solo che ora Scampia è a pieno regime e al posto della speranza c’è una diffusa disperazione.
Di origini italiane – i nonni erano di Giovinazzo un comune in provincia di Bari, il giovane antropologo americano quando arriva a Napoli la prima volta nel ’74, si stabilisce quasi subito in un appartamento in affitto a palazzo Amendola, un vecchio edificio risalente al millecinquecento, ancora in piedi, situato nei pressi il vicolo di Sedile di Porto, in pieno centro storico. Lì c’è un’antica fontana irrimediabilmente fuori uso, conosciuta come la Fontana del Re, una fontana rotta insomma, da cui il titolo del libro, simbolo della decadenza disfunzionale di Napoli.
I sindaci progressisti da Valenzi a Bassolino passando per la Jervolino ,
poco hanno potuto fare per cambiare senso di marcia, così il loro tentativo di rivoluzione si scioglie in effimero maquillage. Gli ostacoli che hanno trovato sul loro cammino sono macigni di tutti i tipi e provenienze, ancora esistenti, che hanno ostruito ogni rinascita, amministrativa ed etica.

Le vicende degli abitanti di del quartiere della fontana del Re, assolutamente reali, costituiscono il fulcro della ricerca del suo dottorato. Belmonte rimane a Napoli per un anno, tornando a più riprese negli anni successivi. Il suo libro esce negli Stati Uniti nel ’79. Dieci anni dopo sarà riedito con un’appendice che comprende il resoconto del suo viaggio di ritorno nell’83.

La Fontana Rotta verrà tradotto in italiano solo nel ’97, diciotto anni dopo la prima edizione statunitense, due anni dopo la morte dell’autore.
Il libro ebbe un inaspettato successo negli Usa tale da essere recensito ben due volte dal New York Times e solo molto più tardi arrivò a Napoli. Belmondo diventato docente alla Hofstra University di New York, venne perfino candidato per il premio Pulitzer.
Come detto, nel 1983 ritornò nella città partenopea. Lo scopo del suo ritorno fu quello di continuare la ricerca per conto della fondazione National Endowment for the Humanities. Quando torna a Napoli nell’83, sia l’autore che la città sono molto cambiati. Lo scenario che ritrova, segnato dalle conseguenze del terremoto, è ancora più degradato rispetto al periodo della sua prima ricerca, anche se, in un’intervista al Mattino del novembre ’83, Belmonte comunque elogia la capacità dei napoletani di superare le difficoltà, “di difendere la loro umanità, il che testimonia la vitalità di una cultura, che non è semplicemente di povertà, ma al contrario di grande ricchezza umana”. Ma sono lontani i tempi in cui si sarebbe potuto incontrare un povero, doppiamente sfortunato perché inabile, essendo storpio, ma animato da una forza e serenità interiore che gli scenari del 1983 non consentivano più. Qui si aggiunge una nota di colore, a corredo dell’intervista viene pubblicata una foto dello scrittore. Quando gli abitanti di Via del Sedile del Porto vedono la foto, riconoscendolo, esclamano in automatico: “Hanno arrestato Tommaso!

Lo Storpio – José de Ribera 1642

Lo Storpio
Come dimenticare il celebre dipinto di Jose de Ribera, il pittore caravaggesco del 1600, chiamato lo “Storpio”. Rappresenta un giovanissimo mendicante, storpio alla mano e al piede; che reggendosi con una stampella chiede l’elemosina. Questo quadro è insieme simbolo della più estrema indigenza unita (forse) ad una estrema serenità d’animo. Anche i colori sono luminosi su uno sfondo di cielo sereno. Anche nell’ultimo gradino della scala sociale e della sfortuna fisica, pare dire l’autore, può annidarsi un soffio di speranza.

La ricerca sociologica

Nel 1974 – scrive – come studente laureato alla Columbia mi era stato insegnato di fare domande su altri, ma mai a chiedermi se avessi una ragione plausibile o il diritto di porre innanzitutto le domande e in secondo luogo di pubblicare le risposte. […] Quando ritornai a Napoli non ero più lo studente idealista di dieci anni prima, sicuro che i miei amici avrebbero apprezzato la mia ricerca per i suoi argomenti e per gli stessi motivi per cui l’avevano apprezzata i miei colleghi e i lettori. In realtà sapevo che scrivendo La fontana rotta avevo commesso un tradimento, ma speravo di farla di nuovo franca”.

Il mondo che descrive Belmonte dal suo osservatorio non è quello degli emarginati che cercano un riscatto sociale ed uscire dall’habitat di desolazione che ha plasmato ogni circuito comportamentale in sostanza estraneo al cambiamento , alle lotte per il lavoro, per la casa, per i servizi sociali, che si fanno avanti in altri quartieri fin negli anni Settanta. I poveri che descrive Belmonte nascono poveri e non sperano di sollevarsi da tale condizione. La precarietà economica ne determina ogni passo. Dominati dal potere della ricchezza e della forza, in politica sono cinici e individualisti. Si uniscono per lottare con i loro simili solo in modo saltuario, e secondo umori imprevedibili. Il loro rapporto con le istituzioni è fondato sulla diffidenza e sul parassitismo ( cfr Luca Rossomando napolimonitor.it).

La povertà di Napoli è senza rimedio?

L’italiano di Thomas
Quando Thomas prese possesso della sua abitazione nel quartiere si diffuse subito la voce di un tipo strano che era venuto ad abitarvi. Poteva essere chiunque, anche un poliziotto. Immediatamente ci furono dei sopralluoghi da parte di alcuni che entrarono direttamente dal balcone in casa. Ma saputo che era uno studente italo americano, anche se di origini pugliese, ma sempre un suddito del Regno ( dei Borbone non dei sabaudi) fu immediatamente accolto e “protetto”. Nonostante la sua origine non conosceva che poche e stentate parole italiane e credendo di imparare l’italiano, in realtà imparò il napoletano con un forte accento partenopeo degli abitanti dei bassi.

Thomas diventa Tommasino
Tommaso Belmondo subito ribattezzato Tommasino o Tom, nella sua prefazione della celebre ricerca poi trasformata in un libro, divenuto celebre con il nome la “Fontana rotta” afferma: “ tutto quanto so a proposito dei ceti bassi di Napoli l’ho acquisito vivendo insieme a loro. Ho imparato a conoscerli poco a poco in modo discontinuo. A mano a mano che hanno avuto fiducia in me mi hanno permesso di sapere di più su di loro: non cercavo di andare a caccia di maggiori informazioni in modo metodologicamente ben strutturato,quanto piuttosto di tenere gli occhi aperti e aspettare che queste informazioni arrivassero a me mentre mi facevo strada in quello che era fondamentalmente un ambiente estraneo”.
Nella prima edizione del libro curata dalla Casa Editrice Meltemi nel 1997, Domenico Scarfoglio afferma, fra l’altro, nella sua prefazione che la vita del napoletano povero è il risultato di una negoziazione continua tra opposti, un compromesso dettato da una disperata volontà di vita. Dalla frequentazione di Stefano ed Elena e la loro lotta per crescere la numerosa prole, ben sei figli, afferra gli aspetti portanti della vita del quartiere e il rapporto del quartiere con la città, si strutturano su queste basi su questa cultura segnalata dalla forza e della astuzia. L’idea di un ordine naturale e misterioso biologico si affaccia alla mente a proposito di un popolo comunque vivo. “Nel napoletano che passa per disordinato e tumultuoso per eccellenza nel fondo c’è una terribile prevalenza del più forte, del più ricco del più astuto, c’è un rispetto senza ipocrisia senza attenuazione per chi detiene la forza e la ricchezza”.
Oltre che alla osservazione dello svolgimento della vita contemporanea del sottoproletariato napoletano, Belmonte cerca di conoscerne anche la prospettiva storica culturale e per questo fu un lettore assiduo di tutti gli scrittori napoletani per attingere dei riscontri a quello che lui notava con il lavoro sul campo . Suoi autori preferiti furono specialmente Domenico Rea e il grande e misconosciuto ai più, F. Mastriani, quello della “Cieca di Sorrento” per intenderci e del “I Misteri di Napoli”, che invito a leggere, interfaccia de “I Miserabili” di V. Hugo.
Inoltre è da ricordare che il 73 anno, l’anno precedente la ricerca dell’antropologo, fu l’anno in cui scoppiò a Napoli l’epidemia di colera con le connesse vicissitudini e, nonostante che il posto dove abitasse fosse uno dei più “fragili” come si direbbe oggi, i residenti di Via Sedile di Porto, in quell’occasione si erano dimostrati, come già avevano fatto in precedenti epidemie, che nel meridione non sono mai mancate, tutta la loro predisposizione a seguire quelle precauzioni sanitarie che oggi vengono in parte contestate per l’ epidemia del coronavirus, in maniera non proprio pacifiche.

Belmonte riesce a restituire nelle sue sottigliezze attraverso il rigore evocativo e la precisione poetica della sua scrittura:
Viene il venditore di scope. Sembra un goffo uccello tropicale, con il suo carico di plastica brillante fatto di secchi azzurri e scope gialle e rosa. Il tramonto è annunciato dall’insistente fischio del lattaio e dalle sirene delle voci materne che richiamano i bambini a casa.”

Thomas Belmonte morì a New York il 22 giugno del 1995. Il necrologio uscito sul New York Times, portava il titolo: Thomas Belmonte, 48, is Dead. Wrote of Lives of Naples’s Poor (Thomas Belmonte, di anni 48 è morto. Scrisse un libro sulla vita dei Poveri di Napoli – cfr iltascabile.com )

(cfr anche gliasiniinrivista.org).

Le Zone Economiche Speciali per il Sud: un’opportunità o l’ennesimo libro dei sogni?

Cosa sono le ZES

Se ne parla da anni, eppure per molti le Zone Economiche Speciali (ZES) risultano ancora delle perfette sconosciute. Pensate da tempo, in un sussulto di operatività si ricorse addirittura ad un decreto legge per metterle in piedi.

Ma finora come tutte le leggi speciali per il Sud, da quelle post unità d’Italia, passando per la Cassa del Mezzogiorno, poco di concreto è stato fatto.
Introdotte in Italia nel 2017, attraverso il decreto-legge n° 91 del 20 giugno 2017, le Zone Economiche, ZES, possono essere istituite nelle regioni italiane meno sviluppate e in transizione individuate dalla normativa europea ( e ci volevano giusto gli europei per dire quali erano le zone disagiate italiane!): Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Sono aree destinatarie di specifiche agevolazioni fiscali e semplificazioni burocratiche, da realizzarsi intorno ad aree portuali che presentino le caratteristiche di porti di rilevanza strategica.
Il Regolamento recante l’istituzione di Zone Economiche Speciali è contenuto nel DPCM del 25 gennaio 2018.
Alla fine del 2018 arriva un altro Decreto legge( decreto-legge n° 135 del 14 dicembre 2018, e convertito in legge l’anno successivo( legge n° 12 dell’11 febbraio 2019), che prevede la riduzione di un terzo dei termini per alcuni procedimenti amministrativi: ambientali, autorizzazioni paesaggistiche, in materia edilizia, concessioni demaniali portuali e il dimezzamento dei tempi per autorizzazioni, licenze, permessi o concessioni che richiedono pareri, intese, e concerti di competenza di più Amministrazioni.
Ad aprile 2019 un nuovo decreto legge ( decreto-legge n° 34 del 30 aprile 2019, convertito in legge n° 58 del 28 giugno 2019), che prevede lo stanziamento di 300 milioni di euro per gli anni 2019-2020-2021 soldi che stanno ancora in attesa di essere spesi in carenza dei progetti.

Il Covid smuove le acque

Il Covip e gli effetti economici derivanti hanno dato una scossa di risveglio sicchè ad inizio 2022 a solo 5 anni circa del primo decreto legge urgente del 2017, risultano istituite l ( almeno sulla carta) le seguenti ZES:
Abruzzo
Calabria
Campania
Ionica Interregionale Puglia-Basilicata
Adriatica Interregionale Puglia-Molise
Sicilia Orientale
Sicilia Occidentale.

Cosicchè il 19 gennaio 2022 c’è stata una riunione di tutti i commissari delle aree ZES con la ministra competente per avviare un metodo di lavoro per le otto ZES meridionali attivate che “ da qui al 2026 devono attrarre investimenti, imprese, lavoro, benessere, allo scopo di costruire un nuovo destino per il Mezzogiorno: una grande piattaforma logistica al centro degli scambi commerciali e delle relazioni nel Mediterraneo“.
Se solo si realizzasse un quarto di quanto viene previsto, il Sud sarebbe rivoltato come un calzino e il 2027 potrebbe essere salutato come l’inizio di una nuova età dell’oro come quando approdò a Napoli Carlo di Borbone.
Per operare con sicurezza si sono presi addirittura in esame le esperienze fatte in Cina ed in Polonia, basta guardare il progetto elaborato dalla Regione Campania. Sono più di 400 pagine.

Non toglietemi le slides
I soliti compitini fatti dalle solite società di consulenza, queste profumatamente pagate, mica a onere zero come in genere si usa pudicamente adesso, farciti da seriose tabelle, grafici colorati, slides a profusione. Le slide sono indispensabili. Niente slides, niente convegni. Vanno forte anche da remoto. Verrebbe da dire: “datemi una slide e vi cambierò il mondo”. Tutto buono per seminari e convegni, anche se attualmente molto ridotti data la situazione pandemica attuale, che fortunatamente sembra in decrescita anche stavolta ( e che ci ha fregato nell’autunno inverno 2020 e 2021, ma questa volta speriamo che “fusse la vorta bbona” come diceva Nino Manfredi.

Un libro dei sogni?

Magari ci si sarebbe potuto puntare su pochi obiettivi fondamentali anziché su tutto lo scibile umano e lavorare sodo per realizzarli. In cinque sei anni in Italia al massimo si possono fare tre o quattro conferenze di servizi, stendere dei progetti di massima, discutere e/o combattere i vari comitati che avversano i singoli progetti e propongono miracolistiche soluzioni alternative.
Ma più che la Zes, forse ci conviene auspicare un intervento di Zeus!

https://www.agenziacoesione.gov.it/wp-content/uploads/2019/09/Piano-Strategico-Campania.pdf

I gioielli della corona dei Savoia e dei Borbone, è la dignità che fa la differenza

I Savoia rivogliono la bigiotteria

i gioielli rivendicati dai Savoia

Gli ex monarchi dell’ex Regno d’Italia, dopo circa 75 anni, in piena pandemia e mentre sono in corso le votazioni per eleggere il nuovo presidente della Repubblica, si sono ricordati ora di aver diritto alla restituzione dei “gioielli di dotazione della Corona del Regno” che Umberto II in partenza per l’esilio consegnò in custodia alla Banca d’Italia il 5 giugno 1946 e da allora sono rimasti chiusi nelle chiuse nelle cassette di sicurezza della banca. Non si può dire con altrettanta sicurezza dove siano i gioielli dei Borbone lasciati a Napoli nel 1860. La presunta corona dei Borbone Napoli, che appare sovente nei quadri e foto di epoca, è evaporata nel nulla. Probabilmente è stata sottratta assieme ad altri gioielli di Francesco II e inviati a Torino e da lì si sono perse le tracce. Sempre nel 1860, appena approdati a Napoli, i piemontesi stavano per rubare nuovamente le magnifiche porte di bronzo del Maschio Angioino, ma la rivolta dei napoletani accorsi sul luogo ne impedirono il furto. La prima volta che tentarono di portare via queste porte fu dopo la discesa del re di Francia Carlo VIII nel 1494. Il monarca le fece smontare e caricare sulle sue navi, ma mentre tornava in Francia nel 1495, fu assalito dalla flotta genovese che recuperò e restituì il bottino. Una delle porte, messe sulle fiancate delle navi fu colpita da una palla di cannone.

Una richiesta irricevibile
Come ricorda Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera del 22 gennaio 2022, “questo rigurgito rivendicativo dei Gioielli della corona da parte dei Savoia, corresponsabili di una guerra catastrofica, arriva mentre nuovi studi, nuove ricerche, nuovi libri riportano alla luce come migliaia e migliaia di ebrei vennero rapinati di tutto ciò che avevano, dalle case ai macinini da caffè, nel silenzio assoluto della casa allora regnante. Che non disse una parola sulle persecuzioni neppure dopo essersi messa in salvo e oggi batte cassa”. Mentre gli ebrei depredati non furono mai risarciti.
Tutti gli italiani si sono giustamente irritati di fronte alle richieste degli eredi del “Re Porco” come fu chiamato Vittorio Emanuele II dalla contessa di Castiglione, che fu la sua amante, oltre che amante di Napoleone III. Questo re, altrimenti conosciuto come “Re Galantuomo” dalla storiografia agiografica ufficiale, fu il principale responsabile dell’annessione di tutti gli Stati italiani preesistenti, sfruttando l’anelito all’unificazione dell’Italia delle classi intellettuali. Che si annessione si trattò lo dimostra il fatto che si guardò bene di far eleggere un’Assemblea Costituente e scrivere una nuova Costituzione e in conseguenza della quale, i nuovi cittadini persero molti diritti e benessere economico di cui godevano in precedenza.
Per non parlare di Vittorio Emanuele III, il “re sciaboletta che ha responsabilità forse ben maggiori.

Emanuele Filiberto il colpo finale sulla dinastia
Fortunatamente la personalità e l’indole dell’ultimo discendente per via diretta della dinastia, tal Emanuele Filiberto (ballerino, presentatore, spalla di Pupo a Sanremo, fondatore del micro-partito Realtà Italia e del camion-pizzeria californiano «Prince of Venice Food Truck»), ha sgombrato il campo di ogni possibile revanche e mentre c’è un corposo movimento neoborbonico, che tuttavia non mira alla ricostituzione del Regno delle Due Sicilie, ma a migliorare le cose del Sud, non c’è, fortunatamente un corrispondente movimento “neosabaudo”. Il sunnominato è rimasto sorpreso del mancato accoglimento della richiesta di restituzione ed ha dichiarato che “non si aspettava questo immotivato rifiuto essendo i beni di proprietà privata e non dello Stato Italiano e per questo adiranno legalmente per i riconoscimenti dei loro diritti, fino alla Corte Europea, se sarà necessario”.
Vedremo come andrà a finire ma c’è ampia materia per alimentare il trash e il kitsch dei media e dei social. Ma intanto non possiamo non tracciare un parallelismo sul diverso comportamento della dinastia dei Borbone Napoli che fu scacciata dal trono proprio dai Sabaudi e segnalatamente quello di Francesco II, detto di spregiativamente Franceschiello dai piemontesi e viceversa affettuosamente dai napoletani.

Francesco II abbandona il regno senza un ducato
Quando Francesco II il 7 settembre 1860 lasciò Napoli per andare a Gaeta e tentare l’ultima resistenza, lasciò nel caveau del Banco di Napoli il tesoro dello Stato, ma “convinto di tornare presto nella capitale: «dalle banche non ritirò i suoi depositi, dalla Reggia, più che opere d’arte e di valore venale, portò con sé oggetti di devozione e ricordi famigliari”( Gli ultimi Asburgo e gli ultimi Borbone in Italia – A. Archi Cappelli editore – Bologna 1965).
Successivamente i Sabaudi offrirono più volte all’ex re napoletano che versava in condizioni economiche disagiate, perché oltretutto non aveva costituito nessun deposito presso banche estere, la restituzione dei suoi averi personali, a condizione che rinunciasse ai suoi diritti sul trono di Napoli, richiesta che il sovrano respinse sempre sdegnosamente affermando che il suo onore “non era in vendita”.
Che fine hanno fatto quei ducati indebitamente sottratti dal Banco di Napoli? Nessuno lo sa, mentre gli arredi del palazzo reale di Napoli finirono nelle case dei conquistatores, a cominciare dal Generale Cialdini che si impossessò di numerosi candelabri d’argento e beni inestimabili.
Se restituzione vi deve essere, i Savoia restituiscano per prima e con i dovuti interessi i capitali indebitamente sottratti al popolo meridionale che ne è erede legittimo, in modo da poter contribuire, sia pure in maniera simbolica e mettere un tassello nella ricostruzione del Sud che per colpa dell’annessione del 1861 fu risprofondato nell’indigenza peggio che nel periodo del vicereame spagnolo!

La ricerca del pelo nell’uovo: le nuove norme sulle pensioni nella legge di bilancio 2022?

Le leggi borboniche erano comprensibili

La comprensibilità delle leggi è…. sempre più incomprensibile: E non si denigri più di tanto l’amministrazione borbonica che era più chiara.
L’amministrazione borbonica, senza computer smartphone ed intelligenza artificiale aveva lo stesso indice di produttività di alcune moderne amministrazioni pubbliche. Merito della chiarezza con cui erano redatte le leggi. Quelle borboniche potevano anche non piacere per i contenuti, e molte volte lo erano, ma erano chiare e comprensibili a tutti i soggetti di media cultura.

Fino a tutto il 1700 le norme giuridiche non solo quelle della Chiesa ma in quasi tutt’Italia erano redatte in latino. Nel neonato regno borbonico, nel 1738 Carlo III di Borbone dispose l’uso dell’italiano in luogo del latino o dello spagnolo negli atti governativi, con la motivazione che «essendo Sua Maestà re Italiano, debba usare la lingua italiana».

La conoscibilità e comprensibilità delle leggi
Da tempo, moltissimo tempo si discute ormai sulla conoscibilità e comprensibilità delle leggi. Sulla conoscibilità oggi non c’è problema, non bisogna compulsare polverosi archivi per trovare il provvedimento giusto. Basta una rapida ricerca su internet.

Invece sulla comprensibilità siamo ancora in alto mare: si fanno solenni giuramenti, promesse, disegni di legge, leggi addirittura approvate, ma poi per il sempre più convulso agire dei soggetti preposti all’assunzione delle decisioni e alla redazione dei provvedimenti normativi, ministri sottosegretari direttori generali, presidenti di qualche cosa, in primis quelli regionali, si fanno prendere la penna e ci si ritrova nero su bianco scritti criptici saldamente ancorati a linguaggi specialistici castali che solo gli addetti ai lavori sanno districare e a volte neppure loro.

Il problema dell’interpretazione delle leggi

In molti casi neppure gli autori della norma sanno ciò che avevano voluto effettivamente dire, oppure sapendolo hanno usato male le parole, oppure il testo è frutto di un compromesso di opposte esigenze politiche che si riverberano nell’incertezza lessicale. Da cui un fiorire di interpretazioni autentiche, letterarie e giudiziarie. Questo è il primo livello, poi seguono provvedimenti attuativi, i DPR, i decreti del Presidente della Repubblica o DPCM, decreti del Presidente del Consiglio, le circolari esplicative condivise fra i ministeri interessati, pareri del Consiglio di Stato, dell’Avvocatura dello Stato fino alla “spiegazione” suprema e definitiva della Corte Costituzionale.
Tutto questo si sarebbe potuto evitare, non solo e non tanto per tener fede al principio della certezza del diritto, ma per evitare dispendio di energie, dispendio economico, a ulteriore paralisi delle pubbliche amministrazioni. Certo ci andrebbero a rimettere gli avvocati specializzati, in ricorsi al Tar, gli eredi dei famosi “paglietta” napoletani, ma insomma l’intera azione pubblica sarebbe più fluida se al momento di scrivere si utilizzasse la parola giusta, si mettesse la virgola al posto che si era pensato.

La disavventura di Fra Martino

Sappiamo tutti come fra Martino perse la cappa, sorta di mantello, simbolo della carica di priore di un monastero.
E’ un modo di dire molto noto. La frase, sta a significare che un errore riguardante un particolare apparentemente di scarsa importanza comporta talvolta conseguenze disastrose.
Martino, padre guardiano di un convento, ambiva alla cappa, cioè alla nomina a priore. Quando, seppe che il padre generale della sua Congregazione sarebbe andato in visita nel suo convento, per mettersi in bella mostra agli occhi dell’illustre visitatore, pensò di scrivere sul portone del convento un bel motto: “Porta patens est. Nulli claudatur honesto”, ovvero: “La porta resti aperta. A nessuno onesto si chiuda”. Nella fretta, Martino così scrisse: “Porta patens est nulli. Claudatur honesto”, cioè “La porta non resti aperta a nessuno. Si chiuda all’onesto”.
Quando il superiore, giunto davanti al convento, lesse quella frase che gli impediva di entrare se ne andò infuriato. E fu così che fra Martino, per aver messo il punto dopo la parola Nulli, anzicchè prima, perse sia la stima del suo superiore sia la promozione cui agognava tanto.
Allora tanto per fare vedere che non ho perso il filo del discorso, andiamo sul concreto.
E’ stata pubblicata in Gazzetta ufficiale la legge di bilancio n.234/2021.
Contiene un sacco di cose, istituzione di Comitati, Cabine di Regie, progetti sul PRRN che non ho capito ancora cos’è in concreto ( ma tutti ne parlano bene, ora. Poi diranno che era inadeguato insufficiente e consimilia), spese a desta e a manca e, stando a quando dicono i giornali, alcune misure di modifica sulle pensioni.

I provvedimenti sulle pensioni nella legge di bilancio 2022
Nella nuova legge c’è l’abolizione della quota 100 e sostituzione con la quota 102, la proroga con ampliamento del numero delle categorie dell’Ape Sociale e eziandio la proroga dell’opzione donna, quella misura che in omaggio al principio della riduzione del gap previdenziale di genere, riduce mediamente l’assegno pensionistico delle nonne del 20/30%, perché il calcolo viene effettuato totalmente con il metodo contributivo.
Ora se voi leggete la legge da cima a fondo ( e ce ne vuole di coraggio), anche utilizzando la funzione “cerca” non troverete nessuna quota 102, né ape sociale, anche se scrivete anticipo pensionistico, né tampoco opzione donna.
Allora bisogna fare come i primi archeologi di fronte ai geroglifici egiziani. Un lavoro di ricerca e ricostruzione fra i combinati disposti, i richiami a provvedimenti che richiamano altri provvedimenti, inseguire le sostituzioni, le successive modifiche ed integrazioni (in codice: smi).
Per esempio l’istituzione di quota 102 per i 2022 e l’abolizione di quota 100 non è un’invenzione dei giornali, di cui giustamente bisogna sempre diffidare, ma esiste veramente. Solo che non troverete scritto quota 100 è abolita e ora ci vogliono due anni in più, bensì andando al comma 87 dell’art.1 della legge 234/2021 trovate scritto:

  1. Al decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, sono apportate le seguenti modificazioni:
    a) all’articolo 14, comma 1, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: « I requisiti di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui al primo periodo del presente comma sono determinati in 64 anni di età anagrafica e 38 anni di anzianità contributiva per i soggetti che maturano i medesimi requisiti nell’anno 2022.
    Ape sociale
  2. Le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 179, lettera d), della legge 11 dicembre 2016, n. 232, si applicano ai lavoratori dipendenti che svolgono le professioni indicate nell’allegato 3 annesso alla presente legge. Per gli operai edili, come indicati nel contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti delle imprese edili ed affini, per i ceramisti (classificazione Istat 6.3.2.1.2) e per i conduttori di impianti per la formatura di articoli in ceramica e terracotta (classificazione Istat 7.1.3.3) il requisito dell’anzianità contributiva di cui alla medesima lettera d) è di almeno 32 anni.

Opzione donna

  1. All’articolo 16 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, al comma 1, le parole: « 31 dicembre 2020 » sono sostituite dalle seguenti: « 31 dicembre 2021 » e, al comma 3, le parole: « entro il 28 febbraio 2021 » sono sostituite dalle seguenti: « entro il 28 febbraio 2022 ».
    Si capisce subito che riguarda una donna che ha 58 anni di età e 35 di contributi e vuole andare in pensione qualche anno prima.

Tutto chiaro, no?

Poi dulcis in fundo ci sono alcune disposizioni che in altri paesi risolvono con il Crowdfunding , due perle perse nel mare magno degli oltre 1000 commi che compongono la legge di bilancio 2022:

Il comma 896 autorizza un contributo di 350.000 euro per l’anno 2022 in favore
della Fondazione Anna Milanese al fine di garantire assistenza e protezione alle ragazze povere ed orfane dell’Etiopia, anche al fine di promuovere l’istruzione e la cultura nella popolazione etiopica.
Per carità niente in contrario e siamo tutti a favore delle povere orfanelle, ma è un esempio, come pure la disposizione del comma 904, che in occasione dell’ottantesimo anniversario della nascita della Democrazia Cristiana, autorizza la spesa di € 200.000 per il 2022 a favore della Fondazione De Gasperi, “ai fini del programma straordinario di valorizzazione dell’archivio degasperiano inedito, e della promozione di ricerche, seminari e convegni da svolgere presso scuole superiori, università e amministrazioni locali.”

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